Il Codice Da Vinci: recensione del film di Ron Howard
Il codice Da Vinci è un film del 2006 diretto da Ron Howard, basato sul romanzo omonimo di Dan Brown.
Bisogna constatare subito una cosa. La recensione del Codice Da Vinci può essere riassunta in questa affermazione euclidea: Quod gratis adfirmatur, gratis negatur: ciò che può essere affermato senza prova, può essere negato senza prova. Ebbene, il romanzo è stato un vero caso mondiale, letto dai più e ha scatenato le fantasie eretico-complottiste di chi non vedeva l’ora di diffamare un culto e un libro quale la Bibbia, manifesto canonico che nasce come opera chimerica se non esoterica, con una base storica molto labile.
Ecco, Il Codice Da Vinci è per estensione una commissione analoga, espressione di credenze e traduzioni volte a supportare il mistero, un giallo che si dipana tra le fede e ciò che per tanto, forse troppo tempo continua a riservare un potere inimmaginabile alla chiesa cattolica, quindi al Vaticano.
Compiere e relegare il giudizio estetico-narrativo solo sul fattore storico o sul classismo di genere non renderebbe giustizia alla fruizione del Codice Da Vinci. Il siffatto film non sarà la pellicola del secolo ma l’onda d’urto del romanzo di Dan Brown è stata la prima e determinante attrattiva gravitazionale del pubblico verso una tematica tanto impolverata quanto irrisolta. Dinanzi a noi si disgela un quesito di portata biblica, non a caso: chi erano i Templari? Che ruolo ha avuto la chiesa cattolica nella perpetuazione del verbo in nome di Gesù Cristo? E ancor più taciuta, cos’era il Santo Graal?
La pellicola si apre con un omicidio: il curatore del Louvre, Jacques Sauniére viene inseguito e poi brutalmente ucciso da un monaco dell’Opus Dei, Silas (Paul Bettany), che fa parte di quel blocco della chiesa cattolica che è alla ricerca della chiave di volta. Chiave che indicherebbe il punto preciso in cui poter trovare il Santo Graal.
Parallelamente un professore, Robert Langdon (Tom Hanks) tiene, sempre a Parigi, una conferenza per la pubblicazione del suo libro Sacred Feminine, in cui indaga e svela come il simbolismo e le credenze, circa l’immagine femminile e non, siano evolute e mistificate nel corso del tempo, attraverso svariate culture del passato e del presente. Robert Langdon avrebbe dovuto incontrare il curatore del Louvre, per cui viene avvicinato dalla polizia sulla scena del delitto come indagato principale, a sua totale insaputa.
La scena è ben diversa da come l’avevamo lasciata: Sauniére infatti prima di morire si era marchiato in petto il pentacolo e il suo corpo è risposto in terra in modo simile all’Uomo Vitruviano di Leonardo. Già qui si può notare come il simbolismo sia già controvertibile considerate le differenti visioni in merito, quali quella di Langdon che lega al pentacolo l’idea di Venere, mentre quella del capitano Fache (Jean Reno) che la annovera sia al paganesimo che all’occulto.
La pellicola incalza tra le considerazioni del professore su ciò che potrebbero significare quegli ultimi atti del curatore, fino all’arrivo di una crittologa della polizia francese, Sophie Neveu (Audrey Tautou), che con un sagace escamotage riesce a riferire all’ignaro professore che è in pericolo, che lui è l’unico sospettato del crimine e che deve seguire le sue indicazioni per sfuggire alla polizia. A questo punto la pellicola diventa un ingorgo di incroci situazionistici al centro dei quali si pongono Sauniére e la presunta familiaritá con Sophie Nevue: lui è il nonno di Sophie e i due non si parlavano da tantissimi anni. Così egli, conscio dell’ormai perpetuo silenzio della nipote, e per timore di morire prima di averle riferito tutto, traccia delle scritte per tutto il Louvre con una penna invisibile, che il professor Langdon aiuta a decifrare con la sua esperienza e la bravura con gli anagrammi.
Langdon e la Neveu diventano in automatico i principali ricercati dalla polizia francese per l’omicidio del curatore, ma i loro veri intenti di fuga sono legati ad un presunto messaggio che il nonno avrebbe lasciato a lei e che avrebbe potuto decriptare solo per mano di Langdon, e che la polizia avrebbe dovuto necessariamente ignorare.
Il Codice Da Vinci ci porta nella risoluzione di alcune domande epocali in toni chiaramente romanzati ma supportati dai giusti contraccolpi storici, in cui l´uomo è stato da sempre ingannato da un oscuro segreto.
Il loro viaggio tra messaggi segreti e la numerazione di Fibonacci portano ad una chiave: Robert nota subito che questa chiave, nascosta dietro la Vergine delle Rocce, ha il manico a forma di fleur-de-lis, un simbolo legato ai Cavalieri Templari, ai custodi, chiamati Priorato di Sion, che difendono un presunto segreto, quale fonte del potere di Dio sulla terra. Questa chiave li porta tramite un indirizzo inscritto su di essa al deposito della banca di Zurigo, in cui accederanno tramite un codice ad una cassetta di sicurezza che nasconde al suo interno la fantomatica chiave di volta: esso altro non è che un cryptex, un cilindro con cinque dischi con su scritti le lettere dell’alfabeto, in modo che ruotandole possano formarsi parole di cinque lettere che aprono in automatico il contenitore. Esso è l’oggetto tanto desiderato da secoli dall’Opus Dei. Silas in tutto ciò uccide per mano di un vescovo, tale Aringarosa (Alfred Molina), che opera in segreto al concilio ufficiale, il quale dimostra il suo scetticismo verso la missione del vescovo che è alla ricerca di un presunto tassello della fede che distruggerebbe ogni certezza e ogni potere della chiesa. Il Santo Graal è il perno della pellicola, la mappa all’interno della chiave di volta porta a rintracciarlo: la sua notorietà e il suo oscurantismo allo stesso tempo sono figli di antiche credenze che secondo Il Codice Da Vinci, nulla hanno a che fare con il calice che all’Ultima Cena Gesú uso per celebrare il rito. Langdon realizza in quell’istante di trovarsi in un mondo in cui ci persone che ucciderebbero per appropriarsene, che conosco il suo presunto valore e che comunque non lascerebbero andare al primo che capita. Lui che tanto si sente in difficoltà per essere stato trascinato in un modo alienante e plumbeo, essendo in fuga e in pericolo decide di rivolgersi ad uno studioso del Graal, un inglese che vive in Francia, tale Leigh Teabing (Ian McKellen). Ed è qui che il Codice da Vinci sussulta tra presunti rivelazioni e scoperte da capogiro: nell’incontro con i due sventurati spiega con grande naturalezza che il Priorato di Sion protegge sí il Santo Graal ma che esso non risulta essere affatto un calice, una coppa. Egli pensa e crede fermamente che esso sia una persona, una discendenza, ossia Maria Maddalena, compagna di Gesù Cristo, che era incinta di lui ai tempi della crocifissione. Lei doveva essere la diretta persecutrice della sua chiesa, doveva portare lei avanti il cristianesimo, non Pietro. Questo insabbiamento fu determinante, la sua rivelazione avrebbe scatenato il totale crollo della fede e della credibilità circa la presunta divinità di Gesù, in quanto essere umano capace di procreare ed avere una discendenza, che preferì una donna, la sua donna, ai suoi discepoli: un uomo quindi, semplicemente un profeta, non il figlio di Dio. Il segreto fu così perpetuato, la donna cadde nei secoli nella più laida ed empia miseria culturale, sottratta di tutta la considerazione societaria, di quel potere spirituale che aveva sempre conservato nelle culture passate. La scoperta di ciò sarebbe stato un disastro per la chiesa che avrebbe perso in un lampo il potere che ha avuto e con il quale ha troneggiato per secoli.
Il codice Da Vinci ci porta nella risoluzione di alcune domande epocali in toni chiaramente romanzati ma supportati dai giusti contraccolpi storici, in cui l’uomo è stato da sempre ingannato da un oscuro segreto. Ma ciò che è ancor più importante definire sono i veri protagonisti di una pellicola che gravita su tematiche inquietanti e menzogne mascherate da rivelazioni.
La femminilità nella storia ha subito un declassamento demoniaco, proprio perché il divino, la sacralità del corpo e dell’anima passava attraverso la donna, o almeno ciò era il credo del Priorato di Sion, che nel Codice Da Vinci viene posto in antitesi, anzi è proprio la nemesi millenaria dell’Opus Dei, definita la mafia di Dio, che ha radici antichissime, portata avanti come la costola segreta del vaticano che ha da sempre lottato per tacere quello che poteva minare realmente il potere della chiesa sulla terra, non il potere di Dio. La donna nelle antiche culture, che fossero religiose o pagane aveva un ruolo centrale, o quanto meno non impari rispetto all’uomo, la cui dissoluzione ha portato a quella tradizione scarna e fallocentrica che la contemporaneità tenta a carponi di equilibrare.
La donna per quanto si possa affermare che sia stato l’essere più perseguitato e strumentalizzato dacché il mondo abbia memoria di vergognarsene, ciò è giustamente inflitto nel Codice da Vinci a sorsi di epoche differenti: si parte dagli Egizi in cui vi erano dei e dee e un siffatto politeismo, in cui vigeva una certa matriarcalità, tale anche nella cultura etrusca o romana in cui la donna assumeva ruoli centralissimi (definita appunto domina, padrona). Con l’avvento del cristianesimo, il monoteismo spinse il credo verso una cultura più patriarcale, e, per mano di quelli che furono i primi concili vaticani, la donna venne sempre più portata al margine e la sua linearità venne spinta fino all’estremo: il flagello delle streghe. Infatti Il Codice da Vinci non manca di sottolineare questo capitolo anzi questo manoscritto oscuro della storia di ogni tempo, in cui venne ben presto accusato lo sgravo femminile e il suo ruolo nella società; la salvezza passava solo attraverso il corpo di Cristo, la donna di libero pensiero era una minaccia, la donna in sé era un pericolo, un incesto del diavolo. Dan Brown ci traghetta attraverso un viaggio prosopopeico che spia quasi con leggerezza le antiche tensioni tra pagani e credenti, le crociate, Costantino, il Concilio di Nicea: quello che fu il giorno che avrebbe determinato ogni ricorrenza cattolica, dalla datazione della pasqua, il natale, all’esclusione dei vangeli apocrifi a quelli canonici, fino all’immortalità di Gesù.
Se la scienza si sofferma sulle risposte, la religione si gusta le domande.
Il codice da Vinci fa parte di una ricerca spirituale a detta del suo creatore, una ricerca che andasse ad indagare sulla reale funzione della fede, sul ruolo che le parole, il verbo, e alcuni miti hanno avuto e di come hanno condizionato culture intere per generazioni. Un modo per indicare che ciò che può essere affermato senza prova, può essere negato senza prova.