Una Femmina: recensione del film di Francesco Costabile
Una Femmina di Francesco Costabile, presentato alla Berlinale 2022, è un film coraggioso sulla condizione della donna nelle famiglie della 'Ndrangheta.
Un esordio toccato dal fuoco. Francesco Costabile, classe 1980, affida al primo lungometraggio la promessa di un cinema coraggioso e ribelle. La scelta del tema – sfondo sociale, approccio tragico, risvolto politico – non è da sottovalutare, ma non fa modello. Racconta una sensibilità, semmai. Perché Una Femmina è la storia difficile e segreta delle donne – figlie, madri, mogli – nelle famiglie affiliate all’n’drangheta. E poteva essere un film sulla malavita come altri, secondo un sotto-genere italiano che negli ultimi anni ha fatto fortuna. Ma come per A Chiara, di Jonas Carpignano, Una Femmina è di interesse e valore perché non ha intenzione di glorificare l’epica o la gerarchia del potere criminale: azzera il discorso per raccontare chi subisce questa realtà parallela, disinteressandosi del resto. La scelta è fortunata per il film, ma sofferta per la fattualità che la storia manifesta. Come nel film di Carpignano, è ancora una giovane ribelle (Costabile dedica loro il film: “a tutte le donne ribelli”) a rompere il circolo vizioso di famiglia, ma anche di un certo cinema che nel tempo, da racconto di realtà, si è fatto genere. Il soggetto di Una Femmina si deve all’opera di Lirio Abbate Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla n’drangheta, a cui Costabile infonde immagini di impressionante valore allegorico e dai risvolti sociali, trovando nel volto di Lina Siciliano, anch’essa esordiente, l’innesco per una storia avviluppata nelle fiamme di un mondo parallelo ma vicino di casa.
Una Femmina è stato presentato il 12 febbraio alla 72º edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, nella sezione Panorama, ma è con il 17 febbraio che inizia la sua storia nelle sale italiane.
Una Femmina ribelle
Lina Siciliano è Rosa, giovane ragazza di un paesino calabrese perso tra fiumare secche e monti. L’orizzonte è un confine, annuncia la fine del mondo. Non c’è niente oltre la vita di casa, a badare le bestie, ad aiutare lo zio e il cugino in faccende dubbie ma a lei inaccessibili. A tavola, assieme allo sguardo torvo della nonna, siede la percezione sibillina che questa vita sia un imbroglio, che persino i giochi col cugino covino una dinamica predatoria. Il primo lavoro di Una Femmina è di natura omicida. Costabile afferra il coltello e squarcia uno spesso velo di ipocrisie: il valore della famiglia, la virtù del gruppo, del noi-contro-loro che finge di raccogliersi attorno agli affetti vicini, è una bugia. Questo mondo criminale non è un accumulo di ricchezza, ma una sottrazione continua: di soldi (che sembrano non esistere nonostante tutto) e di amore, soprattutto. Non esiste la possibilità di amare, se non in un sistema viziato dalla presunzione di dovere qualcosa alla famiglia. Non c’è sentimento che attraversi il velo, nemmeno per una nipote, per una madre, per un figlio.
Nel passato di Rosa abita un trauma, il mistero della morte della madre nasconde la fattezze oscure della famiglia. La ‘Ndrangheta non appare e al contempo è in ogni scena: non si pronuncia, non si rivela se non in qualche scornata tra boss. È un’ombra da cui Rosa non può fuggire, ma che a tempo debito affronterà in una vendetta incendiaria.
Lina Romano contro il mondo
La regia di Costabile, ricercata, persino virtuosistica nella capacità di trasformare un paesino calabrese in un universale ma anche in una tela su cui l’incontro di scale delle abitazioni sembrano incrociarsi come in un quadro di Escher, è seconda solo alla prova di Lina Siciliano. La presa di coscienza di Rosa passa per i primi piani che concedono uno sguardo privilegiato agli occhi: da vittima inconsapevole ad assennata vendicatrice, tutto in una fiamma che attraversa la pupilla. Lina Siciliano è nuova nella settima arte, ma la abita con una verità che insegna a rispettare lo schermo, a essere spettatori migliori.
Rosa è una figura di potere sopito, un modello che fiorisce con una speranza finzionale da una vicenda invece abitata dalle morse della ribellione impossibile. La speranza che Costabile inietta in Una Femmina è tutta interna al personaggio, senza uno Stato-Deus ex Machina a giungere, se non in un fugace e ininfluente frame finale. Per questo il film incendia la sala, è davvero una storia di coraggio. La performance di Lina Romano è per noi, certo, ma è alle Rosa che abitano il mondo parallelo della ‘Ndrangheta che dovrebbe giungere. Solo lì Una Femmina eserciterebbe la sua importanza. La difficoltà dell’operazione racconta il limbo vissuto da un cinema urgente e per questo complicato, che non può permettersi l’invisibilità o, peggio, un’empatia disattenta.
Rosa porta dentro di sé il tragico. Come Medea, è creduta pazza. Osservata come una strega scellerata. Ma sul finale percorrerà le vie della città vestita a lutto, con il coro delle donne al seguito in una marcia assieme funebre e trionfale. “Stanno arrivando” è la battuta che innesca un canto intonato in coro: una sfida, una promessa, uno squarcio che Costabile ci consegna con la sicurezza di chi cammina (non corre) sui bracieri ardenti. Il percorso di Rosa è difficile e coraggioso, uno scontro diretto al mondo – per sua natura maschile – della ‘Ndrangheta, incarnato anche nell’ambiguità maligna della nonna. Il suo è un personaggio che abbandona allo sconforto, perché è il sigillo di una realtà immutabile. Da anziana della casa, è guardiana dell’antico perpetrarsi di forme di ingiustizia, certe come le stagioni.
“Quanta strada dobbiamo fare ancora?”
“Per cosa?”
“Per essere liberi”
Francesco Costabile affronta l’ambiguità con una regia volta al dubbio. La profondità di campo confonde i soggetti, le lenti propongono un gioco di sfumature che spezzano le immagini in macchie indecifrabili. I vicoli si tingono del calore delle lampade alogene e i veicoli che sfrecciano nei campi pennellano di arancio l’erba insecchita dal sole: si annuncia un incendio. È la storia di Rosa in lotta con il mondo, il suo. Il loro: “Stanno Arrivando”.