Bif&st 2022 – Hill of Vision: recensione del film di Roberto Faenza
Le memorie e la storia vera di Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina nel 2007, nel film di Roberto Faenza presentato in anteprima mondiale alla 13esima edizione della kermesse barese.
Ci sono storie che per via della loro eccezionalità meritano di essere raccontate, poiché portatrici sane di messaggi importanti e di speranza che, specialmente in un periodo come quello che ha attraversato e sta attraversando il mondo intero in questo momento con la pandemia prima e il conflitto ucraino poi, possono rappresentare delle vere e proprie boccate d’ossigeno. Una di queste è quella di Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina nel 2007, la cui straordinaria esistenza è finita al centro dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Roberto Faenza dal titolo Hill of Vision, che in attesa dell’uscita nelle sale ha aperto la 13esima edizione del Bif&st con una proiezione nella splendida cornice del Teatro Petruzzelli.
Hill of Vision: la storia di un bambino abbandonato che sopravvive agli orrori della guerra
Il regista torinese firma un biopic sulla vita del professore italo-americano, circoscrivendo il racconto agli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando bambino prima e adolescente poi, figlio di un gerarca fascista trentino e di una poetessa e attivista politica statunitense, si ritrovò suo malgrado protagonista di una vera e propria odissea umana. Quelli firmati da Faenza nella sua pellicola sono i capitoli di una biografia, basata principalmente sulle memorie di Capecchi, che riavvolge le lancette dell’orologio per narrare gli incredibili trascorsi del futuro premio Nobel. Il film copre dunque un arco di tempo ristretto per portare sullo schermo il classico romanzo di formazione, che permette al cineasta piemontese di tornare a parlare, a distanza di trent’anni circa dal toccante Jona che visse nella balena, di bambini abbandonati che sopravvivono agli orrori della guerra. Un tema sempre attuale, ma che lo è ancora di più ora che moltissimi minori non accompagnati stanno “combattendo” tra la vita e la morte mentre fuggono dall’Ucraina. Ecco perché guardare con gli occhi di oggi cosa è stato costretto ad affrontare il protagonista di Hill of Vision, quando si trova a crescere per strada vivendo di espedienti dopo l’arresto della madre da parte dei fascisti nel 1941.
Hill of Vision è un period-drama che intreccia la dimensione pubblica con quella privata
Faenza fa sua questa porzione di storia di Capecchi, la romanza per venire incontro alle esigenze di un racconto cinematografico, per farne un period-drama che intreccia la dimensione pubblica con quella privata. Le due sfere si mescolano senza soluzione di continuità con quella individuale di un bambino che si va a intrecciare con quella storiografica che riguarda la tragedia collettiva di un pianeta in guerra. Il modus operandi è quello utilizzato per la pellicola del 1993, con l’autore che tenta, riuscendoci solo in parte, a fare coesistere e incontrare le due sfere sulla falsariga e sul modello di La vita è bella o Jojo Rabbit. Il regista torinese prova a “dipingere” sullo schermo le traiettorie narrative di una favola drammatica che lavora non solo sugli eventi realmente accaduti, ma anche sull’alternanza di registri con parentesi più leggere (vedi la scena dello scherzo nell’orfanotrofio o quella della visita nello studio dello specialista) chiamate a stemperare il dolore e l’orrore di fondo. Purtroppo Faenza non riesce a replicare ciò che sono riusciti a fare i suoi predecessori, con il risultato finale che ne risente.
La confezione di Hill of Vision non sempre convince, mostrando i suoi limiti in termini di VFX
Ma questo non è il solo problema ad emergere dall’analisi della scrittura, una fase in cui Faenza è stato affiancato dal regista e sceneggiatore irlandese David Gleeson (autore tra gli altri di Tolkien). Il racconto, infatti, arranca e mostra le sue debolezze nella prima parte ambientata in Italia, mentre quando la storia si sposta oltreoceano, andando a geolocalizzarsi negli Stati Uniti, riesce a trovare un passo decisamente più convinto e sicuro. La discontinuità è dunque il tallone d’Achille di un progetto che anche dal punto di vista della messa in scena è spaccato in due parte, con meno criticità nella seconda. La confezione non sempre convince, mostrando i suoi limiti in termini di VFX. E sappiamo quanto per un period-drama quello della ricostruzione storica e della messa in scena sia un fattore determinate e dal peso specifico elevato per l’economia generale del progetto. Problemi, questi, che dal canto suo Faenza ha saputo invece superare in altre occasioni, quando il suo cinema si è dovuto misurare con il passato (vedi I Viceré, Anita B. o il già citato Jona che visse nella balena). Segnalazione di merito per l’intesa e sofferta interpretazione di Laura Haddock nei panni della madre di Mario, oltre che per le note avvolgenti ed emozionanti della colonna sonora di Andrea Guerra.
Hill of Vision di Roberto Faenza è al cinema da giovedì 16 giugno 2022, distribuito da Altre Storie.