Grandine: recensione del film Netflix con Guillermo Francella
Un meteorologo di fama nazionale non riesce a prevedere una devastante grandinata, e fugge verso la sua città natale. Sarà (anche) un viaggio alla scoperta di se stesso.
Guillermo Francella è un personaggio molto apprezzato e amato in Argentina, sia a livello televisivo che cinematografico. Il suo volto, però, è conosciuto anche ad altre latitudini, grazie soprattutto a Il segreto dei suoi occhi (Miglior Film Straniero agli Oscar 2010) e Il clan (Leone d’Argento alla Mostra di Venezia 2015). Un attore ammirato anche e soprattutto per la sua duttilità, capace di passare dal dramma alla commedia con estrema disinvoltura. Lo dimostra anche Grandine, su Netflix dal 30 marzo. Un film a suo modo grottesco, bizzarro, che parte da un curioso presupposto.
Si parla infatti di Miguel Flores, meteorologo assurto negli anni al rango di vera e propria star. Pare non abbia mai sbagliato una previsione, mantenendo sempre le promesse relative al bel tempo e/o ai disastri atmosferici. Tutta Buenos Aires e tutta la nazione lo seguono come un dio: ciò che dice Miguel accadrà, per forza di cose, dando addirittura l’impressione che sia proprio lui a comandare la natura. Grandine inizia con quello che dovrebbe essere il momento più alto della sua carriera: sta per condurre il primo show sulla meteorologia in prima serata sulla tv argentina. Un successo assicurato… ma qualcosa, ovviamente, andrà storto.
Grandine: Senti nell’aria c’è già / Un raggio di sole più caldo che va
La giornata del suo grande debutto inizia sotto i migliori auspici: il sole splende, Miguel si sveglia di ottimo umore e in sottofondo risuonano le note di Felicità (proprio quella di Al Bano e Romina Power). Il futuro è già scritto: il clima della serata e della notata sarà perfetto, e a Miguel non resta che dirlo in televisione di fronte al suo pubblico. Tutto sbagliato: alla sera una violenta grandinata si abbatte sulla città, sconvolgendo un’intera popolazione che aveva creduto all’oracolo di Mr. Flores. Tra un insulto e una minaccia di morte, a Miguel non resta a questo punto che l’auto-esilio, nello specifico verso Cordoba (dove è nato) e verso la casa di sua figlia (unico, forse, possibile rifugio).
Costantemente sopra le righe e aperta all’umorismo, Grandine – il cui titolo internazionale è un molto poco efficace All Hail, “Tutti salutano” – è un’opera agrodolce che strizza di continuo l’occhio al pubblico e chiede il suo implicito supporto: nonostante Miguel non risulti spesso particolarmente simpatico, l’evoluzione della vicenda porta sempre a empatizzare con le sue piccole-grandi presunzioni, anche perché la fuga sarà per lui inevitabilmente un motivo per riflettere sulla sua vita. Il tema, qui, è quello della riconnessione con le proprie radici, con la riscoperta dei valori fondamentali e della perduta umanità.
Alla ricerca del tempo (meteorologico) perduto
Per quanto la sceneggiatura di Fernando Balmayor e Nicolas Giacobone scelga di rimanere piuttosto in superficie, depotenziando ogni possibile contrasto e riducendolo al rango di semplice sketch comico (compresi gli scontri del protagonista con la figlia e l’inseguimento da parte di un mitomane/stalker che scopre dove è nascosto e vorrebbe punirlo per il terribile errore commesso), tra le righe di Grandine emerge anche uno sguardo critico e pessimista sulla società contemporanea, che a suon di tweet e status condanna il prossimo alla dannazione eterna al primo sbaglio commesso.
Un semplice e banale inciampo può scatenare un effetto valanga incontrollato, ma basterebbe fermarsi a ragionare qualche secondo in più. È quello che fa Miguel, ritrovando lucidità e perdendo una buona parte del suo snobismo, ma è anche quello che fa chi gli ruota attorno, nel momento in cui ci sarà modo di rimediare a quella singola, maledetta, imprecisione. Per recuperare il tempo perduto, meteorologico e non. E per ritrovare se stesso, in una nuova dimensione: quella della persona con dei valori e un’essenza, in grado di mettere in secondo piano la superflua apparenza.