Felice o quasi – stagione 2: recensione della serie Netflix
Sebastiàn torna a ripensare al suo rapporto con l'amore e con il lavoro nella seconda stagione di Felice o quasi, senza rinunciare a tutti i tratti peculiari della prima tornata di episodi.
Si potrebbe dire che “squadra che vince non si cambia” per definire la seconda stagione di Felice o quasi, la serie argentina targata Netflix che è arrivata sulla piattaforma streaming con dieci nuovi episodi. Sebastiàn torna in questa seconda annata a pensare al suo rapporto con le donne, con il lavoro, con i suoi figli e, soprattutto, con Pilar. Rispetto alla prima stagione, da un punto di vista estetico e narrativo non cambia quasi niente, i personaggi restano ancorati a loro stessi, senza dimostrare una vera evoluzione e, anzi, appoggiandosi su alcuni tratti tipici per cercare di ingraziarsi il pubblico. Oltre al protagonista principale, questo elemento si attribuisce a Gastòn, lo scapestrato fratello, e anche a Francisca, la figlia femminista. Questa estremizzazione di alcuni tratti porta alla creazione di personaggi stucchevoli e prevedibili, che interagiscono tra loro con una ferrea logica di funzionalità diegetica: ogni esagerazione di un personaggio corrisponde alla reazione e alla presa di coscienza del suo interlocutore, formando un cammino fatto di incastri precisi e prevedibili. La storia principale prende ispirazione dalla vita reale di Sebastiàn Wainraich, anche autore e interprete della serie, e su di lui fa affidamento per trainare l’intero racconto.
Felice o quasi- stagione 2: un lieto fine travagliato ma non sofferto
La seconda stagione di Felice o quasi continua a fare affidamento sul rapporto tra Sebastiàn e Pilar come perno centrale della narrazione, correndo a grandi falcate verso un lieto fine travagliato ma non sofferto, tanto da essere percepito come surreale vista tutta l’architettura del racconto. A salvare il risultato finale della serie è l’immancabile e contagioso ottimismo che trasmette, coadiuvato da una vena ironica che, seppur ripetitiva e poco innovativa, risulta piuttosto naturale o comunque senza forzature, nonostante i voli pindarici che la sceneggiatura propone. Soprattutto grazie a questo stile ironico che la serie può vantare di aver avuto un grande successo di pubblico, in particolar modo in terra madre e in generale in tutto il Sudamerica. Totalmente fallimentare è invece il tentativo di trasformare Felice o quasi in una serie di umorismo nero, trovandosi anni luce da perle come After Life, soprattutto per la mancanza di coraggio a spingersi “oltre” e anche una mancanza di elaborazione profonda dei temi che quindi restano oggetto di una comicità più lineare. Rispetto alla prima stagione, la seconda di Felice o quasi cerca di introdurre temi potenzialmente più insidiosi, come la religione e le sue pratiche tradizionali, ma di fatto non si scardina nessun tema, non si disturba nessuna coscienza tornando, ancora una volta, a una comicità tanto affettuosa quanto innocua.
Dalla sua parte, Felice o quasi può contare su un ritmo fluido e scorrevole, con otto episodi di durata contenuta che rendono la stagione un ottimi sottofondo per una giornata lavorativa o un bingewatching di poche ore. La prima stagione era stata pubblicata in Argentina come webseries e visto il suo successo è stata trasposta su Netflix, ma al momento non ci sono notizie riguardanti una eventuale terza stagione. Vista la ridondanza di utilizzo di alcune gag e di molte battute, la possibilità di tornare ancora una volta a vedere gli stessi personaggi e le stesse dinamiche potrebbe destare preoccupazione, anche se resta possibile una rivoluzione del prodotto che andrebbe però a minare le basi, ormai solide, su cui è stato costruito il successo delle prime tornate di episodi. Al di là di tutto, comunque, resta difficoltoso immaginare un nuovo innesto narrativo tale da fornire nuovo materiale a Felice o quasi per proporre una nuova stagione pienamente riuscita.