Moon Knight: recensione e spiegazione del finale di stagione della serie Marvel
Su Disney+ il sesto episodio di Moon Knight porta sullo schermo il peggior finale di un prodotto Marvel.
Per parlare del finale di stagione di Moon Knight bisogna partire da un grande presupposto, il sesto e ultimo episodio è narrativamente un buco nero. Il capitolo conclusivo intitolato Dei e mostri corre frettolosamente a chiudere la battaglia tra Marc/Khonshu e Harrow/Hammit. Nel fare ciò si dimentica di alcuni personaggi e soprattutto di dare al pubblico molte risposte rimaste in sospeso durante la stagione; trattandosi di una miniserie è d’obbligo una chiusura completa del racconto. Tuttavia, gli sceneggiatori scelgono di dare spazio al conflitto finale, alla CGI esagerata e ai combattimenti, per quanto anche quest’ultimi vengano trattati con molta superficialità. Insomma, le ottime premesse dei primi episodi e l’interessante evoluzione introspettiva del quinto episodio lasciano spazio allo sconcerto.
Leggi anche: Moon Knight: nell’episodio 5 anche I Simpson e Black Panther. Tutte le citazioni!
Con questo non vogliamo mettere in dubbio le qualità recitative di Oscar Isaac o May Calamawy, ma soltanto evidenziare un grosso problema nel finale di stagione. Le serie Marvel/Disney+ sono vincolate da una struttura narrativa per cui sono gli ultimi episodi a dare forma al tutto, Moon Knight non è esente da tale discorso. I buchi di cui parliamo fanno riferimento ai momenti di buio del protagonista, quelli in cui si risveglia con una catasta di morti ai suoi piedi. Se l’espediente ha funzionato precedentemente per creare suspense e mistero, questo non vale per il finale, dove ci saremmo aspettati una serie di flashback che avrebbero mostrato quei vuoti. Tutto ciò non avviene, anzi, si aggiungono leggerezze narrative tali da farci rizzare i peli delle braccia. Ma andiamo con ordine.
Moon Knight: lo scontro finale tra Khonshu e Ammit
Il quinto episodio di Moon Knight, intitolato Asylum, ha visto Marc e Steven fare i conti con i traumi del loro passato, viaggiando nelle stanze della memoria del Duat (l’aldilà egizio). I due erano stati uccisi precedentemente da Harrow nella cripta di Alessandro Magno, nonché ultimo avatar della dea Ammit. La puntata (la migliore di tutta la serie) ha svelato il mistero sulla sanità mentale del protagonista e la conseguente nascita di Steven. Il tutto è nato dalla morte del fratello Randall e gli abusi ricevuti dalla madre dopo il crollo psicologico. Per Marc e Steven si tratta di una corsa per la sopravvivenza, decisa dal risultato della bilancia della vita; senza equilibrio nel cuore non possono giungere in “paradiso”. È soltanto con il sacrificio di Steven che Marc può finalmente raggiungere quella pace tanto agognata. Nel frattempo, in Egitto, Harrow porta a compimento il proprio senso di giustizia grazie ai nuovi poteri ricevuti in dono da Ammit.
Questa è in sintesi la premessa che portava al finale di stagione, dove Marc è ancora negli inferi, Khonshu è stato imprigionato e il villain è libero di compiere la propria missione. Il sesto episodio riparte proprio da qui, con Harrow in possesso della statua della dea egizia. L’ex avatar di Khonshu tona alla piramide di Giza, dove affronta gli altri dei. Insieme a lui troviamo anche Layla, a cui la sceneggiatura affida un ruolo predominante. La donna riesce a liberare Khonshu, che si ricongiunge a Mac e Steven dopo che questi sono riusciti a tornare in vita. Inizia così la battaglia finale tra le forze del bene e del male, in uno scontro tra giganteschi dei e mortali dotati di sgargianti costumi. Nel notturno cielo egizio, Moon Knightriesce a sconfiggere il proprio nemico e a liberarsi dal vincolo di Khonshu. Ma sarà veramente così?
La scena post-credit e l’approccio a Jake Lockley
La sesta puntata della serie Marvel si chiude con un ambiguo cliffhanger. La scena presa singolarmente è molto interessante e ben realizzata, ma si collega ad alcuni pesanti difetti collegati alla natura conclusiva della serie. Infatti, Moon Knight nasce come miniserie, e quindi non è prevista una seconda stagione. È probabile che è rivedremo il supereroe in altri prodotti targati Marvel, ma per ora non ci sono piani effettivi. Ci riferiamo ovviamente alla scena post credit con protagonista Jake Lockley, la terza e spietata personalità di Marc Spector. Come abbiamo fatto presente nei vari focus sulla serie, il personaggio era già stato presentato, per quanto velatamente, nelle puntate precedenti. Nel particolare ci riferiamo al terzo episodio, al sarcofago rosso del quinto e nel momento in cui il protagonista sconfigge Harrow. In questi momenti la scrittura ha deciso di non mostrarci il suo intervento, ma soltanto gli effetti delle sue azioni. Se tale espediente poteva funzionare all’inizio, lo stesso non vale per il finale di stagione; dove lo reputiamo un grave errore di forma.
Tornando alla post-credit, la scena mostra Harrow in un ospedale psichiatrico dove viene prelevato da un uomo con i guanti neri. Uscendo dalla struttura l’uomo si rende conto dell’uccisione di infermieri e inservienti e viene fatto entrare in all’interno di una grande limousine. Qui troviamo Khonshu in abiti formali, gli stessi che indossa nei fumetti e molto simili al costume di Steven Grant. Il dio fa presente ad Harrow che non ha mai avuto intenzione di prendere Layla come suo avatar, in quanto la personalità di Marc è più frammentata di quanto lui non pensi. Compare così Jake Lockley che, con un ghigno malefico, uccide a sangue freddo il villain. La sequenza si chiude con la limousine in procinto di lasciare il parcheggio e sulla cui targa si può leggere una sottospecie di acronimo di Spector, il cognome di Marc. Il dio ha quindi sempre nascosto al protagonista il fatto di aver stretto un patto anche con un’altra sua personalità. Come dicevamo, la scena presa singolarmente ha un suo fascino, allora dove risiede il problema?
Esistono delle “regole” narrative quando si parla di prodotti narrativi, dei pilastri su cui si poggia la riuscita di un prodotto e la sua esperienza da parte del pubblico. Con l’ultimo episodio Moon Knight le infrange tutte quante, lasciando la storia sospesa tra ciò che abbiamo visto e ciò che non è stato mostrato. Quando si vanno a infrangere determinati canoni, lo si fa per coerenza alla natura sovversiva del prodotto o con intenzioni ben precise a volte meta-narrative. In questo caso si tratta di una decisione che non trova nessun appiglio all’interno della serie. Non mostrandoci i momenti in cui Jake ha preso il sopravvento, magari con dei flashback vero la fine, la percezione della serie è totalmente sfalsata. È come trovarsi davanti ad una brutta copia illegale di un film in cui mancano delle parti. In questo caso mancano proprio dei momenti cardine, e per quanto ci riguarda questo è un grave errore da parte della produzione.
Quello di Moon Knight è un finale davvero deludente
Veniamo ora alla componente puramente visiva e adrenalinica. Moon Knight si conferma il peggior prodotto Marvel in quanto a CGI; per quanto pur sempre una spanna sopra rispetto ad altri prodotti televisivi, questo è certo. Le scene d’azione in costume rendono il supereroe un pupazzone vestito di bianco. La scelta di prediligere la computer grafica agli stunt reali minano totalmente una certa risposta adrenalinica ai combattimenti. Per fare un esempio, gli scontri in John Wick sono talmente ben realizzati da energizzarci sulla nostra poltrona. Lo stesso non avviene con la serie Marvel, in cui tale risposta è bloccata da una forte consapevolezza della finzione. L’abuso di CGI grava su tutto il finale di stagione, soprattutto nella rappresentazione dello scontro tra Khonshu e Ammit. Si avverte un certo sbilanciamento delle proporzioni quando li vediamo nella loro forma gigantesca. La resa grafica di queste creature, quasi degli animali antropomorfi, non rende giustizia alla qualità a cui siamo stati abituati dalla Marvel. Tutto ciò va a minare una serie che, arrivata al quinto episodio, sembrava aver trovato il proprio baricentro. Siamo difronte ad un finale di stagione in cui si avverte un profondo sbilanciamento, narrativo quanto visivo.
Tale sensazione la avvertiamo anche con Layla, nel momento in cui diviene il nuovo avatar di Tawaret, per quanto “temporaneamente”. L’outfit ci ricorda molto quello di Wonder Woman 1984 e, al di là delle buone intenzioni, il personaggio viene presto dimenticato. La sceneggiatura vorrebbe dare, giustamente, maggior peso alla componente femminile della serie, ma finisce per essere solo un pretesto per dire “lo abbiamo fatto”. È lo stesso errore in cui sono incappati i fratelli Russo in Avengers: Endgame con le eroine riunite nella battaglia contro Thanos e gli sceneggiatori di Shang Chi con la sorella del protagonista. Tornando a Layla, dopo il saluto tra Marc/Steven e Khonshu i due ritornano nell’appartamento a Londra, ancora vincolati a quel letto simbolo di domande e incertezza. Non abbiamo nessuna risposta sul futuro di Layla e del suo rapporto con il marito. Il personaggio, dapprima predominante nella narrazione, passa in secondo piano fino a scomparire. Tutto ciò mina l’ottimo lavoro svolto da May Calamawy nella caratterizzazione di Layla che, in alcuni momenti, ha funzionato sullo schermo meglio di Oscar Isaac.
Anche il personaggio interpretato da Ethan Hawke finisce per essere una mera macchietta, un villain da manuale che esaurisce le proprie battute nel finale. Tutta l’introspezione viene lasciata indietro per una serie di pugni e calci in una pessima CGI. È un vero peccato, perché Asylum è stato non solo il migliore episodio di Moon Knight, ma tra i più interessanti delle serie Marvel. I primi quattro, spaziando di genere in genere e strizzando l’occhio a film come Indiana Jones e La Mummia, avevano un loro perché. Per quanto contornate da qualche errore, le puntate precedenti sembravano andare verso un’ottima direzione. Non sappiamo quali siano i piani dei Marvel Studios per il futuro del personaggio, ma dopo aver visto Dei e mostri non sembra esserci un indirizzo ben stabilito. Come dice il vecchio saggio “meno è meglio”, e lo ha dimostrato a pieni voti Hawkeye. Quest’ultima con la sua ambientazione cittadina e protagonisti mortali ha saputo cogliere l’opportunità di dare forma a qualcosa di meno altisonante ma coerente fino alla fine. Con Moon Knight si è voluto fare il passo più lungo della gamba proprio nel momento in cui la storia avrebbe richiesto di meno e più attenzione ai particolari.