Nostalgia: la regia di Mario Martone e il confronto col libro di Ermanno Rea
Presentato alla 75ma edizione del festival di Cannes Nostalgia, per la regia di Mario Martone, è stato accolto da un lungo applauso che ha sigillato il trionfo di consensi e certificato la particolare rilettura cinematografica del romanzo di Ermanno Rea.
Un’ideale simbiosi unisce lo scrittore al regista; entrambi napoletani celebrano nelle loro opere, narrative e cinematografiche, una Napoli controversa, la Napoli del Rione Sanità posto ai piedi di Capodimonte; la Napoli che ha dato i natali al grande Totò, presente nelle opere di Eduardo De Filippo. La Napoli delle Catacombe di San Gennaro e del Cimitero delle Fontanelle, la Napoli del canto e del pianto, del degrado e della miseria, che respinge e attira. Insomma, se Pierfrancesco Favino è l’eccezionale protagonista di Nostalgia, il Rione Sanità è indubbiamente un eccezionale co-protagonista.
Di cosa parla Nostalgia, il film di Mario Martone tratto dal libro di Ermanno Rea
Il ritorno di Felice Lasco, protagonista del romanzo, dopo oltre 40 anni di lontananza dal Rione si veste di un’estraniante malinconia. Costretto a lasciare la sua città poco più che quindicenne, Felice gradualmente riprende il percorso consueto di una quotidianità dentro la quale riscopre le sue origini, la sua religione, la gente nata lì che, nel degrado, continua a lottare per un riscatto che significa semplicemente ripulirsi dallo “sporco” voluto da chi guadagna sulla miseria altrui. Felice rovista nei ricordi e nelle immagini di una adolescenza interrotta e strappata a causa di una ribellione malsana; si rivede nei ragazzini sulle motociclette, pregando un Dio che possa allontanarli da chi farà di loro carne da macello all’ombra di vicoli stretti, strettissimi.
Un viaggio alla scoperta di una identità sopita per quaranta lunghi anni, che sembra risucchiarlo in un gioco labirintico esattamente come labirintiche appaiono le vie del quartiere. L’angoscia di non ricordare più. Per quanto la narrazione cinematografica assuma le note tipiche della straordinaria regia di Mario Martone, il quale da sempre ama portare in scena le incoerenze e la seduzione della sua Napoli, è evidente la fedeltà al romanzo di Rea. I personaggi assolutizzano i luoghi che abitano ma ancor di più sono i luoghi a tipizzare i personaggi.
La dolcezza della nostalgia tra memoria e realtà complicata di chi soffre e annega nei ricordi
Felice Lasco è figlio del Rione Sanità, torna per rivedere la vecchia madre, accudendola negli ultimi giorni di vita, sollevandola dalla sciatteria di una vita ruvida vissuta in un posto complicato, ma soprattutto per incontrare una parte di se stesso, quel ragazzetto che della lingua italiana sapeva poco e che si pavoneggiava nel Rione. Emerge in tutto ciò il “credo poetico” del regista, un continuo indagare nel passato per mettere in luce i corsi e ricorsi storici di vichiana memoria.
Nostalgia “muove” il passato: Felice ritrova Oreste, compagno di giochi e “ragazzate”; lo ritrova sulla stessa linea in cui lo ha lasciato, interprete di una realtà che sarebbe potuta essere la stessa anche per lui, una realtà che l’ha sfiorato e che per il suo amico è stata una trappola vitale che ha segnato un destino certo: divenire un boss malavitoso ormai senza trono. Felice lo ritrova ma non si riconosce; la madre anziana muore mentre il figlio ricuce un passato con il quale riempie gli spazi vuoti di anni vissuti lontano, per ripulirsi di un incidente che sarebbe potuto essere l’inizio di molti altri, annegando nella complicità di una persona che oggi uccide, ammazza.
La malinconia è la nota che accompagna i dialoghi e i ricordi mentre Felice riconosce le stradine, le ripercorre, insegue volti conosciuti e sconosciuti, rivive, rilegge se stesso.
Don Luigi Rega, personaggio del romanzo, è don Antonio Loffredo ancora oggi parroco della Basilica di Santa Maria alla Sanità, simbolo di riscatto sociale e culturale, conosciuto anche da Rea per la capacità visionaria di riuscire a vedere cose che ad altri sfuggono. Felice racconta a lui il suo passato, il perché è andato via senza più tornare, un passato che impietosisce e che spaventa, la verità contro l’uomo dalla violenza cieca, solo Felice riesce a definirlo con lineamenti umani, a non temerlo, a sentirsi accanto a chi ha abbandonato perché il bene unisce anche i diversi.
Nostalgia e il finale a effetto
Nel romanzo emerge un altro grande rapporto; nella rivisitazione cinematografica di Martone è il signor Raffaele, da sempre innamorato della madre di Felice ricordata come donna elegante e raffinata, “l’unica che rubò il suo cuore”. Parole d’amore che si coniugano con un sentimento paterno, in una rete protettiva che vuole esorcizzare un male che è tornato a ferirlo, come se presagisse il pericolo che Oreste rappresenta per Felice.
Ermanno Rea, infatti, nel suo ultimo romanzo, pubblicato immediatamente dopo la sua morte (avvenuta a Roma il 13 settembre 2016) ci riserva un finale ad effetto: il male purtroppo logora lentamente andando persino contro la storia e mentre Felice Lasco comincia a riassaporare i profumi della sua città, Oreste ritorna “disumano” nella sua misera umanità.
“La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede” (Pier Paolo Pasolini)