Giustizia per tutti: recensione finale della fiction con Raoul Bova in onda su Canale 5
Mediaset tenta la strada del legal drama con Raoul Bova ma il risultato è un'occasione mancata e deludente fino alla fine, con una fiction che si rivela essere un thriller confezionato frettolosamente e con poco appeal.
Se Don Matteo 13 ha fatto brillare Raoul Bova, non si può dire lo stesso di Giustizia per tutti, la fiction andata in onda quasi a ridosso degli ultimi episodi di Don Matteo 13 e che vede proprio Raoul Bova tra i produttori. Realizzata da RB Produzioni, Showlab per Mediaset, diretta da Maurizio Vaccaro su sceneggiatura di Andrea Nobile, Giustizia per tutti incuriosisce con molta fatica e si ha spesso l’impressione che la materia narrativa – che poteva esserne ricca di spunti per tirarne fuori un legal drama innovativo, data la curiosa storia del protagonista – non sia stata sviluppata in maniera convincente e incisiva nell’arco dei sei episodi divisi in tre serate, andata in onda su Canale 5 e attualmente disponibile in streaming su Mediaset Play.
Giustizia per tutti: cosa succede nel finale di stagione? La trama dell’ultima puntata della fiction con Raoul Bova
Fabio, storico amico di Roberto (Raoul Bova), è accusato dell’omicidio di una ragazza e finisce in carcere ma Roberto è convinto della sua innocenza ed è pronto a difenderlo, anche se Victoria (Rocio Munoz Morales) ritiene che sia emotivamente troppo coinvolto. Intanto emergono altri dati che possono concretamente ricostruire ciò che è accaduto a Beatrice: la ricerca ostinata di Roberto gli permetterà anche di riavvicinarsi a sua figlia Giulia, decisa a voler dare una seconda opportunità al suo rapporto col padre e ricominciare da zero.
Roberto e Victoria invece si avvicinano sempre di più, ignari però che il padre della donna sia coinvolto più di quanto entrambi possano immaginare nell’omicidio di Beatrice. Daniela, la cognata di Roberto, si avvicina sempre di più alla verità sulla morte della sorella grazie al contatto con una donna che lavorava con lei all’interno di un’associazione per la quale Beatrice curava i casi: tra le carte ritrovate nel vecchio edificio abbandonato vi sono infatti anche documenti prelevati dallo Studio Bonetto.
Le buone premesse di Giustizia per tutti non salvano la fiction neppure nel finale
Quel che manca a Giustizia per tutti è riuscire ad offrire allo spettatore quell’elemento magnetico in grado di tenerlo incollato allo schermo per tutti gli episodi: tutto infatti appare scritto e girato frettolosamente, accontentandosi di una narrazione elementare fatta di qualche veduta panoramica su Torino e di un frequente utilizzo dei primi piani, che ricordano tanto le fiction degli anni ’90. Un inciampo che con l’evoluzione seriale attuale è davvero grande e pericoloso e che non riesce a stare al passo con altri prodotti thriller prodotti in precedenza da Canale 5, che si reggevano su intrecci convincenti e ben articolati come in Buongiorno Mamma! o Il silenzio dell’acqua, più vicino per genere a quest’ultima.
Non è però solo la confezione ma anche la sceneggiatura a non riuscire a mettere insieme tutti i temi narrativi che Giustizia per tutti mostra potenzialmente di poter offrire allo spettatore: c’è un uomo che si è dovuto fare giustizia da solo studiando in carcere, una particolarità della sua storia che viene raccontata come se fosse scontata e di prassi comune; c’è una ragazza che vive il dramma di ritrovare un padre che aveva sempre creduto colpevole ma la cui maturazione non riceve l’attenzione che merita e poi c’è Victoria, che dovrebbe rappresentare il futuro del protagonista ma di cui scopriamo ogni tanto a singhiozzi qualcosa sul suo passato.
Pur non mancando infatti qualche tratto empatico tra lo spettatore e i protagonisti, nessuno di loro è sufficientemente approfondito ma viene tinteggiato grossolanamente pur di far andare avanti l’azione. Anche il legame di Roberto e sua moglie viene infatti presentato scarsamente in pochi flashback, così come quello di Giulia con Daniela viene descritto solo a parole ma mai con scene emotivamente forti come ci si sarebbe aspettato dato il ruolo rappresentato dalla donna nella vita della ragazza. I casi di contorno non sempre riescono a fornirci ulteriori sfumature sui personaggi: i migliori riusciti sono infatti inclusi solo negli ultimi due episodi, a cui è riservato un finale inaspettato ma raccontato in maniera approssimativa e lasciato alle sole parole della voce del protagonista, quasi si avesse fretta di chiudere. Non perché sei episodi non bastassero, ma perché forse andava scelto con più coerenza e con parsimonia cosa fosse davvero importante raccontare, per dare ai protagonisti una giustizia anche drammaturgica.