Dead Bride: recensione dell’horror di Francesco Picone
Pescando da Shining, L'Esorcista e Insidious, Picone costruisce un horror che fa davvero paura.
La vitalità della produzione cinematografica nazionale – italiana, francese, statunitense che sia – si misura certamente dal suo sottobosco, cioè dalla qualità dei film a basso budget che ogni anno escono. A giudicare da Dead Bride, presentato in anteprima assoluta al Fantafestival 2022, il cinema italiano è vivo. O, quanto meno, è vivo il suo sottobosco. Non se la prenda Francesco Picone per questa definizione che può sembrare denigratoria, lui che di Dead Bride è regista e sceneggiatore. Ha fatto un lavoro eccellente e, si sa, senza il sottobosco molti animali e molte piante non riuscirebbero a vivere. I cosiddetti B-movie all’italiana – commedie, horror, western, polizieschi, tali non tanto per volontaria aspirazione quanto per necessità – hanno reso grande il nostro cinema e lo rendono tutt’oggi molto apprezzato, soprattutto all’estero.
In Dead Bride funziona tutto
Partiamo da ciò che non funziona. Al film manca un po’ di originalità: si parla di case infestate, di demoni e di esorcismi, tutte cose che il cinema horror ha ormai affrontato nelle più diverse declinazioni. In particolare, una coppia con figlio neonato va a vivere nella vecchia casa di lei, lasciata libera dal padre da poco suicidatosi. La donna ha un passato traumatico, che ha cercato di dimenticare ma che tornerà a perseguitarla proprio nella vecchia casa di famiglia. Oltre alla trama, non convince del tutto nemmeno la recitazione. Soprattutto, si nota un po’ troppo il doppiaggio dei personaggi fatto in post-produzione: questo fa sì che i vari attori suonino posticci e che manchino della naturalezza che la presa diretta avrebbe probabilmente dato loro. Nelle scene più spaventose (e ce ne sono) non ci si fa quasi caso, ma in quelle costruite attraverso il dialogo l’effetto di straniamento che il doppiaggio genera a volte risulta troppo forte. Ma scarsa originalità e debolezza recitativa non sono grossi problemi in fondo, perché in Dead Bride funziona tutto il resto.
Il trucco prostetico, eccellenza del cinema italiano
La regia, la fotografia, gli effetti speciali: che livello! Funziona meravigliosamente soprattutto il trucco prostetico, che oggi sembra essere stato dimenticato da un cinema che fino a ieri sguazzava nelle soluzioni fai-da-te, negli effetti manuali e nel trucco. Francesco Picone e il suo team fanno un lavoro eccellente in questo senso. La tensione non viene meno quando vediamo le varie entità demoniache sullo schermo, come invece accade di solito in film di questo tipo. Tensione, si diceva: Dead Bride fa paura? Sì, fa molta paura, e costantemente, per tutto il film, senza quasi un attimo di respiro o un momento di fiacca. Fanno piacere le varie citazioni, alcune davvero evidenti, con cui Picone infarcisce il suo film: L’esorcista, Insidious, Shining. È giusto avere dei punti di riferimento ed è ancora più giusto cercarli il più in alto possibile.
Questi sono i film di cui il cinema italiano ha bisogno per ripartire. Film fatti con passione e con cura, qualità che valgano sicuramente più delle disponibilità economiche che un produttore può garantire. C’è il bisogno di tornare a praticare cinema di genere in Italia. Non per smanie passatiste o per un qualche tipo di feticismo, ma perché quel cinema – negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta – ha formato le generazioni di registi italiani (e non) che nei decenni successivi hanno lasciato un’impronta nella storia della Settima Arte. Questo solo varrebbe, come si suol dire, il prezzo del biglietto. Ma il discorso potrebbe essere allargato: non si tratta di manie di grandezza, ma anche della necessità – nell’era post-Covid più viva che mai – di riportare il pubblico nelle sale. E, se adeguatamente distribuite, pellicole come Dead Bride possono riuscire nell’impresa.