Spiderhead: recensione del fanta-thriller Netflix
Per il suo ritorno alla fantascienza Joseph Kosinski traspone per Netflix un racconto breve di George Saunders, affidandosi alle interpretazioni di Chris Hemsworth e Miles Teller. Disponibile dal 17 giugno 2022.
Nemmeno il tempo di riprendersi dalle fatiche di Top Gun: Maverick e di godersi l’uscita nelle sale dopo la presentazione in pompa magna alla 75esima edizione del Festival di Cannes, che l’instancabile Joseph Kosinski ha subito radunato le forze per portare a termine un nuovo progetto, stavolta destinato al mercato dello streaming. Si tratta di Spiderhead, la trasposizione del racconto breve Escape from Spiderhead dello scrittore e saggista George Saunders contenuto nella raccolta Dieci dicembre, voluta da Netflix che l’ha rilasciata sulla propria piattaforma il 17 giugno 2022. Un progetto, questo, che ha permesso al regista americano di riabbracciare a pochi mesi di distanza Miles Teller, affiancato per l’occasione da Chris Hemsworth, in quello che rappresenta per Kosinski un ritorno al genere fantascientifico che lo aveva visto agli esordi al timone prima di Tron: Legacy e poi di Oblivion.
Spiderhead: il risultato si è rivelato al di sotto delle normali aspettative e del potenziale narrativo, drammaturgico e tematico messo a disposizione dalla matrice letteraria
Il risultato suo e nostro malgrado però, non che le precedenti esperienze a dire il vero ci abbiano fatto saltare dalla poltrona, si è rivelato al di sotto delle normali aspettative e del potenziale narrativo, drammaturgico e tematico messo a disposizione dalla matrice letteraria che, passando attraverso i codici genetici del thriller distopico, si presenta come una corposa riflessione sul carcere, sulle pene più o meno giuste, sul rapporto tra carceriere e detenuto, sull’espiazione e sulla ricerca scientifica, in questo caso senza scrupoli, ma anche sulla possibilità di esercitare il ibero arbitrio. Tematiche, queste, dal peso specifico rilevante, affrontate dallo studioso texano nelle pagine di una short story che ha lasciato il segno all’epoca della pubblicazione e che non poteva non attirare l’attenzione dell’industria dell’audiovisivo, in questo caso di Netflix. Il broadcaster a stelle e strisce ne ha ordinato l’adattamento cinematografico, affidandolo alla riscrittura di Rhett Reese e Paul Wernick. la medesima coppia di autori dietro Benvenuti a Zombieland, Deadpool e 6 Underground, ma con esiti che come abbiamo accennato in precedenza hanno deluso alquanto chi nutriva nella trasposizione in questione legittime aspettative.
Portare sullo schermo uno scritto come quello di Saunders rappresentava già di suo una sfida affascinante e difficile sulla carta
Del resto portare sullo schermo uno scritto come quello di Saunders rappresentava già di suo una sfida affascinante e difficile sulla carta, figuriamoci da trasformare in materia audiovisiva. E, infatti, lo script che è stato consegnato a Kosinski, uno che dietro la macchina da presa rimane comunque una garanzia d’intrattenimento, non riesce a trasferire tutto il carico di argomentazioni ed emozioni contenuto nell’opera letteraria. Quello che Spiderhead è stato capace di restituire è solo una percentuale ridotta del potenziale intrinseco del racconto, riducendolo a una riflessione superficiale dei grandi e importanti temi trattati. Ecco perché l’esito non può bastare a coloro che hanno trovato nelle pagine originali spunti di riflessione, domande e altrettante risposte celebralmente stimolanti, con implicazioni socio-politiche delle quali nel film è rimasta solo qualche briciola lungo la timeline.
Le argomentazioni vengono trattate superficialmente, a uso e consumo di una trama che si inceppa sull’uso dei registri e dal punto di vista mistery
Qui l’attenzione si concentra principalmente sull’esercitazione del libero arbitrio, oltre che sul rapporto che si viene a creare tra carceriere e detenuto, che è al contempo quello tra scienziato e cavia all’interno di un penitenziario e centro di ricerca che sorge su un’isola sperduta lontana dalla vita quotidiana, in cui non ci sono celle o restrizioni e le porte rimangono sempre aperte (torna alla mente il carcere di Halden in Norvegia). Qui gli “ospiti” accettano di farsi iniettare dei farmaci capaci di interferire pesantemente col loro sentire, inducendo artificialmente una vasta gamma di pulsioni. Come spesso accade, tutto ha degli effetti collaterali e i detenuti, a cominciare dal protagonista interpretato da Teller iniziano a dubitare sulla realtà delle loro emozioni, non più spontanee ma indotte dai medicinali che vengono loro somministrati previa autorizzazione. Ma anche qui tale argomentazioni vengono trattate superficialmente, a uso e consumo di una trama che si inceppa sull’uso dei registri (comico, drammatico, iperbolico e grottesco) e dal punto di vista mistery offre solo un paio di momenti di tensione degni di nota (come nella scena della somministrazione del depreflux a Heather davanti agli occhi di Jeff). Troppo poco per alimentare un thriller che si rispetti.