La ragazza nella foto: recensione del documentario Netflix
Nel suo docufilm, la pluripremiata regista e direttrice della fotografia americana Skye Borgman ricostruisce i retroscena che hanno portato a galla la verità sulla morte della giovane Sharon Marshall. Dal 6 luglio 2022 su Netflix.
Chi era Sharon Marshall, la giovane donna il cui corpo fu ritrovato con una grave ferita alla testa sul ciglio di una strada di Oklahoma City nell’aprile del 1990 e perché la sua vera identità era sconosciuta a tutti, anche a lei? A queste e ad altre domande che per un trentennio e passa sono rimaste irrisolte, alimentando quello che sembrava destinato a finire tra le carte dell’archivio dei cold case, ci ha provato e anche riuscito il documentario di Skye Borgman dal titolo La ragazza nella foto, disponibile su Netflix a partire dal 6 luglio 2022.
L’autrice riesce a posizionare nel posto giusto tutti i tasselli di intricato puzzle dell’orrore
Ma il vero merito dell’ultima fatica dietro la macchina da presa della pluripremiata regista e direttrice della fotografia americana non sta tanto nell’avere sbrogliato la matassa di una vicenda assai contorta, piuttosto nell’essere riuscita a posizionare nel posto giusto tutti i tasselli di questo intricato puzzle dell’orrore. Quello che era riuscito a fare solo in parte il giornalista investigativo Matt Birkbeck nei sui bestsellers A Beautiful Child e Alla ricerca di Sharon, nelle cui pagine si raccontava solo una porzione e non il triste epilogo della straziante storia della protagonista. In realtà, le indagini riveleranno che Sharon non era chi diceva di essere o pensava di essere: il suo nome era probabilmente un altro e la sua famiglia era ben altra da quella che le era stata attribuita. Dietro questo mistero di celava un’altra persona, il fuggitivo omicida al centro di tutta la questione e che, a distanza di decenni, potrebbe essere identificato e assicurato alla giustizia federale.
La ragazza nella foto prende in prestito tutti, ma proprio tutti, gli stilemi e modus operandi del true-cirme
La ragazza nella foto prende in prestito tutti, ma proprio tutti, gli stilemi e modus operandi del true-cirme, un filone che sulle piattaforme e non solo, tanto sulla distanza secca che in quella diluita della serialità, sta riscuotendo molti consensi. Il ché ha aumentato in maniera esponenziale la richiesta da parte degli abbonanti, alla quale Netflix in questo caso risponde con progetti come questi, che si basano sulla ricostruzione di misteriosi casi di cronaca nera. La Borgman organizza e mette in ordine la cronologia degli eventi, spalmandoli su una timeline che prevede a tempi regolari svolte e rivelazioni che riguardano sia la vittima che il suo carnefice. Per farlo mescola senza soluzione di continuità materiali d’archivio, interviste inedite e ricostruzioni di fiction. Quest’ultime, come altre operazioni analoghe come Our Father o The Puppet Master, alternano fasi più lucide e ispirate ad altrettante dove a farla da padrona è il didascalismo di certe scene che vanno a colmare l’assenza di found foutage con ricostruzioni romanzate più o meno fedeli degli eventi affidate ad attori e al contributo tecnico della regia e della sua troupe.
L’agghiacciante e intricata vicenda raccontata nelle due ore circa a disposizione consegna al documentario una base emotivamente coinvolgente
La ragazza nella foto come ogni prodotto true-crime che si rispetti sfrutta l’elemento mistery e l’intreccio che ne deriva per dare forma e sostanza a una narrazione e a una drammaturgia ad effetto, che punta a calamitare a sé lo spettatore dal primo all’ultimo fotogramma utile. In questo caso l’agghiacciante e intricata vicenda raccontata nelle due ore circa a disposizione consegna al documentario una base emotivamente coinvolgente sulla quale potere contare. In effetti, il lento venire a galla della verità circa i motivi che hanno portato alla morte della protagonista, la scoperta della sua reale identità e del suo aguzzino, sono potenti al punto tale da garantire al prodotto finale una discreta dose di coinvolgimento.