The Serpent Queen: recensione della serie su Caterina de’ Medici
La vita di Caterina de' Medici, una delle più importanti sovrane d'Europa, viene delineata nella nuova serie di Starzplay.
Caterina de’ Medici: donna austera, regina impassibile, aura malefica che ha ispirato la nascita del mito della “regina cattiva di Biancaneve”. Ma anche intelligente, influente al livello politico e abile stratega. Un dipinto apparentemente nitido e definito, ma che la Storia (quella con la S maiuscola) riaggiorna continuamente, restituendo il disegno di una donna distante da come era stata descritta per secoli da chi riteneva l’intransigenza e la freddezza sintomi di perfidia e meschinità. Caterina fu una delle maggiori regine europee alla corte di Francia nel ‘500 e la sua storia viene delineata in modo anti-patemico dalla serie tv inglese The Serpent Queen, tratta dal romanzo Catherine de Medici: Renaissance Queen of France di Leonie Frieda, in onda sulla piattaforma Starzplay dall’11 settembre per un totale di 8 episodi.
Caterina de’ Medici regina cattiva delle fiabe?
The Serpent Queen si divide ben presto sia a livello tematico e narrativo, che dal punto di vista attoriale: i primi episodi sono incentrati sulla figura di Caterina da giovane, strappata dal contesto italiano da suo zio, papa Clemente VII, che organizza il matrimonio combinato tra la nipote e il futuro re di Francia, che ben presto Caterina scopre essere innamorato di una donna molto più adulta. Liv Hill lascia il testimone a Samantha Morton (che nell’incipit funge da narratrice a posteriori della propria storia), per riaccreditare la figura della grande regina attraverso una recitazione tenue, mai troppo concitata, ponderata nei rispettosi quadri formalisti che racchiudono Caterina in una gabbia audiovisiva.
La rappresentazione di una donna spietata, ritratto di una figura ambigua e ambivalente, dai contorni sfumati che si accavallano alla fragilità di una sovrana forte, determinata nelle sue posizioni, è patinata da una messa in scena formalmente ed esteticamente perfetta, ricorrendo ad un posizionamento scenografico e attoriale meditato e trascendentale.
The Serpent Queen e l’interpellazione spettatoriale
La macchina da presa segue Caterina, per poi scrutare il suo volto impassibile, enigmatico quanto rivelatore: i primi piani sono esaltati da molte inquadrature sbilanciate, in cui la figura umana è centrale rispetto al restante profilmico, illuminato mestamente da tonalità saturate, e da una messa a fuoco centrale, non contemplando alcuna profondità di campo. Caterina è imponente e austera negli scorci, in quei contre-plongeé disegnati sulla sua esile figura da donna piccina, ma mai piccola.
Un espediente narrativo e linguistico-formale dissonante rispetto al contesto storico e politico della serie, ma sembra essere funzionale alla rappresentazione suggestiva della regina dei serpenti: lo sguardo in macchina si carica di una valenza ancor più dissacrante nel momento in cui la protagonista – sia quando è interpretata da Liv Hill che da Samantha Morton – parla con lo spettatore, infrangendo la sacralità della quarta parete rappresentata dallo schermo. Se da una parte ciò implica una decisa recisione rispetto ai canoni classici dei period drama, in cui ancor di più è necessario mantenere un distacco narrativo dovuto ad una distanza temporale del fatto diegetico, dall’altro lato si rende necessario un dialogo diretto con chi deve essere messo a conoscenza della vera natura di Caterina.
La protagonista vuole che lo spettatore entri in comunione diretta con lei, che attraverso un atto di empatia possa comprendere che “non è cattiva, la disegnano così”. Ed ecco che il velo rappresentato dall’obiettivo si dissolve, lo spettatore si risveglia dal suo sonno di immedesimazione filmica, per rendersi conto di guardare una rappresentazione scenica e finzionale di una storia per troppo tempo raccontata in modo inesatto e iniquo rispetto ad una donna, Caterina de’ Medici, ritratta come una serpe, ma semplicemente una regina che non ha avuto una giovinezza da principessa.