Venezia 79 – Gli orsi non esistono: recensione del film di Jafar Panahi
La recensione de Gli orsi non esistono (Khers Nist), film diretto e interpretato da Jafar Panahi, Premio Speciale della Giuria a Venezia 79.
Non è disposto a mettere giù la macchina da presa, Jafar Panahi, a cui nel 2010 l’Iran ha proibito di girare film per 20 anni, e firma il suo quinto lungometraggio da quella sentenza: Gli orsi non esistono. Vincitore del Premio Speciale della Giuria alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 2022, il film è stato presentato al festival senza che il regista fosse presente, nel frattempo nuovamente arrestato per aver sostenuto il collega Mohammad Rasoulof, precedentemente incarcerato.
Nel film, il regista si rende ancora una volta protagonista, raccontandoci attraverso i suoi occhi due storie d’amore: la prima, nel paesino al confine con la Turchia dove si è rifugiato, che lo vede coinvolto quando fotografa una ragazza con l’uomo che ama, mettendo a rischio il matrimonio di lei con il suo promesso sposo; la seconda, al centro del film che Panahi sta girando a Teheran, coordinando la troupe a distanza attraverso videochiamate, che si propone di testimoniare la tentata fuga dal Paese di una coppia.
Gli orsi non esistono: i tanti volti della clandestinità in un Iran che intrappola i propri figli
Un film “clandestino”, girato eludendo il divieto imposto al regista, che parla di clandestini, siano questi alla ricerca di un passaporto per dirigersi in Europa o giovani amanti il cui sentimento è ostacolato da antiche tradizioni. Clandestino, ovviamente, è anche Panahi, che nel titolo si ritrae ospite di un villaggio inviso agli stranieri, in cui è testimone di antiche usanze che dice di rispettare, ma di non comprendere affatto. Di soppiatto, si allontana nella notte e raggiunge l’amico, scambiandosi nemmeno stessero trafficando armi o droghe. Difficile dunque separare il film dal il retroscena biografico dello stesso regista, che assottiglia il confine tra documentario e fiction, come già aveva fatto in Taxi Teheran.
Nell’asciuttezza delle immagini, marchio di fabbrica del cineasta, Gli orsi non esistono è un manifesto al potere del cinema, consegnando allo spettatore una storia che non abbisogna di orpelli estetici e narrativi per fare breccia. Come nel suo This Is Not a Film, documentario il cui titolo omaggiava lo storico La Trahison des images di Magritte, Panahi ci sprona a interrogarci sul significato dell’arte, nella perenne dialettica fra realtà e sua rappresentazione, ricordandoci come un film, per sua natura finzione, possa essere tanto rivelatore quanto la realtà che lo ispira. Una realtà, quella dell’Iran raccontato da Panahi, che assume i connotati di una trappola in cui coloro che vorrebbero fuggire periscono impossibilitati a farlo. Al contrario di Panahi, che potrebbe valicare facilmente il confine, grazie ai contatti che un membro della troupe ha con i contrabbandieri locali, ma a cui, nonostante i soprusi subiti, voltare le spalle alla terra natia risulta proprio impossibile.
L’ultima fatica di Jafar Panahi dialoga con lo spettatore, sfidandolo e rispettandolo
Panahi continua indefesso la propria missione, firmando un lavoro che non ha certamente intenzione di essere accondiscendente con il pubblico. Semmai, come sempre accade con il maestro iraniano, lo sfida intellettualmente e gli offre uno sguardo su realtà a cui ancora tanti preferiscono rimanere ciechi. In questo, il regista dimostra di rispettare lo spettatore, ritenendolo pronto ad accogliere un’opera che certamente si allontana dai canoni dell’intrattenimento che puntualmente gli viene servito. Gli propone di accettare un patto che, se accolto, sa ricompensare con un nuovo toccante tassello della poesia di uno dei registi contemporanei che più hanno saputo fare del cinema un baluardo della libertà espressiva.
Nelle sale italiane dal 6 ottobre, grazie ad Academy Two, Gli orsi non esistono vede nel cast Jafar Panahi, Naser Hashemi, Vahid Mobaseri, Bakhtiar Panjeei, Mina Kavani e Reza Heydari. La produzione è firmata dalla JP Production dello stesso regista.