Venezia 79 – Un Couple: recensione del film
Il film di Frederick Wiseman in Concorso a Venezia 79 non convince. Un Couple è un'opera troppo autoreferenziale, che non riesce ad essere ciò che Wiseman sperava.
Venezia 79 ha sorpreso per il suo esito finale, per la vittoria di un documentario come All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras. Ed è indubbio che tirando le somme, ci troviamo anche a fare i conti con diverse delusioni che sono arrivate dalla Mostra del Cinema.
Del tonfo generale del Bardo’ di Innaritu si è già parlato a lungo, pure Baumbach non ha convinto molto con il suo White Noise; eppure forse la vita è ma più eccellente da certi punti di vista è stata uno dei più rispettati registi di sempre, un maestro del documentario come Frederick Wiseman.
Il suo Un Couple ha in generale convinto molto poco, si è limitato ad essere secondo molti una scommessa formale del regista, tornato a dirigere un film di finzione dopo tantissimi anni, ma incapace di soddisfare le attese.
Sontuoso dal punto di vista estetico, molto curato e meticoloso, il monologo lungo 94 minuti creato dal regista è però in ultima analisi, un esercizio abbastanza autoindulgente e sterile, una pellicola che non riesce ad affascinare e a catturare l’emotività del pubblico, di gran parte di esso almeno.
Rimane quindi un esempio di quella autorialità che al cinema non è che faccia benissimo, soprattutto di questi tempi in cui rapporto con il pubblico è per così dire abbastanza complicato.
Un Couple è un viaggio intimista
Partiamo col dire che sicuramente Tolstoj è uno di quegli autori che cinema ha cercato (spesso senza riuscirci) di omaggiare più e più volte. Wiseman ci prova con grande onestà ed impegno, questa volta però sposando un punto di vista laterale, affidandosi cioè alla corrispondenza epistolare della moglie Sofia Tolstoj. Tutto questo ci arriva tramite un iter diegetico dominato da un continuo monologo da parte del personaggio principale, scandito dai bellissimi paesaggi immortalati della fotografia di John Dave. Un Couple è una confessione, in grado di donarci la dimensione di una femminilità imperfetto contrasto con la modernità.
Nathalie Boutefeu è senza ombra di dubbio incredibilmente espressiva, si dona senza remore, forte della sua voce e del suo sguardo, riesce comunque a fare arrivare lo struggimento, la conflittualità all’interno di un personaggio femminile in realtà molto più moderno di quanto sembri.
La sua Sofia è combattuta tra l’amore e l’ammirazione che nutre per il marito e la volontà di essere libera, di uscire da un recinto fatto anche di umiliazioni, sospetti, di rinunce e soprattutto di ricordi sovente dolorosi. Ecco allora che Un Couple diventa un viaggio della memoria e della prospettiva in termini però sicuramente universali.
Un film che pecca di vanità e monotematicità
Il problema è che la fruizione di questo film di minuto in minuto diventa sempre più difficoltosa, perché non soggetta sostanzialmente ad alcuna variazione stilistica o tematica. Siamo oltre il concetto di cinema che si maschera da teatro, all’interno di una natura rigogliosa ma anche asettica. L’insieme alla fin fine diventa soprattutto la costatazione di un azzeramento personale, di un sacrificio esistenziale alla vita coniugale. Sofia ricorda le liti, le riconciliazioni, l’amore che li legava, tutto ciò che sognava sarebbe diventata insieme a quell’uomo incredibilmente talentuoso e affascinante, ma che non è stato, ed ora non è più il tempo non è più il luogo. In questo il 92enne regista dimostra di volersi avvicinare alla rappresentazione della femminilità che va oltre i cliché, per proporre un dramma attuale.
La sua Sofia è una donna che si dibatte tra la volontà di essere libera e la necessità di valutare se invece connettersi ad un libertà totalizzante che però nasconde senza ombra di dubbio delle incognite, o comunque si separa dalla rassicurante prigione senza porte in cui è vissuta.
Nel farlo però Wiseman finisce con il pretendere troppo dal suo pubblico, o meglio ancora da un pubblico che già di per sé è ristretto, perché diventa sempre più difficilmente allargabile dato il ritmo, la composizione, il tono elegiaco e spirituale dell’insieme. Forse c’era un modo migliore, più dinamico di portare queste tematiche al centro della telecamera.
Un onorevole tentativo autoriale poco riuscito
Wiseman, tornato dopo 60 anni a fare qualcosa di diverso da un documentario, crea quindi la cronaca di una donna che si vede intrappolata, connessa profondamente alla morte e all’isolamento.
Il giardino di La Boulaye è il palco su cui Un Couple cerca di catturarci ma senza grandissimo successo, data l’autoreferenzialità dell’insieme, la mancanza di punti di riferimento che vadano oltre l’affidarsi totalmente alla Boutefeu, scivolando in breve verso una monotonia davvero tediosa.
Si può certamente applaudire al coraggio creativo, alla volontà di staccarsi dal desueto, di azzardare un racconto cinematografico coerente con il suo passato di documentarista ma anche diverso da esso. Tuttavia, per quanto raffinato formalmente, Un Couple è davvero pesante, visto che non riesce a suggerire qualcosa che vada oltre una mera enunciazione di quella eredità epistolare carica di rimpianti e recriminazioni. Tutto questo non toglie nulla alla straordinaria carriera di Wiseman, uno dei più grandi documentaristi di tutti i tempi capace di rinnovare linguaggio e Stile del suo universo di appartenenza. Ma non tutti sono Terence Malick, o sanno creare emozione tramite la sublimazione delle immagini e delle parole scevre da ogni altra cosa.