L’imperatrice: recensione della serie TV Netflix
Un nuovo prodotto dedicato alla vita di Sissi, l'imperatrice d'Austria. Su Netflix dal 29 settembre 2022.
La storia di Sissi, la duchessa “insolente” che divenne imperatrice, non stanca mai. Il period drama Netflix, però, vanifica le potenzialità narrative del personaggio storico concentrandosi sugli intrighi politici invece che sull’intrico – ben più affascinante – della sua mente e del rapporto con il suo sesso.
Sissi vorrebbe che la madre, Ludovica di Baviera, nata principessa e declassata, in seguito al matrimonio infelicitante con l’infedele Massimiliano, al rango di duchessa, la smettesse di chiamarla per diminutivo e ripristinasse il suo nome esteso: Elisabeth. Ma la madre non vuole saperne di assecondarla, perché per lei è solo la piccola di casa, l’appendice dispettosa e selvatica, mentre la figlia maggiore Helene, educata in modo impeccabile, si prepara a diventare imperatrice d’Austria. Peccato che Franz, il giovane imperatore, tra la sorella perfetta – e “noiosa” – e la “sorella insolente” preferisce e sposa la seconda, con grande disappunto della corte tutta.
L’imperatrice: via di ritorno alla fiaba lunare di Sissi, la sovrana che non voleva essere solo una bambola
Netflix ritorna a uno dei personaggi storici che più hanno nutrito l’immaginario del Novecento: Sissi, casato di Wittelsbach per nascita, coniugata Asburgo. Verrebbe da chiedersi se, dopo tante riletture più o meno trasfiguranti della sua storia personale – intrecciata alla Storia con s maiuscola –, abbiamo ancora bisogno di ritrovarla in un’ulteriore adattamento della sua fiaba in cono d’ombra. La risposta è sì. Ed è proprio per questo che ci pare un imperdonabile sciupio che la serie Netflix in sei episodi dal titolo L’imperatrice, nuova sensazione della nascente stagione autunnale, parta bene per poi spegnersi ancor prima della metà, svaporata nella meccanica dissolvenza dell’intrigo cortigiano e politico in senso più ampio, con il popolo che, al di fuori delle cortine di palazzo, affama e infuria contro i sovrani indifferenti ai suoi bisogni.
Sia chiaro: la lente applicata al conflitto di classe è un taglio tematico di per sé urgente e, del resto, la stessa Sissi si negò, anche attraverso la sua attenzione alle questioni più strettamente politiche, a farsi bambolina dell’imperatore, quest’ultimo da intendersi quale uomo-sineddoche dell’intero sistema di gestione del potere e delle rappresentazioni simboliche su cui l’impero si reggeva e prosperava. In uno dei momenti più felici dello show, Sissi pronuncia non a caso una battuta rivolta al futuro cognato, il villain Maximilian, che, in compagnia di una dama italiana con cui amoreggia apertamente, ha appena intimato al fratellino più piccolo di andarsene in camera a giocare con la sua bambola, anziché farlo davanti a tutti: la futura sposa imperiale gli suggerisce allora di fare lui stesso quanto ha ordinato al bambino, nello scandalo degli astanti in ascolto e nell’ammirazione, invece, di colui che sarebbe diventato suo marito.
L’imperatrice: un period drama che non propone nessun punto di vista forte sul personaggio e abdica a sfogliarne le complesse identità
Se, per baluginii improvvisi, quasi a strappo, il temperamento di Sissi di tanto in tanto si rivela, il modo in cui gli showrunner dilatano quasi esclusivamente lo spunto dell’attentato – dall’interno e dall’esterno – all’impero finisce per delinearsi come eccessivamente opprimente nell’economia drammaturgica dell’opera, a detrimento di angolature diverse, di un orizzonte più ampio e stratificato del racconto, che pure potrebbe radicarsi sull’imponente volume documentario che lo precede e sulle sue magmatiche occasioni di lettura e approfondimento. L’impostazione per così dire ‘sociologica’ finisce, infatti, per mostrare presto i suoi limiti sia in termini saggistici sia in termini narrativi in senso stretto. Se Sissi continua ad affascinare ancora oggi non è soltanto per lo struggimento da principessa triste, ingabbiata nel protocollo di una corte esposta a pericoli di frammentazione, ma per il mistero di cui è stata portatrice, per l’enigma che ha rappresentato la sua mente sì assediata da ossessioni e fantasmi, ma anche originale, acuta, una mente che alla via di fuga dalla realtà, che pure ricercava attraverso le fantasticherie e gli studi letterari, ha sempre contrapposto il rifiuto di farsi usare, di essere ridotta alla sola funzione rappresentativa e al mero ruolo di strumento e di corpo-oggetto, atto al soddisfacimento sessuale e procreativo.
Sissi – e la serie Netflix ce lo mostra, in parte – cresce libera, per quanto possa esserlo un’altezza reale, lontana dalla città, cavalcando e scrivendo poesie. Quando il suo cavallo prediletto muore, si fa agganciare ai capelli il suo crine perché possa restarle accanto in ogni occasione. È solo la prima, questa, delle numerose eccentricità di cui avrebbe dato prova nel corso della sua vita, interrotta a sessant’anni dalla mano dell’anarchico Luigi Lucheni. Terrorizzata dallo sfiorire della bellezza che l’aveva resa desiderabile, e di deludere così chi l’aveva idealizzata, dopo i trent’anni non si fece più vedere in pubblico e iniziò a sottoporsi a diete drastiche e a passeggiate infinite, con l’obiettivo di mantenere, anche dopo quattro gravidanze, il peso di quando era ragazzina. Ogni sera l’imperatrice contava i capelli che le restavano impigliati nella spazzola: il loro numero quantificava compulsivamente, dando consistenza concreta alle sue ossessioni, lo stato di avanzamento del suo declino.
La vera Sissi, figura di donna in perpetua contraddizione, tra fuga e ancoraggio alla realtà, ossessioni di bellezza e paura dello stigma ‘psichiatrico’. Ma Netflix ignora i fantasmi della sua mente
I biografi sono pressoché tutti concordi nell’attribuirle i sintomi di una nevrosi e nel riconoscerla affetta da malattie psicosomatiche e da un’anoressia nervosa. L’imperatrice si preoccupava che potessero prenderla per pazza – nella sua famiglia, molti erano stati i casi di psicosi o gravi depressioni, come quelle che colpirono e costrinsero al ricovero due sorelle –, ma fu sempre consapevole del confine tra il suo teatro psichico e la realtà. Benché Netflix ce la rappresenti sessualmente disinibita, la ‘vera’ Sissi ebbe sempre, con il sesso, un rapporto molto complicato: amava flirtare e suscitare l’interesse maschile, ma arrivare al dunque le faceva paura. Sapeva maneggiare la provocazione, ma si ritrovava vulnerabile, disarmata nell’intimità. Netflix avrebbe, allora, forse fatto meglio a portarla sul lettino di un altro illustre austroungarico – sì, Sigmund Freud – oppure a indagare il suo rapporto con la posizione maschile e femminile rispetto all’asta del potere.
Non è noto se i sei episodi caricati sulla piattaforma preludano ad altri a venire – la serie copre i primissimi tempi del matrimonio tra Sissi e Franz – e se, quindi, ci sarà occasione di approfondire altri aspetti della personalità dell’imperatrice, ma, a giudicare da questo ‘assaggio’, l’intenzione degli autori è quella di concentrarsi più sul rapporto con l’ambiente, e quindi su elementi esterni, che sulla relazione con sé stessa, con le memorie infantili – l’atteggiamento sfidante nei confronti degli uomini come reazione all’umiliazione inflitta alla madre dal padre libertino e assente – e con il proprio marito, che, a dispetto delle sue stranezze, la amò e rispettò sempre. Un marito di cui non voleva solo essere la bambola, nonostante l’apparente contraddizione di desiderare, anche a costo di enormi torture autoinflitte, di continuare a sembrarlo fino alla fine dei suoi giorni. Il period drama di Netflix sia svecchia sia indurisce la Sissi altrimenti leziosetta del nostro immaginario, eppure – e che peccato – non si allontana di molto dal solco dell’agiografia, sciupando l’opportunità di piegare una donna complessa, prima ancora che una grande eroina tragica, a un’indagine universale, contemporanea e brutalmente autentica sull’avventura e le inquietudini del femminile.