Roma FF17 – Causeway: recensione del film con Jennifer Lawrence
Una regia asciutta e un'interpretazione convincente per un film che risponde ai traumi con la delicatezza vigorosa dell'amicizia.
Jennifer Lawrence torna al cinema indipendente come interprete e produttrice in Causeway, un dramma che si addentra con gentilezza nel dolore, nell’inadeguatezza, nella mancanza che attanaglia gli esseri umani.
Presentata al Toronto International Film Festival 2022 e poi alla 17ma edizione della Festa del Cinema di Roma la pellicola – in uscita su Apple TV+ dal 4 novembre 2022 – si muove con agilità in un mondo disabile mentalmente e fisicamente, poggiandosi su una sceneggiatura di Elizabeth Sanders, Luke Goebel, Ottessa Moshfegh e sulla regia intima e discreta di Lila Neugebauer la quale, per mezzo del suo occhio meccanico, trasferisce l’angoscia della protagonista Lynsey (Jennifer Lawrence) sullo schermo, in piani sequenza lunghi quanto respiri inframezzati dall’ansia, in sguardi che abbracciano il malessere, il corpo inadatto alla vita, lo squilibrio psicologico, la zoppicante e affannosa corsa lungo un tragitto obbligato.
Causeway: i tormenti di Jennifer Lawrence nel dramma di Lila Neugebauer
Jennifer Lawrence si sveste di ogni sicurezza per farsi attraversare dalle scaglie inesplose dell’insoddisfazione, delle domande e dei traumi; è un grumo di problemi a lento rilascio di cui prendiamo nota con cautela. Il corpo si fa peso morto, involucro sacro da pulire, preservare, riabilitare. La sua schiena, il suo addome, le lunghe gambe, i suoi seni, non vengono mai sessualizzati, tutto è invece un termometro ideale a farci intuire il progresso a cui l’organismo va incontro, come una macchina da oliare per raggiungere un obiettivo.
È interessante come Causeway ponga il trauma militare in modo inedito dal solito, in primis senza premurarsi di delineare l’identità di Lynsey, la quale nella prima parte del lungometraggio viene mostrata esclusivamente come una donna bisognosa d’aiuto. Non comprendiamo cosa le è successo, ma intuiamo la sua solitudine e la volontà intrinseca e autoimposta di essere indipendente. L’impegno militare, l’incidente in cui ha rischiato la vita e che l’ha ridotta in quello stato, sono informazioni che arrivano in un secondo momento, passati anche al setaccio da una narrazione omodiegetica che non esclude particolari, senza comunque ancorarsi all’evento che ha causato il ritorno della protagonista nella sua città natale, in una casa che le sta palesemente stretta.
L’amicizia è rifugio
L’incontro fortuito con James (Brian Tyree Henry), un meccanico di colore, apre la porta a un’amicizia che si fa rifugio per entrambi. La loro sintonia disinteressata, che diviene più intensa dal momento in cui Lynsey gli rivela di essere lesbica, toglie i punti di sutura dalle vecchie ferite che entrambi hanno tentato di occultare sotto il chiacchiericcio della quotidianità o di un falso scopo lavorativo. Ecco allora che l’incidente militare della protagonista adagio sparisce per dare spazio ai traumi che hanno attraversato la sua vita, a quei rapporti familiari rimasti irrisolti e che richiedono un coraggio maggiore di quello necessario a ripartire in Afghanistan, lontana da tutti e tutto. Tocca ritornare dentro quel dolore, parlarne con chi lo ha parimenti attraversato, in altre forme, con altre persone. E James quelle lesioni dell’animo se le porta anche addosso e Brian Tyree Henry riesce a farcele arrivare, parlando con gli occhi, perseguendo un disagio passato con la consapevolezza che dovrà conviverci in eterno, senza comunque rinunciare obbligatoriamente a ricominciare.
Il significato dietro Causeway
Causeway disegna la redenzione umana aggregando stereotipi hollywodiani (che comunque non ci infastidiscono più di tanto) per poi spiccare il volo verso altri lidi, consegnandoci a tutti gli effetti la storia di un’amicizia, riportata sul grande schermo con lo stile asciutto ed essenziale della Neugebauer. La cura e l’attenzione per il prossimo è un balsamo sacro per le disgrazie della vita; non le fa sparire, ma aiuta a rimodularle, a renderle frangibili, risolvibili.
Così come appezzamenti di corpo dominano spaccati di scene, allo stesso modo la musica occupa i silenzi, impreziosendo il normale fluire della vita con inserti di flebile spensieratezza. I protagonisti devono attraversarsi reciprocamente per poi camminare, in solitudine, lungo il precipizio dei loro traumi. Non è un caso se il titolo del film sia Causeway, che significa “strada rialzata”, una di quelle dalle quali puoi inavvertitamente cadere (come accade materialmente a James, dopotutto), ma anche l’unica che consente di collegare due luoghi altrimenti irraggiungibili; non un ponte vero e proprio ma una via di mezzo, come l’amicizia, che dell’amore ignora la passione, garantendo comunque sicurezza e attenzione.