Roma FF17 – Aftersun: recensione del film di Charlotte Wells
In concorso ad Alice nella Città e prossimamente su MUBI, il pregevole e pluridecorato esordio della regista scozzese Charlotte Wells con Paul Mescal e l’esordiente Francesca Corio.
In attesa di approdare su MUBI, Aftersun continua il suo percorso festivaliero con un’altra prestigiosa tappa in giro per il mondo che si va ad aggiungere a quelle già collezione nei mesi scorsi in kermesse quali Cannes, dove si aggiudicato il French Touch Premio della Giuria alla Semaine de la Critique, Toronto, Londra, São Paulo e Deauville. Vista la storia, i temi trattati e i personaggi che la popolano non poteva esserci cornice migliore di Alice nella Città, che ha fortemente voluto la pellicola di Charlotte Wells nella line up della sua ventesima edizione in programma durante la 17esima Festa del Cinema di Roma, per l’anteprima italiana.
In Aftersun va in scena sull’onda dei ricordi l’ultima estate tra un padre e una figlia
Presentata nel concorso della sezione autonoma della kermesse capitolina, l’opera prima della regista e sceneggiatrice scozzese unisce al dramma familiare le pagine di un romanzo di formazione con temi e stilemi al seguito. Per farlo Aftersun ci porta nella vita di Sophie e di suo padre Callum mentre alla fine degli anni Novanta trascorrono insieme alcuni giorni di vacanza estiva in un piccolo e modesto resort di una località balneare in Turchia, dove passano le giornate a nuotare, giocare a biliardo e a godersi la compagnia l’uno dell’altra. Tutto sembra scorrere nel migliore dei modi, ma dietro quella facciata di sintonia, complicità e affetto, un alone di tristezza e di non detto viene a galla. Turbato dai “fantasmi’ che deve affrontare, mentre l’adolescenza della undicenne Sophie prende piede con le sue prime curiosità, Calum cerca di nasconderle la sua lotta contro il peso della vita al di fuori della paternità. Il suo dolore emerge nei momenti di solitudine lontano dagli occhi della figlia e sotto quelli del pubblico, unico testimone di un dolore che l’intensa e sofferta interpretazione di Paul Mescal, già conosciuto a livello internazionale per la serie Normal People che gli è valso un Bafta), rende tangibile. La sua performance nei panni di giovane uomo con una profonda frattura interiorizzata, non solo economica ma soprattutto esistenziale e identitaria, è un colpo al cuore che passa attraverso cambi costanti di temperatura emotiva.
Lo script di Aftersun si muove su due piani temporali divisi tra un passato rievocato e un presente vissuto
L’attore irlandese e la giovane esordiente Francesca Corio che veste i panni della Sophie undicenne sono l’arma in più nelle mani della regista, che li dirige in maniera impeccabile, per restituire in maniera potente la verità della relazione padre-figlia. Ciò che arriva e rende speciale il tutto è proprio la grande sintonia e naturalezza che il suddetto binomio trasmette allo spettatore ogni volta che s’innesca sullo schermo. Lo script e le sue dinamiche puntano in primis sul trasferire sullo schermo questo legame destinato a rimanere nella memoria, nelle foto e sui nastri MiniDv che la Sophie adulta (Celia Rowlson-Hall) riscopre anni dopo per comprendere ora che è donna e matura chi fosse davvero quell’uomo, chi fosse suo padre. Per farlo la Wells, che ha firmato anche la sceneggiatura, cuce insieme i pezzi di un racconto stratificato e di una narrazione su due piani temporali diviso tra un passato rievocato e un presente vissuto. Un flusso mnemonico non lineare che riemerge nella co-protagonista seguendo il “filo d’Arianna” dei ricordi, delle immagini ancora impresse sui nastri magnetici e soprattutto delle emozioni e delle sensazioni provate quell’estate di vent’anni prima, l’ultima trascorsa con il padre. Queste sono il baricentro su e intorno al quale ruota e si sviluppa tutto.
Aftersun è un intreccio perfettamente riuscito tra dramma familiare e romanzo di formazione
Aftersun parte da temi universali e da un plot minimalista per costruire un racconto intimo dalla cifra personale e originale. Il risultato è un intreccio perfettamente riuscito tra dramma familiare e romanzo di formazione che ha bisogno di piccole cose per trasformare un soggetto classico del realismo sociale britannico in una storia potente, capace di accarezzare e al contempo spezzare le corde del cuore. E pensando che tutto questo è contenuto nella timeline di un’opera prima, allora possiamo ben sperare sul futuro di una regista della quale sentire parlare da qui ai prossimi anni.