Roma FF17 – I morti rimangono con la bocca aperta: recensione del film di Fabrizio Ferraro
La guerra, la montagna e le scelte degli uomini. Fabrizio Ferraro con il suo I morti rimangono con la bocca aperta, alla Festa del Cinema di Roma 2022, guarda a ieri per parlare di noi.
Il titolo è elegante, ipnotico e impegnativo, perché chiama a raccolta dimensioni e fondamenti dell’esistenza umana come la guerra, la morte e il tempo. I morti rimangono con la bocca aperta è un film di Fabrizio Ferraro, un film che parla di ieri ma inevitabilmente allude, ammicca, tira in ballo il mondo in cui viviamo noi oggi. Alla Festa del Cinema di Roma edizione 2022 nella nuova sezione competitiva Progressive Cinema. Nel cast Emiliano Marrocchi, Domenico D’Addabbo, Fabio Fusco, Olimpia Bonato e Antonio Sinisi. Distribuisce Boudu.
Fabrizio Ferraro lascia il segno sul film in tanti modi ed è giusto perdere un po’ di tempo a ricordarli tutti. Non gli basta la fatica di dirigere, ma sceneggia pure, pensa al montaggio, cura la fotografia. I morti rimangono con la bocca aperta gioca all’anacronismo col tempo presente a partire dal suo bianco e nero, prezioso e allusivo. La storia è quella di quattro uomini e una donna su un fondo invernale e molto poco ospitale, di una bellezza struggente e aspra. La Storia, invece, ha per nome e cognome Seconda Guerra Mondiale.
I morti rimangono con la bocca aperta: quattro uomini e una donna per una storia di ieri che parla di contemporaneità
Fabrizio Ferraro che di mestiere è regista e sceneggiatore, pratica lo sdoppiamento (e anche qualcosina in più) di personalità professionali come logica conseguenza di un approccio alle cose, al cinema, scopertamente flessibile e positivamente ossessionato dal controllo. I morti rimangono con la bocca aperta è, il ragionamento è abbastanza di sopra di ogni smentita, cinema d’autore perché la sorveglianza esercitata dal suo realizzatore su ogni tappa che conti veramente qualcosa all’interno del processo creativo è scrupolosa e tenace, animata da uno scopo preciso e ispirata da un rigore stringente. Non c’è spazio per compromessi. Ne consegue la purezza e l’integrità di una visione che, incontri o meno il favore dello spettatore, ha il pregio di una consistenza e di uno spessore inusuali.
Il teatro, della guerra e del cinema, qui è il fronte italiano. Italia centrale, 1944. Quattro uomini, Emiliano Marrocchi, Domenico D’Addabbo, Fabio Fusco. Una donna, Olimpia Bonato. Gli uomini sono partigiani, braccati e in cerca di un riparo. Il nemico è sfuggente ma la sua presenza si fa sentire comunque. Nell’angoscia della fuga, nel fragore di una sparatoria. Si combatte, si vive, si muore. Gli uomini incontrano la donna, la ragazza, mentre scappano. L’incontro è gravido di conseguenze, come ogni cosa, grande e piccola, che capiti in guerra. Sopra e sotto, in mezzo e di lato ai protagonisti, la tormenta. E la montagna, la neve, l’inverno.
L’ambiente è un personaggio de I morti rimangono con la bocca aperta, forse è il personaggio, quello che conta e pretende di più. La montagna gareggia in visibilità e carisma con le formichine di carne e ossa che la attraversano, portandosi dietro un bel mucchio di problemi pratici e spirituali. La montagna e la tormenta se ne stanno lì nel mezzo, come un fatto compiuto. La regia di Fabrizio Ferraro sceglie di isolarne l’impenetrabile ambiguità: la neve insieme ostacolo e protezione dalle minacce, è il palcoscenico di un dramma, quello della vita, da cui ne discendono tanti altri, piccoli e grandi. L’uomo si costruisce e si definisce in rapporto al mondo che lo circonda. La natura riflette problemi concreti e tensioni immateriali.
Il gioco del tempo, i problemi di ieri e di oggi, il bianco e nero
Non è cinema delle scorciatoie e oltre alla dialettica uomo/ambiente ingaggia una relazione sofisticata e spiazzante con il tempo. I morti rimangono con la bocca aperta è il testamento del passato che posa la sua ombra sul presente e sul futuro. Guerre divisioni, lacerazioni e scelte morali impossibili. L’eco del passato, ricostruito con toni a metà strada tra il brutto sogno e la cronaca rigorosa, si esprime nella dialettica costante tra silenzio e squarci di rumore, macchina da presa agganciata al volto (ai volti) e campi larghi, voce fuori campo e dialoghi fitti.
Il gioco con il tempo non si ferma qui. I morti rimangono con la bocca aperta, nella potenza espressiva e nostalgica del suo bianco e nero davvero notevole, mescola audacemente le carte e illustra la natura storicamente trasversale dei problemi affrontati. Le scelte e i temi sono il retaggio di un’epoca sepolta ma ci appartengono, certo che ci appartengono, tanto quanto i fantasmi della messa in scena e le scelte che li caratterizzano. Ma l’idea è di spingersi anche oltre, intervenendo pesantemente sul meccanismo narrativo.
Fabrizio Ferraro definisce un intreccio di deliberata asciuttezza ma non si accontenta di un’esposizione lineare, la scompone e la frammenta, spostando le tessere del puzzle e annientando qualsiasi velleità di progressione cronologica. Il film è il collage di momenti riconducibili al medesimo frangente storico ma ordinati in maniera non lineare. Contano le emozioni e le idee, più dei fatti. L’orizzonte che il film insegue, al fondo di una proposta impegnativa e molto curata, consiste nel ridimensionare le convenzioni in favore di una chiave espressiva e tematica peculiare.