Roma FF17 – January: recensione del film di Viesturs Kairiss
Il titolo, in concorso nella sezione Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma 2022, è un tributo a tutti i sognatori ed usa come filtro narrativo e registico il cinema, raccontando l'indipendenza della Lettonia con trasporto e frammentarietà.
January è la nuova opera cinematografica di Viesturs Kairiss, un autore lettone dalla vasta carriera artistica che lo ha visto lavorare nel mondo del cinema, del teatro e nell’opera. La realizzazione è stata originariamente presentata a giugno al Tribeca Film Festival dove ha vinto il prestigioso Best International Narrative Feature che dimostra sicuramente l’apprezzamento di pubblico e critica ad un progetto veramente peculiare, dall’identità multiforme, stratificata è complessa. Si parte dalla lotta per l’indipendenza della Lettonia e in particolare da un evento storico realmente accaduto nel 1991.
January infatti comincia mostrando la crudeltà della polizia segreta russa che ha sequestrato un gruppo di giornalisti per impedirgli di diffondere la notizia dell’emancipazione del paese sopracitato, con dei primi passi avvenuti nel 1990. A registrare tutto, il giovane protagonista, Jazis (Karlis Arnolds Avots) che sogna di diventare un regista affermato e che incapperà in una trasformazione esistenziale e artistica vertiginosa. Un titolo, presente in concorso alla Festa del Cinema di Roma 2022, che celebra la forza prorompente della pellicola, ma che sia dal punto di vista registico che narrativo incappa in una frammentarietà di forma e contenuto.
January: la macchina da presa come filtro esistenziale
January si apre con una didascalia che ci illustra pochi, ma esaustivi dati storici: siamo a gennaio del 1991 e nonostante una dichiarazione d’indipendenza formalmente firmata, la Lettonia non è ancora indipendente. Lo dimostra il fatto che la Russia marca ancora stretto il paese Baltico ed impedisce ai giornalisti di diffondere la notizia dell’avvicinamento all’emancipazione dello stato. Jazis è un giovane che ha scelto volontariamente di filmare questo evento e dal momento in cui prende la cinepresa del padre, membro del partito comunista, la sua strada è tracciata: diventerà un regista.
Il film segue la vita del giovane strutturando l’intera storia come un racconto di formazione dove la guerra, le armi, la lotta per la libertà hanno un ruolo fondamentale per l’arco evolutivo del protagonista. La trama si snoda, registicamente, con uno stile davvero particolare che si avvale di diverse prospettive e punti di vista. La macchina da presa di Jazis, infatti, diventa un filtro attraverso il quale osservare i cambiamenti del suo paese che inevitabilmente sconvolgono direttamente e indirettamente la sua esistenza. Abbiamo quindi lo sguardo più puro e trasparente del personaggio che è dato dalla sua osservazione degli eventi senza influssi esterni e poi abbiamo diversi piani registici dati proprio alla cinepresa, che mostra allo spettatore l’evoluzione artistica dello stesso Jazis.
Quest’ultimo, mano a mano che la pellicola prosegue, cambia più volte il suo approccio alla regia, influenzato ovviamente dai suoi studi, dai suoi grandi maestri della settima arte (su tutti, Jarmusch, Herzog, Bergman e Tarkovskij) e dall’esplorazione e sperimentazione sul campo. Il più grande cambiamento si verifica, all’interno della realizzazione, quando il ragazzo decide di passare all’azione ed è lì che avviene metaforicamente la sua catarsi: il cinema quindi, da uno stato esistenziale e filosofico come lo pensava inizialmente il personaggio, diventa militante, documentaristico e schietto. Tutti questi processi li vediamo su schermo con una trasparenza toccante e travolgente che ovviamente sono legati pedissequamente alla caratterizzazione del protagonista.
Sul fronte narrativo, January fornisce allo spettatore gli strumenti giusti per comprendere due elementi chiave della trama: da un lato l’evoluzione artistica ed esistenziale del protagonista, dall’altro il conflitto tra Russia e Lettonia che peggiora sempre di più. Detto questo, se il contesto storico è presente, non è per nulla invadente perché l’obiettivo di Viesturs Kairiss non è riportare l’evento in sé, ma gli effetti che ha provocato nel cuore e nelle menti delle persone. Ecco perché la sceneggiatura nasconde una profonda connessione tra la psicologia dei vari primari e comprimari della storia e le loro varie reazioni in base a ciò che accade nel loro paese.
January: tante direzioni e scelte, con poca chiarezza
Lo script (co-scritto da Viesturs Kairiss insieme a Andris Feldmanis e Livia Ulman), però, si perde per strada, specialmente nella sezione conclusiva dove avviene la maturazione vera e propria di Jazkis. Arrivati a quel punto, la sceneggiatura sembra abbandonare totalmente la sua funzione e inizia a prendere delle soluzioni talmente tanto improvvise, da sembrare casuali. È pur vero che in questa fase del progetto l’autore sembra rifugiarsi più nella regia che nel copione, ma il testo è comunque necessario per guidare al meglio lo spettatore. Si nota, inoltre, che la scelta di affidarsi a più punti di vista diventa difficile da gestire anche dalla scrittura che non riesce più a capire dove andare a parare.
Lo stesso problema, purtroppo, si verifica in January anche nel comparto registico. La sovrabbondanza di piani estetici e artistici diventa insostenibile specialmente nel momento in cui il film-maker abbandona totalmente il controllo per veicolare al pubblico più messaggi, temi e sentimenti. Proprio per questo motivo, il lungometraggio diventa a quel punto di difficile lettura, oltre al fatto che la vita del protagonista diventa confusionaria, un caos accentuato da un montaggio molto molto serrato che accelera molto rapidamente le ultime scene del titolo. Nel finale, per fortuna, si ritorna ad un ritmo decisamente più compassato che chiude degnamente il film, dopo questa problematica parantesi.
Degna di menzione è la colonna sonora scelta che riesce sempre ad essere al passo con lo sviluppo repentino ed emotivo della storia: ogni brano identifica un lato preciso della psicologia del protagonista, così come quella dei vari personaggi secondari presenti. Si passa dalla meditazione, alla ribellione, dalla consapevolezza alla triste, ma solida rassegnazione. Plauso inoltre a Karlis Arnolds Avots, un giovane attore che con il suo incredibile talento guida l’intero cast: con la sua interpretazione evanescente ed eterea rispecchia perfettamente la mentalità del suo alter ego cinematografico, in perenne ricerca di una dimensione nel mondo.
January è un lungometraggio complesso che racconta la storia, in particolare la lotta per l’indipendenza della Lettonia nel 1991, in modo originale e delicato. Registicamente, l’autore si avvale di diversi registri stilistici sfruttando in particolare la macchina da presa del protagonista come filtro di ogni evento che accade all’interno del racconto. Se tale approccio è funzionale ed estremamente coraggioso, specialmente nella parte finale diventa difficile da comprendere, così come la sceneggiatura, all’inizio legata fortemente alla psicologia dei personaggi, ma che poi diventa confusa. Una pellicola che è senza dubbio travolgente, ma che purtroppo è poco chiara in alcuni passaggi fondamentali.