Roma FF17 – The Fabelmans: recensione del capolavoro di Steven Spielberg
La pellicola, presentata in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma 2022, rappresenta pienamente la devozione e passione che Spielberg ha sempre dedicato alla settima arte. Un'opera totalizzante, ricca e fortemente emotiva, una storia che riguarda tutti.
The Fabelmans è l’ultima creatura cinematografica di Steven Spielberg, un nome gigantesco che, ancora una volta, con questo film, ha saputo brillare e stupire, aprendosi al pubblico nel modo più sincero ed intimo possibile. La pellicola è stata inizialmente proiettata al Toronto International Film Festival, dove ha conquistato il People’s Choice Award, ed è stata presentata in anteprima nazionale alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma in collaborazione con Alice nella Città. Il titolo sarà nelle sale italiane dal 22 dicembre 2022 grazie a 01Distribution.
The Fabelmans ha una dote davvero rara, che ultimamente non è per nulla semplice rintracciare nelle varie opere che affollano il grande e piccolo schermo: la profonda empatia. Dal primo momento in cui vediamo Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle da ragazzo), la sua storia diventa automaticamente la nostra, perché il cinema, per quanto possa essere una passione per moltissimi, un’ossessione per alcuni, un lavoro per visionari e sognatori, ha incrociato la strada di tutti, nel bene e nel male. Vedere la propria esperienza di vita riflessa in uno specchio può provocare turbamento, forti emozioni, ma parla con chiarezza alla nostra interiorità e ci fa innamorare ancora una volta del Cinema.
The Fabelmans: una passione bruciante e salvifica
The Fabelmans ha un obiettivo ben preciso e puntuale, che viene perseguito per l’intera durata del lungometraggio: raccontare una passione, ovviamente nel caso di Spielberg è l’arte di fare film, ma il suo discorso è talmente tanto complesso e ricco di sfumature da potersi applicare più generalmente alle nostre ambizioni e desideri più ardenti. L’approccio del giovane protagonista al Cinema è una lezione di vita profonda, priva di ogni orpello motivazionale o di una retorica spicciola, il suo ardore e la sua insana ostinazione diventano quello degli spettatori. Da quella prima volta in sala, nel 1952, a vedere Il più grande spettacolo del mondo, all’inizio della sua carriera nella parte conclusiva della pellicola, il cineasta riesce a non mollare mai la presa sul pubblico.
Ci riesce non solo perché la storia che racconta è ovviamente sincera e vera, perché è effettivamente la sua anche se nascosta da degli pseudonimi, ma anche perché descrive la sua passione con tutte le sfumature possibili ed il miracolo si verifica quando arriva a condensare, in circa 2 ore 30 di girato, tutti i successi e le sconfitte, la gloria e il trionfo, i fallimenti e gli ostacoli del suo viaggio emotivo e artistico che poi convoglia nel suo lavoro da regista. “Il cinema è solo un hobby”, è “un’arte che ti spezza in due”, è un mondo salvifico, ma anche pericoloso: tutte parole che non ci risultano nuove, specialmente se almeno una volta nella vita abbiamo trovato qualcosa che ci smuove l’animo da dentro.
Per raggiungere questa particolare connessione con gli spettatori, in The Fabelmans la regia di Spielberg è in continua trasformazione ed evoluzione: rappresentativo in tal senso è il cammino registico che fa proprio Sammy, che viene mostrato dall’inizio alla fine dal suo punto di vista, cominciando con una semplice scena dove un treno si schianta contro una macchina, arrivando poi a sequenze più complesse e ricche di comparse, soluzioni ardite, inquadrature inaspettate. Il nostro sguardo, di conseguenza, guarda avanti e dietro la cinepresa, osserva il risultato finale, ma anche la preparazione che c’è dietro. Non c’è probabilmente modo migliore per incarnare il vero significato del Cinema, perché si unisce emozione, tecnica, artigianalità e rigore.
Ed è lì che avviene lo stupore e la magia, proprio nel momento in cui, parallelamente, il film-maker ci parla da un lato della sua inesauribile forza d’animo che ripone nella sua arte preferita nonostante i continui conflitti interni ed esterni che coinvolgono in particolare la sua famiglia; dall’altro, con la macchina da presa, ci pone davanti alla sua visione e ci fa crescere con lui, ci ispira, seduce, ma anche allontana. Ma incredibilmente, il film riesce a non essere solo questo, perché la regia non solo riproduce una passione in maniera millimetrica ed emotiva, ma sceglie anche di rappresentare il Cinema dall’altra parte della barricata, dalla prospettiva degli spettatori.
The Fabelmans: un racconto universale
In The Fabelmans, infatti, l’occhio di Spielberg si concentra profondamente sulle risposte emotive dei vari personaggi alle opere di Sammy ed è curioso notare come ognuna di loro è diversa, proprio come sono differenti le opinioni di ognuno di noi di fronte ad un particolare film, nessuna è replicabile ed è questo uno degli elementi più affascinanti della settima arte. Se uniamo quindi la sua esperienza sul campo alle reazioni effettive degli altri, arriviamo diretti ad un’universalità che riesce a ricoprire a tutto tondo l’esperienza cinematografica.
Questa avventura totalizzante è resa ancora più evidente da un copione, redatto dallo stesso regista in compagnia di Tony Kushner, che racchiude, probabilmente, tutte le variabili emotive dell’essere umano senza però rinunciare ad una divisione a tappe chirurgica e perfetta, quasi rappresentando l’esigenza di un controllo nel processo artistico. In essa confluiscono il dramma familiare che tra l’altro ha un ruolo fondante all’interno della trama ad una comicità genuina e spontanea. Il tutto tenuto legato da un esistenzialismo brillante, che emerge in alcuni passaggi narrativi chiave del film, tra i quali spicca, in particolare, l’incontro con John Ford, un momento catartico che riesce a racchiudere in pochi minuti l’intero significato della realizzazione.
Parlando degli interpreti del film, si avverte una familiarità impressionante (dimostrando una ricerca notevole da parte del casting), seguita poi da una certezza: il talento smisurato per ogni singolo attore coinvolto all’interno del progetto. Inevitabilmente, però, c’è sempre chi ruba la scena e in questo caso non abbiamo dubbi nel definire Michelle Williams il vero astro splendente, una figura cardine per la vita del protagonista che è stata riportata alla luce con sentimento e delicatezza. Non possiamo inoltre dimenticarci di quel David Lynch che torna sul grande schermo con una parte profetica e metacinematografica, un attestato di stima artistica che non passa inosservata. E silenzioso, in un angolo, in modo composto, elegante e servile, c’è anche John Williams e la sua musica, un impronta fondamentale e indispensabile per la riuscita del lungometraggio.
The Fabelmans è un lungometraggio che ti rimane dentro, che brucia con un’intensità strabiliante ed esplosiva, che ci tiene in piedi, incollati allo schermo ad osservare l’epopea umana, ma eccezionale di un regista che ha votato l’intera vita alla sua passione. Grazie al potere narrativo e immaginifico del cinema, quella sua ossessione così ostinata diventa la nostra, una storia che non può passare in sordina perché la regia ci tiene per mano, mostrandoci la sua arte in profondità su più livelli interpretativi. Anche la sceneggiatura è immersiva e profonda nella sua costruzione e contenuto, rappresentando diverse sfumature emotive, ma mantenendo una linea ordinata e puntuale. Il sogno diventa vero e tangibile, infine, grazie anche alle essenziali note di Williams e lo smisurato talento degli attori: degli elementi fin troppo importanti che ci legano ancora più alla fiaba cinematografica di Steven Spielberg.