Descendant: l’ultima nave schiavista – recensione del documentario Netflix
Il documentario di Margaret Brown che racconta la storia dell'ultima nave negriera, la Clotilda, attraverso le testimonianze dei discendenti dei cittadini africani trasportati con la forza negli U.S.A.
È disponibile, dal 21 ottobre 2022, su Netflix, il documentario, premiato al Sundance 2022, Descendant – L’ultima nave schiavista. La regista Margaret Brown ripercorre, nel film, la storia della ricerca e del ritrovamento della Clotilda, nave che attorno al 1860 portò, negli Stati Uniti, l’ultimo gruppo conosciuto di schiavi africani.
Nonostante dal 1808 il Congresso avesse reso illegale l’importazione di schiavi e nel 1860, con l’elezione del Presidente Lincoln, la schiavitù fosse diventata illegale, il capitano confederato Timothy Meaher, quasi per scommessa, in spregio alla nuova legge contro la schiavitù, si imbarcò nella turpe impresa. Una volta arrivato nei pressi di Mobile, Alabama, Meaher, per evitare conseguenze legali, distrusse l’imbarcazione con gli africani a bordo. Furono in pochi a salvarsi, fra cui Cudjo Lewis, la cui testimonianza è stata raccolta dalla scrittrice afroamericana e pioniera del documentario antropologico, Zora Neale Hurston, nel romanzo Barracoon (1936) e in alcuni filmati, da lei personalmente girati.
La Brown parte dalle testimonianze orali, registrate dalla Hurston, per costruire quella che, inizialmente, sembra una detection storico-antropologica. Per i primi quaranta minuti circa, Descendant racconta, infatti, l’indagine svolta da reporter investigativi, normali cittadini e da Kamau, presidente dell’associazione nazionale Black Scuba Divers. Il tutto all’interno di una cornice Storica/concettuale, definita dagli estratti di Barracoon e dalle testimonianze degli eredi di alcuni dei cittadini africani sopravvissuti e che vivono ancora a Mobile, nella cittadina-ghetto di Africatown.
La scelta della Brown di presentare il ritrovamento della Clotilda poco dopo la metà del film, sembra optare per un anti-climax narrativo, che rischia di togliere potenza alla narrazione della seconda parte. Invece l’artificio è funzionale a spingere lo spettatore a concentrarsi sul reale scopo di Descendant. Ovvero quello di raccontare le connessioni fra la memoria di una tragedia radicata nella storia americana e la condizione presente degli afroamericani. Da un lato queste connessioni riguardano la costruzione di un’identità collettiva che discende da quella di persone i cui corpi sono stati letteralmente mercificati. Quindi corpi trasformati nell’oggetto di alterità, rispetto al quale, volente o nolente, la cultura bianca americana ha costruito la propria identità nazionale e attorno cui ha costruito il proprio concetto di libertà. Di converso gli afroamericani fino a tempi recenti, hanno dovuto lottare per vedere riconosciuto il proprio statuto di soggetto identitario autonomo, con una propria prospettiva sulla storia statunitense, relativo concetto di libertà e una propria specificità culturale che ha le sue radici in Africa. Dall’altro lato la Brown sottolinea come, ancora oggi, il dominio bianco cerca di rinnovarsi attraverso un ulteriore addomesticamento del corpo sociale afroamericano: quello dei processi di zonizzazione, attraverso i quali attorno alle zone più povere, ad alto concentramento di abitanti afroamericani, sono stati costruiti vari stabilimenti industriali, i cui rifiuti condizionano la salute degli abitanti, aumentandone, nel caso di Africatown, la mortalità per cancro. Così facendo la regista, con grande intelligenza, lega la problematica razziale a quella economica – la proprietà delle terre dove vengono costruiti gli stabilimenti è principalmente w.a.s.p. – e dà un respiro più ampio alla battaglia portata avanti dai cittadini di Africatown, per ricostruire la memoria degli eventi legati alla Clotilda.
Proprio dall’importanza che la memoria assume in questo contesto, emerge un’ulteriore chiave di lettura per il lavoro della Brown. Quella che vede nel cinema documentario il dispositivo ideale di registrazione, in grado di riportare alla luce la voce dei morti e delle vittime della Storia. La memoria di un’intera collettività, in questo caso. Il Descendant infatti, per quanto, sia anche la ricostruzione di una verità storica è soprattutto un’indagine sul funzionamento della memoria. Una memoria che si dipana nelle interviste ai membri della comunità di Africatown, lungo il sentiero dell’intera storia degli afroamericani, come manifestazione di un flusso vitale continuo. Un racconto puntellato da immagini di filmati antropologici d’epoca, di spezzoni televisivi, home movies e infine di documentari, che, grazie al dispositivo filmico, si fanno traccia indelebile di ciò che le strutture di potere, che detengono il monopolio della memoria ufficiale americana, avrebbero voluto cancellare. In questa prospettiva la memoria filmica diventa così vettore politico, cioè una nuova radice ideale per una comunità che, in seno all’America bianca, non ha mai smesso di affermare la propria identità.