High: confessioni di una trafficante di droga a Ibiza – recensione

Ci mette 40 giorni Michaella McCollum a diventare una trafficante di droga. Le ci vuole poco più di un mese per passare dalle campagne irlandesi alle di strisce di cocaina nei bagni spagnoli. La sua storia ce la racconta Netflix nel documentario High: confessioni di una trafficante di droga a Ibiza, sulla piattaforma dal 21 ottobre 2022.

Ma come ha fatto un’aspirante modella con lo chignon più gonfio d’Europa a finire in Perù con 11 chili di cocaina nella valigia? Lo scopriamo nella docuserie in 5 parti che sembra voler puntare il dito sulla sua scarsa moralità, sulla sua sete di denaro e, più di tutto, sulla sua totale superficialità.

High: la storia delle Perù 2

High: confessioni di una trafficante di droga a Ibiza recensione cinematographe.it

Nell’estate del 2013 McCollum parte per Ibiza con un biglietto di sola andata. Vuole far festa, vuole diventare una modella e vuole far soldi. Non necessariamente in quest’ordine. La festa, però, comincia quasi subito: la ragazza si getta nei locali ancor prima di disfare la valigia, ci racconta lei stessa fuori campo. È infatti la vera Michaella a districare la vicenda (con l’aiuto di una messa in scena di accompagnamento), ma nulla di quello che ci dice riesce a giocare a suo favore. È giovane e stupida e le ci vuole molto poco per cadere nelle mani della gente sbagliata.

Lavora come cameriera ed entra in contatto con uno spacciatore di droga che le offre del denaro per farsi aiutare a importare un carico nella città spagnola. Lei, dichiaratamente sotto l’effetto di acidi, accetta; sale su un aereo per Lima, assolutamente ignara che si tratti di un viaggio intercontinentale (“la geografia non è mai stata il mio forte”, dice) e, accompagnata dalla coetanea scozzese Melissa Reid, si fa arrestare all’aeroporto Peruviano saltando immediatamente alle luci della ribalta come parte del duo conosciuto come Perù 2.

Netflix ci racconta la storia di Michaella, senza vittimismi

Ne esce malissimo Michaella da tutta questa vicenda. High: confessioni di una trafficante di droga a Ibiza smorza sempre molto rapidamente ogni tentativo di rendersi vittima, di farci pena. Quello che vediamo è il ritratto di una persona sì ingenua, ma anche senza nessun tipo di rimorso: è solo dispiaciuta di essere stata beccata. Usa molto facilmente frasi come ”facciamo tutti cose stupide quando siamo fatti”, minimizzando ogni sua azione, ogni decisione sbagliata, subordinandosi all’inesperienza del mondo.

Povera me”, sembra dire McCollum, ma è un vittimismo che non giunge mai allo spettatore il quale non può fare a meno di prendersi gioco di quella ragazza irlandese che ha accettato di trasportare 11 chili di cocaina per 5.000 sterline. Sì, 5.000 sterline. Anche la sua migliore amica ai tempi di Ibiza, Parry, stenta a credere che la ragazza abbia rovinato la sua vita per una cifra così misera, ma ce lo dice Michaella: “facciamo tutti cose stupide quando siamo fatti”. Appunto.

Non c’è dubbio che la docuserie Netflix sia una visione interessante, soprattutto se siete incuriositi dai meccanismi dei drug mules (coloro che si occupano di trasportare fisicamente la droga oltre i confini). Ci vengono infatti offerte diverse finestre sul mondo del narcotraffico e ci lasciano persino sospettare che le povere Michaella e Melissa siano state usate come distrazione per portare in Europa un carico molto più sostanzioso. Sarà così? Poco importa. McCollum e Reid vengono condannate a 6 anni e qualche mese in prigione (dopo aver patteggiato gli iniziali 15 anni) e il loro tentativo di far credere alle autorità di essere state costrette dagli energumeni del cartello crollano rapidamente: è stata una loro decisione cosciente.

L’ultimo episodio della serie si concentra sul soggiorno della ragazza in una prigione di massima sicurezza in Perù, circondata da stupratori e assassini. Ci racconta che è lì che ha deciso di maturare e di crescere come persona, di diventare qualcosa di più che una trafficante di cocaina beccata in aeroporto.
Questo tentativo di redenzione portato avanti da Michaella e dalla serie, però, nonostante non sia una sorpresa (a Netflix piace tantissimo concludere questo genere di storie con il riscatto personale del suo protagonista), suona abbastanza falso; non perché non sia vero – speriamo di cuore che McCollum abbia imparato la lezione – ma perché suona come il prezzo che ha pagato la produzione per avere il contributo della ragazza.

Michaella è molto meno relatable di quello che crede, ma la sua storia sembra davvero fatta apposta per essere raccontata.

Voti:
Regia 3
Sceneggiatura 3
Sonoro 2
Fotografia 2,5
Emozione 3

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