Roma FF17 – The Land of Dreams: recensione del musical di Nicola Abbatangelo
La colonna sonora sovrasta le parole, il sogno inchioda i protagonisti alla realtà. The Land of Dreams insegue l'idea del musical ma lo trasforma in chimera, il risultato è un'opera prima che pensa in grande ma si poggia su una sceneggiatura fin troppo esile e su un comparto tecnico e artistico eccellente ma non adeguatamente collaudato. Abbatangelo tenta una grande impresa, ma è ancora solo all'inizio. Può fare di meglio, ne siamo certi!
La fascinazione esercitata dal sogno americano si inerpica in The Land of Dreams, il primo lungometraggio di Nicola Abbatangelo, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022 nella sezione parallela di Alice nella Città e al cinema dal 10 novembre 2022.
Un film che si espande nelle sfumature della fiaba per poi gettarsi a capofitto tra le beghe arzigogolate del musical, ancorandosi tuttavia al profilo di una commedia romantica. Un’opera ambiziosa, che però si rifugia nella carcassa di un’illusione che non riesce mai fino in fondo a conquistarci.
Il sogno americano in The Land of Dreams, l’opera prima di Nicola Abbatangelo
The Land of Dreams apre il sipario sotto le bombe della Grande Guerra, incarnando la magia e il potere dell’immaginazione nella presenza di una donna che suona il piano: è una visione fallace, che uccide e al contempo tesse un fil rouge che avvolgerà l’intera pellicola, dirottandoci negli svariati livelli del sogno, tra le consuete grotte della fantasia e del male e nella New York dei ruggenti anni ’20, fatta di lustrini, malavita e musica.
Dai piani alti del sontuoso Choo Choo Train scendiamo fino alle cucine per arrivare faccia a faccia con Eva (Caterina Shulha), giovane immigrata italiana che lavora come lavapiatti, sognando il palcoscenico. È già in questo frangente che Abbatangelo inserisce la nota prettamente musicale, lasciando scivolare sulle note di Fabrizio Mancinelli una coreografia che preannuncia l’intenzione fastosa di emulare i grandi musical hollywoodiani, assorbendo forse inconsapevolmente le fattezze di una fiaba in cui è netta e ingombrante la divisione tra buoni e cattivi.
The Land of Dreams si dipana in un triangolo amoroso sbilanciato sullo sfondo di una terra che promette gloria ed elargisce possibilità. Ma tutto ha un prezzo e a stabilirlo sono sempre i più forti, incipriati di buonismo sotto la maschera della prepotenza, la stessa che indossa il boss mafioso Clemente Proietti, interpretato da Edoardo Pesce, il quale ruba le maniere alla Bestia della favola Disney, senza però celare nessuna nobiltà d’animo, incarnando piuttosto lo stereotipo dell’italiano malavitoso e sessista, pretenzioso dell’amore di Eva.
La ragazza, spesso ritratta in quadretti che rimembrano scenari alla Cenerentola, si lascia ammaliare tanto dalla fama e dalla concretezza promessa dal villain quanto – e soprattutto – dal fascino di Armie (George Blagden), in cui si coagula ciò che di immaginifico può esserci nella realtà. Il regista (che ha firmato anche la sceneggiatura insieme a Davide Orsini) usa questo personaggio per infiltrare all’interno della narrazione la spettacolarità che scaturisce dal sogno, relegando Armie tra i meandri di una casa fatiscente in cui però, grazie al suo particolare potere, ogni desiderio diviene realtà.
Il sogno è niente senza l’esagerazione
In questa prospettiva Abbatangelo riflette sulla perdita, sull’impossibilità umana di andare avanti dinnanzi alla morte di un proprio caro (nel caso di Armie, il fratello deceduto al fronte), lasciando che il lutto imploda in un circuito di perenne riproposizione surreale, alimentando fantasmi che però non riescono fino in fondo a bucare la realtà e a ribaltarla. Manca, in The Land of Dreams, quell’esagerazione che si addice alla finzione e ciò rischia di far collassare l’intera pellicola.
L’autore sogna e lo fa in grande, si spinge oltre il confine dello scibile, avvalendosi degli scintillanti costumi di Roberto Conforti e del trucco e delle acconciature di Francesca Tampieri e Alberico D’Alessandro, che però in certi casi appesantiscono le movenze di una Caterina Shulha incastrata in un’interpretazione che avrebbe richiesto maggiore esercizio e dinamicità. Insieme a lei, anche il resto del cast (a eccezione del già collaudato nel genere George Blagden) soffre della mancanza di quella grammatica corporea che avrebbe legato meglio il musicare al dialogare e la fisicità alla scenografia. A non aiutare è certamente anche l’impiego della lingua inglese che, poggiata sulle labbra di interpreti assai noti nella scena nazionale – Paolo Calabresi, Marina Rocco, Ryan Reid, Stefano Fresi, Carla Signoris, oltre a Kevin Guthrie e Nathan Amzi e ai già citati Caterina Shulha ed Edoardo Pesce – forza la pretenziosità, tendendoci la mano verso un livello di complessità superiore, che però tarda ad arrivare. Dettaglio, questo, che sicuramente sarà spazzato via dall’impiego del doppiaggio.
A mancare è quindi la giusta chimica tra le note, le parole, i passi di danza e le emozioni; il pubblico soffre l’assenza di uno slancio in grado di fargli abbassare la guardia nei confronti della concretezza per immetterlo prepotentemente in una dimensione in cui tutto è possibile, anche solo per la durata di un film. Lo stesso spessore psicologico dei protagonisti resta invischiato in un limbo deturpato dall’inettitudine in cui neanche la forza di una passione travolgente come l’amore sembra sconvolgere la prospettiva di una trama prevedibile.
The Land of Dreams: gli ingredienti (quasi) giusti per un musical che vorrebbe volare alto, ma resta schiacciato al suolo
Il sogno resta recluso in quella casa fatiscente che vediamo nel film, senza conferirci il brio della reale illusione. The Land of Dreams si avvinghia ai lustrini senza preoccuparsi di luccicare, impiega la meraviglia senza rimarcarla con la verità e pone a vista tutti gli ingranaggi della narrazione, spegnendo gradualmente l’entusiasmo.
Tuttavia, l’unica pecca di Nicola Abbatangelo è stata quella di essersi rifugiato nel sogno di portare sul grande schermo un’opera italiana, ma intagliandola sulla stoffa del grande cinema americano. Il regista ha osato omaggiare un certo tipo di messa in scena, un’idea di settima arte che dovrebbe seguire delle logiche ben precise e, nonostante in apparenza tutto potrebbe essere al proprio posto e inseguire la perfezione, la miscelazione finale manca di appeal e carisma.
Non va dimenticato, anzi va sottolineato, che The Land of Dreams è solo un’opera prima e va vista col beneficio della clemenza e la certezza che, pur non avendo ancora trovato la quadra, Abbatangelo abbia in canna i presupposti giusti per creare una nuova opera vincente e bilanciata.
Il film è al cinema dal 10 novembre con 01 Distribution, prodotto da Lotus Production, una società Leone Film Group, con Rai Cinema, in associazione con 3 Marys Entertainment, prodotto da Marco Belardi.