1899: recensione della surreale serie Netflix dagli autori di Dark
Abbiamo visto in anteprima i primi sei episodi dell'intrigante e misteriosa 1899 e possiamo dirvi che supera ogni aspettativa
La serialità controcorrente, così può essere descritta la narrativa di Baran bo Odar e Jantjie Friese. Grazie ad un intreccio cervellotico, scandito da citazioni colte e riprese suggestive, hanno dimostrato di poter andare oltre allo standard contenutistico a cui siamo ormai abituati. La volontà dei due autori è quella di far spremere le meningi al pubblico, e non trascinarlo sereno in una visione lineare e passiva. Il loro è un gioco suadente e a volte frustrante, in cui acume e memoria la fanno da padrone. Vorremmo fuggire come i personaggi dalla perversa stanza che hanno creato per noi, ma la forza magnetica delle immagini e della musica ci trascinano inesorabilmente dentro lo schermo. Lo avevamo capito con Dark, ma è ancora più evidente con 1899, la serie in uscita su Netflix il 17 novembre.
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Dalla serie esordio, gli ideatori ripescano volti, concezioni e il feticcio dei riferimenti letterari e scientifici, per non parlare dei continui rimandi di forme, inquadrature e parole. A tal proposito è proprio con una poesia di Emily Dickinson che ha inizio il racconto, in una sequenza di immagini riprese dall’alto, osservate quindi da un occhio divino e perverso. Le parole della poetessa saranno un monito, il totem con cui ci muoveremo lungo i vari episodi, e mai dovremmo dimenticarne il senso.
Realtà e sogni, è tra questi due campi che rimbalziamo come palline da ping pong per tutta la stagione di 1899. Non riusciamo a distinguere il vero dal falso, esattamente come i protagonisti della serie, continuamente irretiti da visioni cruente. Ognuno di loro fugge da qualcosa, e noi ne vediamo il passato attraverso le allucinazioni, che fungono anche da flashback; differenziandosi così dal metodo Lost. Ma non è solo questo a rendere la serie un’opera imperdibile, sono i piccoli dettagli e soprattutto il dialogo continuo con il pubblico. Ma veniamo ora al corpus dei primi sei episodi visti in anteprima.
Un folle viaggio corale e multilinguistico a bordo della Kerberos
Dark ha spiazzato il pubblico, divenendo fonte di dibattito per lungo tempo. Le prime due stagioni non possiamo che definirle perfette, mentre la terza ha subito qualche inciampo, riuscendo comunque a chiudere il cerchio in modo intelligente. 1899 farà lo stesso, aprendo un dialogo continuo; durante e dopo la visione. Preparate carta e penna, prendete appunti, perché la serie Netflix sarà materia di studio e a fine stagione verrete interrogati. Ogni tassello, ogni singola parola ha una sua valenza per la comprensione del racconto, niente può essere lasciato al caso. Ma esattamente di cosa parla 1899?
La prima sequenza delinea fin da subito la follia in cui verremo gettati, tra piramidi e manicomi. Da lì a breve verremo trasportati sulla Kerberos, una nave in cui ogni passeggero nasconde un segreto, tra cui l’imbarcazione stessa. Dopo aver ricevuto un segnale dalla Prometheus, una nave scomparsa da quattro mesi, il capitano della Kerberos decide di andarle in soccorso, sperando di trovare ancora qualcuno vivo. Eppure, dal ritrovamento in poi niente sarà più lo stesso, e su entrambe le navi inizieranno a verificarsi strani e inspiegabili avvenimenti che porteranno allo squilibrio dei personaggi.
Con 1899 Odar e Friese optano per un racconto corale multilinguistico, in cui la barriera linguistica si sovrappone alle visioni nel mandare in cortocircuito i protagonisti. Ed è per questo che ne consigliamo la visione in originale, in quanto il doppiaggio mina completamente la comprensione di tale aspetto del racconto. Francesi, tedeschi, inglesi, cinesi e polacchi, quella del Kerberos è una compagnia eterogenea di persone, culture e tradizioni. Non possiamo dire molto sulla trama, in quanto ogni passo condurrebbe ad uno spoiler, come in un campo minato. Il mistero che Netflix ha creato per noi è fitto, intricato, fatto di piccoli e grandi rimandi, e anche dopo sei episodi siamo alla deriva esattamente come i passeggeri della nave.
La sublime arte del mistero di 1899
È un rapporto stretto quello che noi intratteniamo con i protagonisti della storia. Dopo ogni visione del passato, questi vengono ridestati dalla parola “svegliati”, e che riteniamo riferirsi anche a noi, come a sottolineare l’attenzione che dobbiamo prestare al racconto. Allo stesso modo possiamo interpretarla come un non prestare attenzione ad una realtà falsa: ”svegliati, questa è tutta finzione”. Inoltre, il mistero di 1899 si dirama in ogni storyline, collegando tra loro i passeggeri della nave, vittime inconsapevoli di un esperimento altrui. In dark il punto focale era la fisica quantistica, qui, invece, è la psicologia. Quest’ultima viene plasmata allo sci-fi, passando dal thriller all’horror.
Notevole è l’utilizzo della soundtrack, a volte più suggestiva delle immagini stesse, racchiuse da un alone cupo, solenne e claustrofobico. Ogni episodio si conclude accompagnato da una canzone anacronistica, spaziando da White Rabbit dei Jefferson Airplane alla cover di All long the Watchtower di Jimi Hendrix. Una scelta all’inizio spiazzante, ma che dopo qualche episodio acquista una valenza significativi; come tutto d’altronde. Da notare come ogni elemento aggiunto, ogni segna d’esuberanza da parte di Baran bo Odar e Jantjie Friese non sia velleitario, ma importante alla comprensione della storia quanto nella sua visione; i due aspetti si mescolano nell’esperienza ultima della serie.
In 1899 non troviamo mai un vagheggiamento illusorio, come in altri prodotti, ma una piacevolezza nel narrare per enigmi. Non solo, alcune scelte registiche hanno più funzioni. Nello specifico ci riferiamo al movimento ondulatorio della videocamera, che ci restituisce sì l’oscillazione della nave, ma anche la deprivazione sensoriali che i protagonisti subiscono. Ancora una volta, realtà e sogno si fondono a livello narrativo e meta-narrativo. Sul piano della recitazione il cast svolge un ottimo lavoro di rappresentazione, dall’attore feticcio Andreas Pietschmann, il capitano, fino a Emily Beecham la protagonista.
Dai Black Sabbath a Kate Chopin
Come dicevamo, questa volta i due autori hanno scelto la psicologia come branca d’analisi per la loro storia. Non a caso la protagonista, Maura Franklin, è una psicologa dai ricordi corrotti, frammentati intenta nella lettura de Il risveglio di Kate Chopin. Il romanzo esplora proprio il risveglio dei sensi tra suggestioni visive e sonore della femminilità ottocentesca in contrapposizione con la normativa patriarcale dell’epoca (semplificando ampiamente la portata del testo). Tale citazione come quella di Emily Dickinson hanno valenza narrativa quanta esplorativa del contesto di appartenenza della serie; una sorta di corso di letteratura.
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Descritte così, le scelte degli autori sembrerebbero quasi un modo per darsi delle arie, ma non riteniamo siamo questa l’interpretazione da dare, quanto il continuo gioco che instaurano con il pubblico che abbiamo descritto precedentemente. 1899 riduce anche una certa apatia dei protagonisti presente in Dark in favore di maggiore “umanità” da parte degli stessi, ma non poteva essere altrimenti vista l’ampia natura corale del cast. Ed è qui che fanno capolino anche alcuni personaggi che possiamo definire comici.
Con 1899 passiamo da una poesia di Emily Dickinson ad una canzone dei Black Sabbath, dalla teoria darwiniana alla superstizione in un groviglio di dettagli. In conclusione, gli autori di Dark sono tornati su Netflix con il loro stile inconfondibile, suadente e cervellotico e noi non possiamo che esserne felici.
Composta da otto episodi, 1899 esce interamente su Netflix il 17 novembre 2022.