In Her Hands: recensione del documentario Netflix
Lo sguardo di una cinepresa scruta nel profondo la vita quotidiana di Zarifa Ghafari, ex sindaca della provincia di Maidan Wardak e attivista per i diritti delle donne afghane sotto il regime dei talebani.
Afghanistan, 2021. Dopo vent’anni di guerra contro il regime di Al-Qaeda e l’estremismo talebano, le truppe statunitensi si ritirano in massa dal territorio afghano, dando vita a una situazione in cui la sicurezza di tutto il Paese – e soprattutto delle donne – è compromessa.
A seguito della ritirata delle truppe USA, infatti, nella seconda metà del 2021 i gruppi dei talebani hanno rapidamente conquistato gran parte del territorio afghano. Quando anche Kabul è caduta, il futuro della nazione si è fatto sempre più buio.
Chi è Zarifa Ghafari e di cosa tratta In Her Hands
Zarifa Ghafari è la più giovane sindaca afghana, nota non solo per aver ricoperto la carica politica ad appena 26 anni, nella provincia di Maidan Wardak, ma anche e soprattutto per averlo fatto in quanto donna, in Afghanistan.
L’Afghanistan non è mai stato un Paese in cui essere donna è semplice, men che meno lo è diventato in seguito alla presa di potere del regime talebano.
Con una regia a quattro mani, questo intenso documentario che ha debuttato su Netflix lo scorso 16 novembre racconta da vicino due anni della vita di Zarifa Ghafari, dal gennaio 2020 alla caduta di Kabul e al suo necessario trasferimento in Germania.
Nel raccontare in 90 minuti la battaglia tuttora in corso dell’ex sindaca Zarifa Ghafari, i due registi Marcel Mettelsiefen (già candidato agli Oscar per il suo Watani: My Homeland) e Tamana Ayazi confezionano un prodotto documentaristico di apprezzabile qualità tecnica, intensità visiva e partecipata commozione.
Nonostante la piacevole fotografia che accompagna le scene, il documentario Netflix In Her Hands non ci mostra veli sulla condizione attuale della donna in Afghanistan, né sulla tragica situazione di povertà estrema in cui versa la maggior parte delle famiglie nel Paese martoriato dall’estremismo talebano.
Nel corso del suo incarico politico, Zarifa Ghafari ha ricevuto diverse minacce di morte da parte dei gruppi talebani: anche a certa gente del popolo, d’altronde, essere governati da una donna non sta affatto bene.
Il suo inseparabile bodyguard e autista Massoum è uno dei personaggi, insieme alla famiglia, alle sorelle e al fidanzato di Zarifa, che si racconta nel documentario: dedito completamente alla giovane sindaca, tanto da “divenire nemico dell’Emirato Islamico”, Massoum si sente orgoglioso di rischiare la vita per una donna come Zarifa che tanto si batte per i diritti delle sorelle afghane, soprattutto per quello allo studio.
Quando a Zarifa viene infatti assegnato un incarico al Ministero della Difesa dove non le è permesso avere come autista un civile, Massoum si ritrova disoccupato e si sente tradito dalla donna. In seguito alla presa dei talebani, anche Massoum cederà all’oscura tentazione di farsi amico il nemico di un tempo.
Nel documentario di Netflix In Her Hands persino il background su cui si muovono i soggetti sembra arido e inospitale: l’occhio della cinepresa ci mostra le lande desolate dell’Afghanistan e le sue montagne innevate, spesso covo di agguati.
La caduta di Kabul e la fuga dall’Afghanistan: il racconto di una guerra già dimenticata
Tutti ricordiamo le immagini scioccanti dei cittadini afghani, in gran parte donne, in fuga dal Paese dopo la presa della capitale da parte dei talebani: una moltitudine di persone che corre sulle piste degli aeroporti in cerca di salvezza.
Zarifa e i suoi familiari sono tra i fortunati: l’ex sindaca, infatti, riesce ad arrivare in Germania. D’altronde, le sue sorelle nel documentario esprimono ciò che pensano dei talebani molto chiaramente, durante una scena conviviale: mentre le ragazze sono a tavola, la sorella diciassettenne di Zarifa dice che preferirebbe gettarsi dal pozzo dell’ascensore piuttosto che andare in sposa a un uomo talebano.
Ma il cuore di Zarifa, durante il soggiorno in Europa, è indubbiamente altrove, così come la sua coscienza: Zarifa racconta di aver portato con sé un piccolo barattolo pieno di sabbia dell’Afghanistan e di non riuscire ad addormentarsi senza toccare con mano la sua stessa terra. Non solo: Zarifa non rimane indifferente alle immagini sui notiziari delle coraggiose donne afghane che marciano per il diritto all’istruzione (ad oggi a loro ancora non più consentito).
Zarifa sente di dover fare ancora qualcosa per il suo Paese: la vediamo dunque partire ancora una volta per l’Afghanistan per prendere parte a una trasmissione televisiva in cui fa appello in favore delle donne e della loro possibilità a istruirsi.
Eppure, quelle scene di afghani in fuga in massa dal loro stesso Paese, quelle stesse scene che ci avevano tanto scosso mesi e mesi fa qui nel lontano Occidente, sembrano oggi – a riguardare – tanto lontane.
In un climax sapientemente costruito, pur nell’autenticità del genere, In Her Hands emoziona e bussa alla porta delle nostre coscienze da privilegiati.
Chi è nato “dalla parte giusta” del mondo proverà sconcerto a trovarsi di fronte a una realtà che stride tanto rispetto alla propria, ma spesso le immagini non bastano, ci si dimentica in fretta.
Non bastano, è vero, ma In Her Hands è pur sempre un tassello di cui si ha bisogno, un’opera che di certo fa il suo lavoro.
Ai registi, chapeau. A Zarifa non possiamo che augurare il meglio per il futuro della sua amata nazione e del suo popolo sofferente.