Orlando: recensione del film con Michele Placido
Michele Placido è il protagonista di Orlando, il nuovo film diretto da Daniele Vicari (Diaz – Don’t Clean Up This Blood, Sole cuore e amore). Il veterano attore italiano recita al fianco della giovanissima Angelica Kazankova ed insieme a lei dà vita ad un film delicato ed emozionante, presentato in anteprima fuori concorso al Torino Film Festival 2022 e distribuito nelle sale dal 1° dicembre da Europictures.
Orlando, quando la musica riempie il silenzio più profondo
Girato tra Bruxelles e l’Italia, il viaggio di Orlando inizia da una piccola realtà rurale dell’Italia centrale. Poche sequenze, che però ci permettono di intuire profondamente la natura del protagonista. La scena in cui lo vediamo immerso in un contesto di musiche e sorrisi dura appena pochi attimi, giusto per farci capire che esiste, da qualche parte dentro di lui, un rimasuglio dell’uomo che era e che non è più. Subito dopo, invece, lo vediamo radicato in un mondo solitario, tra natura, animali e soprattutto silenzio. Quel silenzio che non lo abbandonerà mai, per la stragrande maggioranza del film, ma non sappiamo se abbia sempre fatto così tanta fatica a comunicare o se sia stata la vita, in qualche modo, a spingerlo verso una graduale regressione emotiva che lo ha visto chiudersi in un mondo interiore dove l’uso della parola non è più contemplato.
Orlando è un uomo anziano abituato a vivere nella realtà rurale della provincia di Rieti. Quando ormai ripete sempre la stessa routine per scandire quelli che considera gli ultimi anni della sua vita, quest’ultima le riserva un improvviso sconvolgimento che lui, almeno in apparenza, accoglie con tutta la placida passività del mondo. Suo figlio non sta bene e deve quindi raggiungerlo nella città di Bruxelles, allontanandosi così dal suo piccolo angolo di mondo per venire travolto da un vero e proprio uragano, rappresentato non solo dalla metropoli belga, tanto grigia quanto multicolor nel suo crocevia di culture diverse, ma anche, e soprattutto, dalla piccola Lyse. Una volta arrivato in città, infatti, Orlando scopre che suo figlio è morto e che, almeno inizialmente, dovrà occuparsi lui di una nipote della quale ignorava completamente l’esistenza. Quella che sembrava una breve parentesi da poter archiviare nel giro di pochi giorni, diventerà l’inizio di un percorso che cambierà per sempre la vita dei due protagonisti.
Tutta l’esperienza di Michele Placido al servizio di un ruolo non facile
Orlando è un film delicato e profondo, che nella sua semplicità strutturale invita lo spettatore a proiettare se stesso sullo schermo, proprio per riempire quei silenzi che dominano numerose sequenze dell’opera. Di certo, Daniele Vicari sceglie di proporre, come suo solito, un film durante la cui visione non ci si può certo fermare alla superficie o dal quale non si può pretendere di essere intrattenuti in maniera soddisfacente senza mettersi in gioco oppure rimanendo completamente passivi.
L’opera funziona soprattutto per i tanti equilibri che tengono in piedi il tutto. Sarebbe banale notare soltanto la differenza d’età che intercorre tra Orlando e Lyse. Questo rappresenta sicuramente l’aspetto più superficiale che, però, il regista italiano ed il co-sceneggiatore Andrea Cedrola riescono a mostrare in modo tutt’altro che banale. Dalla loro narrazione emerge soprattutto la perfetta e naturale alternanza tra delicatezza e rudezza, tra incontro e scontro, attraverso la quale i due si compensano e si insegnano a vivere a vicenda.
Un altro equilibrio perfetto è quello tra il fiume di parole e domande che escono dalla bocca di Lyse ed il linguaggio pressoché non-verbale di suo nonno. Il film è fondamentalmente drammatico e viene arricchito anche dall’intervento dei suoi personaggi secondari. Impossibile negare, però, che l’intera opera trova il suo principale valore nella performance di Michele Placido, assolutamente credibile nella parte e capace di tenere perfettamente la scena spezzando i silenzi con delle uscite tutte da ridere nella loro totale spontaneità.
Un film sulla perdita materiale e sulla perdita spirituale, sulla riscoperta di sé che avviene proprio quando si pensa di conoscere già tutto fin troppo bene, sulle seconde vite, sul rimettersi in gioco quando ormai “pedine e tabellone” erano stati deposti sul fondo di un cassetto, sulle emozioni sommerse ma mai sopite fino in fondo. Dove i gesti valgono più di mille parole e dove ad emergere è soprattutto l’amore per la vita, come nella più bella delle favole moderne.