Venezia 73 – Tutti a casa: recensione del film di Luigi Comencini
Era il 1960 quando Luigi Comencini, in pieno boom economico, dava alla luce un film dal sapore nostalgico e neorealista. Tutti a casa, un motto, un rompete le righe fragoroso, tipico del periodo di confusione a cavallo tra l’armistizio di Cassibile e la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Un ritorno al passato, perché già negli anni ’60, anche grazie all’espansione produttiva e all’innalzamento del PIL, in Italia il ricordo della guerra sembrava ormai molto lontano. L’avvento del consumismo, il benessere (quasi) diffuso avevano ottenebrato le menti di chi “ricordava” partorendo la futura generazione sessantottina, impegnata già nel decennio successivo in ben altre lotte.
Cinematograficamente parlando Luigi Comencini riesce nell’arduo compito di far ridere lo spettatore senza mai distoglierlo dall’immane tragedia bellica. Neorealismo e commedia si fondono abilmente generando un ibrido dal tono perentorio e didascalico. Nel 1960 Alberto Sordi, protagonista della vicenda nel ruolo del sottotenente Alberto Innocenzi, era ancora giovane, appena 40 anni e già un grande futuro davanti a sé. Solo l’anno prima era stato diretto da Mario Monicelli nel capolavoro La Grande Guerra insieme a Vittorio Gassman.
Durante la 73esima edizione del Festival del cinema di Venezia Tutti a casa ha finalmente trovato la via per essere restaurato. Il restauro digitale del film, a cura di Filmauro e CSC – Cineteca Nazionale di Roma, è stato effettuato a partire dai negativi originali messi a disposizione dalla stessa casa di produzione di Aurelio e Luigi De Laurentiis. Le lavorazioni in digitale sono state eseguite presso il laboratorio Cinecittà Digital Factory di Roma. Il ritorno in pellicola 35 mm è stato realizzato presso il laboratorio Augustus Color di Roma.
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Il film è ambientato nella pianura veneta, siamo allo scoccare dell’8 settembre del 1943. Si diffonde rapidamente la notizia dell’armistizio e l’esercito italiano in preda all’euforia si riversa nella strade urlando a squarciagola “La guerra è finita, tutti a casa”. Ben presto dovranno fare i conti con le rappresaglie naziste e contro un popolo, precedentemente alleato, che ora si sente tradito. All’ombra di questa situazione risalta ancora di più il fatto che sia Badoglio che il Re sono fuggiti e le truppe del regio esercito sono totalmente allo sbando. Si percepisce il caos più totale.
Innocenzi, uomo fedele e ligio al dovere, continua a cercare un avamposto dove ricevere ordini chiari, ma mentre lui tenta invano nell’impresa vede attorno a sé il disfacimento di un intero paese: stanco, privo di forze e con un solo pensiero, tornare a casa. Da questo momento Innocenzi, assieme al fido compagno geniere Ceccarelli e al sergente Fornaciari con il soldato Codegato, iniziano un difficile ritorno a casa. Sarà una via crucis, costellata da visioni macabre (la cattura di una ragazza ebrea) e da un popolo ormai nettamente senza più controllo.
Tutti a casa: Luigi Comencini dirige Alberto Sordi e Eduardo de Filippo
L’obiettivo collettivo ormai è tornare a casa; Innocenzi ci riesce e rivede finalmente il padre (Eduardo de Filippo) che vorrebbe farlo arruolare nella nascitura Repubblica di Salò. Innocenzi rifiuta e prosegue il suo viaggio verso Napoli, patria di Ceccarelli, col quale ha rafforzato di molto il rapporto umano. Durante il viaggio vengono catturati dai Fascisti e consegnati ai tedeschi che li sottoporranno ai lavori forzati tra le macerie della città partenopea. Ceccarelli sfida la sorte e si ribella al fato venendo brutalmente ucciso dai Nazisti. L’atto scuote l’animo molle di Innocenzi, che scatena una rivolta pubblica. Sono i primi istanti di quella che viene ricordata come la liberazione del sud Italia.
Il film rappresenta il punto più alto della carriera cinematografica di Luigi Comencini. La contaminatio generis è sontuosa, l’attenzione ai dialoghi, la compostezza e rigorosità della macchina da presa rendono Tutti a casa un patrimonio inestimabile della cinematografia nostrana. Innocenzi ha un animo debole, è ligio al dovere ma aspetta sempre di ricevere ordini da qualcuno, la morte di Ceccarelli lo scuote e rivela il suo lato battagliero più umano della vicenda. Il miglior Sordi di sempre in un ruolo fintamente da commedia, una storia corale di un popolo allo sbando fatta di risate spezzate da dramma e pietas.