Troll: recensione del fanta-horror Netflix
Dal regista norvegese Roar Uthaug un moster-movie che chiama in causa una delle figure chiave della mitologia scandinava per dare forma a un blockbuster di puro intrattenimento e impatto visivo. Su Netflix dall’1 dicembre 2022.
Tra le numerose figure che da secoli alimentano la mitologia scandinava e che sono entrate con il trascorrere dei decenni nell’immaginario comune di generazione in generazione, quella del troll è senza ombra di dubbio una delle più conosciute e popolari anche al di fuori dei confini. In linea di massima si tratta di creatura umanoide che popolano le foreste dell’Europa settentrionale, fatte di pietra e terra, con il cuore coperto di neve e le ossa di ghiaccio, che vengono dalle tenebre e muoiono alla luce. Come abbiamo avuto modo di vedere la loro fisionomia non è però sempre la stessa, ma può cambiare a seconda del filone folcloristico di provenienza. E infatti se ne possono identificare di due tipi: da una parte quelli di dimensioni gigantesche e dal comportamento maligno molto simili a degli orchi, dall’altra quelli con dimensioni umane e più ridotte, dal comportamento benevolo. A giudicare da questi identikit e da ciò al quale assistiamo sullo schermo, quelli che animano l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Roar Uthaug dal titolo Troll, disponibile dall’1 dicembre 2022 su Netflix, appartengono di fatto alla prima categoria, anche se al termine della visione l’immagine negativa che se ne ha potrebbe in qualche modo cambiare. Ma questo lo lasciamo ai minuti finali del film del regista norvegese, conosciuto ai più per avere diretto il reboot cinematografico di Tomb Raider con Alicia Vikander nei panni della celebre eroina dei videogiochi.
Con Troll, Roar Uthaug si tuffa nei territori affascinanti e al contempo tortuosi della favola nera, del folklore e della mitologia scandinava
Nella sua sesta pellicola, il cineasta di Lørenskog cambia del tutto genere rispetto alle precedenti è si tuffa nei territori affascinanti e al contempo tortuosi della favola nera, del folklore e della mitologia scandinava, chiamando in causa proprio una delle sue figure chiave. Per farlo ci conduce diritti in quel di Dovre, nella contea norvegese di Innlandet, dove dalle viscere di una montagne si risveglia una gigantesca creatura, intrappolata da migliaia di anni, che dirigendosi verso Oslo finisce con il distruggere tutto ciò che le si pone davanti. Per fronteggiarla ed evitare che la Capitale venga rasa al suolo, il governo locale si vede costretto a chiedere aiuto a una task force di esperti capitanata dalla paleobiologia Nora Tidemann. La domanda è la solita: riusciranno gli eroi di turno a salvare l’intero Paese, che appare altrimenti senza alcuna possibilità di sfuggire dalla furia distruttiva del mostro? Alla visione di Troll l’ardua sentenza, anche se visti i precedenti la risposta si prefigura altrettanto scontata.
Uthaug firma un fanta-horror ascrivibile per dinamiche e stilemi al sotto-genere del monster-movie
Con la complicità in fase di scrittura del sodale Espen Aukan, Uthaug firma un fanta-horror, ascrivibile per dinamiche e stilemi al sotto-genere del monster-movie. Lo script di Troll segue le traiettorie e le linee guida del suddetto filone, offrendo allo spettatore un racconto che sfocia in un conflitto a tutto campo tra la creatura e l’essere umano, nel quale uno di quest’ultimi prova come al solito a mediare. Nel caso specifico la protagonista Nora, qui interpretata da una convincente Ine Marie Wilmann, che prova in tutti i modi, una volta comprese le ragioni del mostro, a impedire che le due parti si annientino a vicenda.
Un must, questo, che possiamo trovare in tutti i film che appartengono al filone in questione e che il più delle volte porta alle medesime conclusioni, generando di default nella mente del fruitore degli inevitabili déjà-vu e una facile lettura tanto nella progressione quanto negli sviluppi degli eventi. Poco male verrebbe da dire, perché chi si approccia a prodotti come Troll ne conosce a menadito le regole d’ingaggio. Motivo per cui è inutile recriminare o puntare il dito contro questa o quella mancanza, evidenziando quelli che possono essere i limiti derivanti dall’assenza di originalità e dalla prevedibilità del plot. Viene da sé che anche nella pellicola di Uthaug ci si trova a rivivere intrecci che rievocano e mescolano volutamente dinamiche e personaggi appartenenti ai mondi di capostipiti come Godzilla e King Kong con Jurassic Park. Per fortuna con esiti ben al di sopra di prodotti del passato sui quali preferiamo stendere un velo pietoso come la fanta-comedy Troll di John Carl Buechler e il sequel in chiave horror-splatter firmato da Claudio Fragasso.
Gli autori di Troll confezionano un prodotto di genere che tecnicamente e visivamente non ha nulla da invidiare ai blockbuster d’oltreoceano
Al netto della pigrizia in fase di scrittura che ha portato a un risultato che drammaturgicamente e narrativamente si presenta come basilare, prestandosi alle esigenze più dichiaratamente commerciali e votate allo spettacolo e all’intrattenimento, gli autori di Troll confezionano un prodotto di genere che tecnicamente e visivamente non ha nulla da invidiare ai blockbuster d’oltreoceano. Gli effetti speciali con i quali il regista norvegese e la sua crew hanno confezionato le scene più elaborate, che richiedevano uno sforzo notevole in fase di ripresa e post-produzione (vedi l’attacco notturno nel bosco da parte dell’esercito contro il troll, quello con gli elicotteri nel luna park e l’inseguimento tra le vie di Oslo), consentono al film di ingranare la marcia e mantenersi su buoni livelli di coinvolgimento.
Uthaug punta su un prodotto trans-genere che abbraccia e accoglie le esigenze del mercato odierno
Sul piano strettamente tecnico, Uthaug tiene il passo del connazionale André Øvredal che dodici anni prima, sempre rifacendosi ai personaggi della mitologia scandinava, aveva portato sul grande schermo quel gioiellino in versione mockumentary che rispondeva al titolo di Troll Hunter. Ma se il collega aveva puntato più apertamente sul fattore sorpresa giocando e appoggiandosi sul modus operandi in voga all’epoca, ossia quello del falso documentario derivante dal successo planetario di The Blair Witch Project che aveva riportato in auge un sotto-genere, Uthaug a distanza di tempo ha voluto puntare su un prodotto trans-genere che abbracciasse e accogliesse le esigenze del mercato odierno e in particolare quelle degli abbonati alla piattaforma a stelle e strisce. E Troll da questo punto di vista le rispecchia in pieno e le soddisfa, offrendo alla platea uno show cinetico e pirotecnico di buona fattura, nel quale c’è anche spazio per lanciare qualche frecciatina ecologista come aveva fatto qualche anno prima con il disaster movie The Wave.