La vita bugiarda degli adulti: spiegazione del finale
L'interpretazione del finale de La vita bugiarda degli adulti, la serie in sei episodi con Giordana Marengo, Valeria Golino e Andrea Preziosi, tratta dal romanzo omonimo di Elena Ferrante.
ATTENZIONE! Il seguente articolo è rivolto a chi abbia già visto tutti e sei gli episodi della serie Netflix La vita bugiarda degli adulti. Contiene spoiler.
La vita bugiarda degli adulti: il romanzo di formazione di Giovanna, stretta tra il mito paterno e le sue repliche
La vita bugiarda degli adulti adatta in modo sostanzialmente fedele, senza troppi disallineamenti, l’omonimo romanzo di Elena Ferrante, il primo pubblicato dopo il successo mondiale della tetralogia L’amica geniale. È la storia di Giovanna, ragazzina bene di Napoli, figlia di professori – il padre, Andrea, è professore di Storia e Filosofia in un liceo prestigioso della città partenopea nonché intellettuale riconosciuto dai concittadini, mentre la madre Nella insegna Latino e Greco e arrotonda lo stipendio facendo la correttrice di bozze – ed educata fin da molto piccola in modo progressista: i genitori tributano molta importanza alla cultura e le hanno trasmesso il senso del dovere, soprattutto nei confronti della scuola; sono atei e di orientamento laico e razionalista, pertanto non l’hanno introdotta alla religione cattolica, anche se, va detto, non le impediscono di approfondire le sue curiosità e di esplorare realtà lontane dall’indirizzo pedagogico della famiglia.
Quando la ragazzina, nel passaggio delicato dall’infanzia alla prima adolescenza, casualmente origlia una conversazione tra i genitori, si sente accostare alla zia Vittoria, componente della famiglia del padre di cui non aveva mai sentito parlare prima. È proprio il padre, mitizzato durante l’infanzia e nei suoi confronti di solito particolarmente gratificante, che avanza il paragone – soprattutto fisico, ma la fisicità si fa correlato oggettivo di una trasformazione caratteriale, dell’emersione di tratti scomodi della personalità – con la sorella, con cui, si scopre, ha litigato e chiuso i rapporti da molto tempo. Di fronte a un disorientamento identitario e a un vuoto di sapere, la ragazzina cerca nella zia, che insiste per conoscere, uno specchio: crede che, integrando un pezzo mancante della sua genealogia e risolvendo l’enigma della relazione interrotta tra suo padre e sua zia, possa capire qualcosa in più su sé stessa e su chi sta diventando.
Vittoria è una donna carismatica e ambigua: Giovanna non saprebbe dire se è brutta e bella, buona o cattiva, sincera o manipolatoria, poiché, proprio grazie a lei, inizia a comprendere che la vita adulta non è fatta degli stessi assoluti dell’infanzia, verità dolorosa che impara a riconoscere in rapporto a tutti gli adulti per lei significativi. La frequentazione della zia la conduce alla scoperta non solo delle ipocrisie genitoriali – in particolare, paterne – ma anche di un mondo fino a quel momento preclusole. La distanza geografica materializza quello che è un vero e proprio apartheid culturale: cresciuta nei quartieri altolocati della città, Giovanna fa esperienza del Pascone, distretto orientale di Napoli, zona industriale dismessa e urbanisticamente squallida, quartiere natio del padre – poi ‘ripulitosi’ e nobilitatosi attraverso gli studi – e luogo in cui continua a vivere Vittoria. Lì, sempre grazie alla zia, conosce Margherita, la moglie di Enzo, uomo amato dalla zia e causa dell’allontanamento di quest’ultima dal fratello, e i suoi tre figli: Tonino, Corrado e Giuliana. Quest’ultima è legata a Roberto, un ragazzo che studia a Milano e fa volontariato cattolico. Roberto affascina Giovanna per l’eloquio forbito e affabulatorio, per la capacità di raccontare e affrontare, con disinvoltura dialettica, argomenti alti quali, ad esempio, le Sacre Scritture, la mistica cristiana, la metafisica. È il primo ragazzo a piacerle veramente, forse perché risveglia il suo amore infantile, sopito – anzi no, molto attivo! – nel suo inconscio, per il padre. Come il padre, infatti, anche Roberto si fa grande con discorsi belli. Che questi discorsi belli siano, però, soltanto copertura di un’inconsistenza?
L’incontro traumatico con la sessualità
Mentre Giovanna impara a conoscere – ma si può veramente conoscere qualcuno, soprattutto chi ci è più prossimo? Grande domanda sollevata dal romanzo e, di rimbalzo, dalla serie La vita bugiarda degli adulti – zia Vittoria e il suo mondo, la bolla famigliare in cui era cresciuta esplode: i genitori si separano a causa del tradimento che, per anni, il padre Andrea ha perpetrato alle spalle della moglie con Costanza, moglie di Mariano, suo amico fraterno. Cambiano anche i rapporti tra Giovanna e le sue amiche storiche: Angela e Ida, figlie di Costanza e Mariano. Con la prima, Giovanna aveva sperimentato la sua sessualità di bambina, una sessualità ancora acerba – ma pienamente soddisfacente – e inconsapevole della differenza sessuale. L’incontro traumatico con il sesso, con una sessualità adulta che si allarga alla dimensione duale e differenziata, l’impossibilità di una completa coincidenza tra modalità di piacere femminile e maschile sono tematiche che La vita bugiarda degli adulti adombra. Sono nodi spiccatamente ferrantiani.
Giovanna comprende che esiste una sessualità che va al di là del godimento soltanto masturbatorio e che implica l’incontro con un altro corpo, di cui non si ha controllo. Giovanna scopre anche che il proprio corpo è altro: altro rispetto a quello sperimentato da bambina, ma altro anche rispetto al sé unitario – al sé percepito come identità – e oggetto per gli uomini, che lo misurano e lo desiderano – o lo respingono – per ottenere (o rifiutare) a loro volta un piacere che spesso non sanno restituire. La zia Vittoria le racconta del piacere sessuale ricavato dai pochi incontri con il suo grande amore Enzo e Giovanna si convince che è quel modo di vivere il sesso – un po’ feroce, affatto sublimato come viene raccontato nei libri o meccanizzato, così come descritto negli opuscoli informativi – che deve perseguire, che può renderla ‘donna’. Prima prova a praticare sesso orale a Corrado, poi cerca di perdere la verginità con Roberto, di cui scopre l’ipocrisia e l’opportunismo (ama, infatti, come suo padre, soltanto sé stesso… e ricorda tanto un certo Nino Sarratore); infine, si concede al discutibile Rosario. In tutti e tre i casi, la soddisfazione non arriva e l’inquietudine di Giovanna non si placa. Le domande che la trascinano nella sua altalena di attrazioni e repulse – che cos’è una donna? Sono io una donna? È il riconoscimento di un uomo o l’adesione al modello di un’altra donna a potermi rendere tale? – sembrano restare senza risposta.
Addio al braccialetto-totem
Nelle scene finali de La vita bugiarda degli adulti, proprio dopo aver avuto un rapporto completo con Rosario, si decide a partire con Ida, la sorella minore di Angela, aspirante scrittrice. Ida ha perso interesse per la scuola e vuole dedicarsi solo alla scrittura, sua grande passione. È un racconto che ha scritto proprio Ida a spingere Giovanna a prendere la decisione di partire con lei per Venezia, dove vive Tonino (il più riflessivo e sensibile tra i figli di Margherita): nel racconto autobiografico, Ida rievoca i sentimenti provati quando, bambina, si ritrovava spettatrice inavvertita delle tenerezze tra Giovanna e la sorella Angela, sentimenti di acuta esclusione. Giovanna comprende che Ida è un’anima simile a lei e che, come lei, vuole scoprire cosa significa vivere alle proprie condizioni, al di fuori di narrazioni codificate e di imposture sostenute per amore del potere e degli schemi consolidati, ripetuti per sentirsi al sicuro, per non dover rischiare mai davvero.
Prima di potersi alle spalle il passato, Giovanna deve però sbarazzarsi di un oggetto che, nel corso della rappresentazione, funge quasi da totem: il braccialetto di zia Vittoria. Questo monile le era stato regalato, appena nata, dalla zia Vittoria, ma il padre non aveva mai consegnato il regalo e lo aveva anzi destinato alla donna da lui sempre amata, Costanza. Tuttavia, quasi alla fine, si scopre che il braccialetto è portatore di un segreto: non apparteneva, infatti, alla madre di Andrea e Vittoria, ma a quella di Margherita, ed è stato rubato da Enzo alla suocera perché lo avesse Vittoria, sua amante. L’oggetto si rivela, così, depositario di una lunga catena di finzioni: nessuna versione della storia raccontata a Giovanna dagli adulti della sua vita può ritenersi affidabile né tantomeno onesta. Tutti loro sono, in modo diverso, più o meno rispettabile, più o meno stucchevole, dei bugiardi. E non si salva neanche zia Vittoria. Il futuro è ora nelle mani delle due ragazzine in fuga e del loro desiderio di libertà.