Portrait of Gina: 5 curiosità sul documentario di Orson Welles
L'Italia è una delle sue più grandi icone viste dagli occhi del cineasta per eccellenza
Quando a parlare di cinema è chi il cinema stesso lo ha costruito e modellato secondo il proprio gusto, bisogna solamente assorbire, solamente godere di quel movimento d’immagine e trarne profitto; con Portrait of Gina, Orson Welles delinea uno dei passaggi troppo spesso dimenticati della sua ineguagliabile carriera, un’opera quasi accidentale, nata con un pensiero ma poi trasformatasi in tutt’altro. Il documentario, che guarda all’Italia e ad alcune delle sue icone (su tutte Gina Lollobrigida), attraverso la lente distorcente e interventistica del regista, per un certo periodo di tempo era stato stato dato per perso, fino alla sua sorprendente riapparizione a Venezia, che suscitò non poche polemiche e lo vide tornare ad essere relegato all’oblio rappresentativo. Oggi, a circa 65 anni di distanza dalla sua realizzazione, la pellicola viene riscoperta nuovamente e riproposta proprio lì dove già era stata distribuita e dove quest’anno, in occasione dell’ 80ª edizione del Festival, omaggerà una delle regine dello spettacolo degli anni ’50 e ’60, scomparsa all’inizio di quest’anno, all’età di 95 anni.
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1. Il complesso iter produttivo di Portrait of Gina
Portrait of Gina, anche noto come Viva Italia, è un documentario della durata di circa 30 minuti che inizialmente era stato pensato come episodio pilota di una serie televisiva intitolata Around the World with Orson Welles e che avrebbe ripreso lo stile e la linea dell’omonima serie realizzata dal regista qualche anno prima, per la televisione britannica. Sotto contratto con la ABC, Welles riuscì ad ottenere 200.000 dollari dal presidente Leonard H. Goldenson per filmare l’episodio, ma quando presentò ai produttori un sola bobina di materiale per loro non adatto, essa venne rifiutata e mai trasmessa. Rimasta nella camera d’albergo dell’autore a Parigi, la pellicola è stata rinvenuta diversi anni dopo per poi essere presentata, a sorpresa, al Festival di Venezia del 1986.
2. Il veto di Gina Lollobrigida
Quando la diva italiana Gina Lollobrigida, a cui l’opera è in parte dedicata e che viene intervistata nell’ultima parte di essa, vide la proiezione al Lido, non fu affatto contenta. L’attrice non era infatti soddisfatta di quei pochi minuti di video durante i quali unicamente si lamenta delle tasse e del antifanatismo nei suoi confronti e, per questo motivo, intraprese un’azione legale per vietare la trasmissione capillare del progetto e vinse.
3. Il particolare rapporto tra Orson Welles e l’Italia
L’idea di girare un episodio, poi diventato un unico mediometraggio documentario, dedicato all’Italia, deriva dalla forte vicinanza tra il bel paese ed Orson Welles. L’attrice ed aristocratica Paola Mori, italiana, fu la terza ed ultima moglie del cineasta e questo lo portò a viaggiare e girare molto lo stivale in lungo e in largo, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’70.
4. La presenza costante del regista
Molte delle osservazioni scaturitesi in seguito alla proiezione dell’opera fanno riferimento ad una presenza costante, e per molti evidentemente ingombrante, del regista stesso. Costantemente in scena, egli dirige la sua pellicola dall’interno, muovendosi per tutto lo schermo e direzionando le interviste a proprio piacimento, quasi come un professore intento ad illustrare con chiarezza una determinata idea di cinema e di rappresentanza italiana,
5. Gli altri volti noti che appaiono in Portrait of Gina
La Lollobrigida, come detto, è solamente l’ultima delle figure che costellano questi 30 minuti che, a distanza di decenni, possiamo affermare abbiano marcato un momento di storia del cinema. Prima di essa ad intervenire sono Rossano Brazzi (Tempo d’estate, La contessa scalza), Anna Gruber (Anna di Brooklyn, L’uomo di paglia), la stessa moglie dell’autore, Paola Mori, e un’altra leggenda della cinematografia italiana come Vittorio De Sica.
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