LFF16: La Masterclass di George Romero
Dopo le avvincenti masterclass tenute da William Friedkin e Paolo Sorrentino, è arrivato il turno del padre degli zombie George Romero di deliziare la platea del Cinema Centrale di Lucca, desiderosa di apprendere dettagli e curiosità sulla carriera di questa leggenda del cinema. A moderare l’incontro sono stati i due critici Paolo Zelati e Francesco Alò, che hanno guidato con intelligenza e ritmo una vera e propria lezione di cinema di quasi 2 ore.
La masterclass di George Romero al LFF16: un’esaltante conversazione di quasi 2 ore con un pezzo di storia del cinema
Interrogato su che cosa dovrebbe fare un giovane aspirante regista oggi, George Romero ha cominciato la masterclass dicendo che il suo primo consiglio è quello di filmare qualcosa, non importa cosa per imparare a vedere la verità tramite l’obiettivo. Secondo il Maestro, non basta andare fuori e dire “Io so che cosa sto facendo”, bisogna mettersi in gioco e dimostrare le proprie qualità, cosa che conta molto di più che un corso universitario. Interrogato da Francesco Alò sulle difficoltà della distribuzione dei propri film nei primi anni della sua carriera, George Romero ha svelato che non aveva nessuna idea, ma solo tanto ottimismo e molta insistenza, aggiungendo che a quei tempi rispetto a oggi era molto più difficile fare un film ma paradossalmente più facile di distribuirlo, in quanto c’erano molte più case di distribuzione indipendenti disposte a rischiare e investire sui giovani talenti.
Parlando del suo capolavoro La notte dei morti viventi, George Romero ha rivelato che le sua intenzione era sì di cercare di attrarre il pubblico con cose che potessero avere presa su di esso come il sangue e gli zombie, ma il suo primo pensiero è sempre stato quello di parlare di un contesto sociale: non necessariamente parlando di razze, ma incentrando il suo discorso su gruppi di individui che anche di fronte a una seria minaccia non riescono a legare e fare squadra, rimanendo ancorati alle loro meschinità. Il regista ha poi aggiunto che se avesse utilizzato un uragano al posto dei morti viventi il messaggio veicolato sarebbe stato lo stesso, e che la razza del protagonista Duane Jones (uno dei primi attori afroamericani ad avere un ruolo di rilievo nel cinema statunitense) per lui non ha mai rappresentato né un problema né un tratto distintivo del personaggio, visto anche che nella prima stesura della sceneggiatura il personaggio era caucasico. La situazione variò decisamente con la notizia dell’assassinio di Martin Luther King, che effettivamente diede alla scelta di Romero un’importanza sociale ancora più ampia.
Parlando di Knightriders – I cavalieri, il Maestro ha rivelato che è certamente il suo film più personale e intimo, nonostante il suo preferito sia Wampyr. Fu il suo primo realizzato ad Hollywood, incentrato su una persona che decide di rimanere coerente con i propri valori anche se il risultato economico non è soddisfacente, idea che potrebbe essere il riassunto della carriera di Romero. Il cineasta ha poi aggiunto che l’idea di inserire le celebri motociclette nel film fu un’idea della casa di produzione, che inizialmente non lo trovò d’accordo ma sulla quale successivamente convenne.
A questo punto è arrivato il momento delle domande del pubblico. La prima è stata a proposito del chiacchierato coinvolgimento di George Romero nell’adattamento cinematografico di The Stand (edito in italiano con il titolo L’ombra dello scorpione), progetto naufragato a causa della durata eccessiva che il film avrebbe avuto. Il romanzo è stato poi adattato in una deludente miniserie televisiva, maldestramente sforbiciata nei contenuti ed edulcorata nei temi, ma il Maestro si è dichiarato ancora disponibile a realizzare un suo adattamento per il grande schermo.
Interrogato sulla sfide più difficili che ha dovuto superare nel corso della sua carriera, George Romero ha risposto che la difficoltà più dura da affrontare per lui è stata sicuramente imparare a usare la pellicola e in generale i mezzi tecnici a sua disposizione, oltre ovviamente alla necessità di reperire i fondi per i propri film, aspetto che però lo ha visto sempre deciso e caparbio.
A proposito degli adattamenti delle sue opere, il regista ha affermato che secondo lui i più riusciti sono stati quelli di genere videoludico, che hanno poi attirato l’attenzione di Hollywood sul tema degli zombie. Ha poi aggiunto che secondo lui l’interesse su questo soggetto, favorito da opere come The Walking Dead, prima o poi scemerà. George Romero è poi sceso nello specifico di due pellicole basate sulle sue, ovvero L’alba dei morti dementi di Edgar Wright e L’alba dei morti viventi di Zack Snyder, manifestando il suo grande apprezzamento per il primo e la freddezza a riguardo del secondo, che ritiene un remake fondamentalmente non necessario.
Il cineasta non ha risparmiato una dura sferzata ai cinecomic, dicendo che i grandi budget di queste pellicole e il loro abuso di effetti speciali penalizza lo spessore dei personaggi e la connessione emotiva con loro. “Nei cinecomic non c’è arte”, ha sentenziato lapidariamente il Maestro.
Sul giudizio della critica verso le sue opere, George Romero ha lodato la sensibilità di quella italiana nel cercare di cogliere il messaggio sotteso dai suoi film, cosa che non sempre è avvenuta negli Stati Uniti. A tal proposito, il cineasta ha ricordato la clamorosa stroncatura a La notte dei morti viventi da parte del celebre critico americano Roger Ebert, che però con il passare del tempo rivide drasticamente il proprio giudizio.
Dopo aver estasiato i presenti in sala con una conversazione a 360° sulle sue opere e sul cinema in generale, condita dalla sua proverbiale umiltà, George Romero si è infine congedato dal pubblico, ricevendo una più che meritata standing ovation.