Un professore: recensione finale della fiction Rai con Alessandro Gassmann
Promossa (con debito) una prima stagione di Filosofia adattata alle sfide del quotidiano, la fiction Rai con Alessandro Gassmann Un professore si chiude con un messaggio aperto e direttamente rivolto al ruolo dell’istituzione scolastica.
Poteva essere solo una follia, ma l’umana didattica propositiva del professor Dante Balestra ha dato i suoi frutti. Un percorso iniziato sbaragliando le norme e i consueti modi d’apprendimento, spostando le lezioni di Filosofia dai banchi di scuola alle piazze e ai marciapiedi romani, e conclusosi con una (stra)ordinaria presa di coscienza: siamo tutti diversi e la scuola ha il dovere di accogliere la nostra unica complessità.
Un professore: la Filosofia ai tempi dei Social
Coproduzione Rai Fiction assieme a Banijay Studios Italy, Un professore s’inserisce con modernità nel popolare filone del dramma adolescenziale ambientato in classe ‒ da I Liceali (Lucio Pellegrini, 2008-2011) a Compagni di Scuola (Tiziana Aristarco, Claudio Norza, 2001) ‒ lì dove puntualmente si è costretti a fare i conti con l’enorme sfida del cambiamento, e con lo smarrimento identitario di una realtà che non si (ri)conosce. Pur dunque sfruttando le dinamiche e le tematiche relative al genere, quali il conflitto generazionale, la scoperta della sessualità, la tentazione di abbandonare l’apprendimento scolastico, i dodici episodi andati in onda in prima serata su Rai Uno e disponibili su Rai Play on demand, aggiornano e contestualizzano le medesime questioni proiettandole e risolvendole alla dialettica filosofica; parificando dunque i crucci e le domande del reale pragmatico alla mediazione dei grandi pensatori greci e contemporanei.
Sviando una schematica programmazione cronologica ma piuttosto plasmando la conoscenza alle esigenze graduale dei ragazzi, la fiction diretta da Alessandro D’Alatri assume le medesime formalità e sfide dell’insegnate interpretato da Alessandro Gassmann: ad ogni episodio riuscire a far dialogare l’etica e la morale con il mondo visto attraverso gli occhi dei teenagers, ‘spogliando’ la macchinosità dei ragionamenti socratici o kantiani con le urgenze dei sedicenni, per comparare ‒ semplificandoli ‒ due linguaggi opposti e (solo) apparentemente inconciliabili.
Amicizie inquiete e tensioni romantiche: i giovani Nicolas Maupas e Damiano Gavino sono il perno nevralgico del racconto, ma manca il coraggio
Soggetti empirici di una contemporaneità sofferta, gli alunni della terza B incarnano dunque la poliedricità e la variegatura della Generazione Z. Sandro Petraglia e il resto degli autori, adattando l’originale spagnolo Merlí ideato da Héctor Lozano, inglobano disarmonie e differenze per rispecchiare in un ristretto nucleo scolastico comportamenti e inclinazioni della Roma centro-periferica, componendo un mosaico eterogeneo di tendenze, ceti sociali, moralità. Fra tutti, particolare attenzione viene riservata alla relazione tensiva dispiegata fra Simone, emotivo e promettente figlio di Balestra, interpretato splendidamente da Nicolas Maupas, e Manuel, ribelle e indomabile compagno di classe alla ricerca pericolosa della cosiddetta ‘svolta’, interpretato dall’(ottimo) esordiente Damiano Gavino, accanto alla madre single Claudia Pandolfi.
Eppure, nonostante l’apprezzabile ambizione a replicare l’evolversi dell’amicizia fra i due in un sentimento romantico come nella versione catalana ‒ seppur non pienamente corrisposto ‒ , va detto che Un professore abbia sofferto di una sorta di pudicizia nel non aver osato approfondire, anzi mostrare, la mutazione passionale dei due ragazzi, conformandosi a una ce(n)sura ostile e poco propensa a trasmettere l’intimità dei due sedicenni, entrami alla scoperta della propria, ritrovata e scombussolata, sessualità.
Alla (at)trazione di Maupas e Gavino, dunque, va dato il merito di aver costruito e insieme decostruito un’intesa palpabile, un perno narrativo a cui aggrapparsi senza però sfruttarne appieno il potenziale, pagando le conseguenze di una scrittura poco coerente e spesso generalizzata ad abbracciare tanti, forse troppi, temi come la pervasività dei social, il revenge-porn, l’omosessualità, il fenomeno dell’hikikomori, la seduzione al delinquere.
Imperfetta ma pienamente plasmata al linguaggio diretto della fiction tv, Un professore ha urgenza di sollecitare una didattica a misura di studente, e non viceversa
Calamitato sovente verso il linguaggio semplificatorio e compresso tipico della fiction per la tv, a Un Professore sembra mancare la profonda rifinitura della serialità contemporanea, peccando di un montaggio spesso inerte, alcune incongruenze narrative e temporali, un’oscillazione costante fra l’urgenza di rappresentare, scandagliare, risolvere e quella di giocare ad intrattenere lo spettatore con i numerosi flirt del professore, della rappresentazione allegorica della mala vita capitolina, dell’esasperazione di moti d’animo, conflitti fra compagni di banco, disillusione e sarcasmo del carattere romano.
Plauso di pubblico, numeri auditel e qualche sottovoce polemica su una rappresentazione a metà, non sorprende che di Un Professore si stia già pensando a una seconda stagione, un secondo capitolo di un libro di Filosofia mischiato all’esistenza che tutto sommato cattura, toccando le corde giuste nei coetanei al di qua dello schermo, stimolando all’apertura e alla condivisione partecipata grazie ad un professore che solo pochi studenti fortunati hanno avuto occasione di condividere almeno un frammento di vita.