Di Noi 4: quando il budget diventa una scelta artistica
Con Di noi 4, Emanuele Gaetano Forte firma un’opera atipica, un lungometraggio che per molti versi si potrebbe definire un vero e proprio anti-film. La sua natura indipendente e il budget estremamente ridotto diventano strumenti di sperimentazione consapevole, permettendo alla pellicola di infrangere le convenzioni cinematografiche tradizionali e di approdare a una dimensione in cui la teatralità si esprime con spontaneità e immediatezza.
Il risultato è una commedia dall’impianto autoriale che, se da un lato si propone di esplorare il tema del desiderio di genitorialità, dall’altro si configura come un ritratto generazionale capace di offrire, con leggerezza e acume, uno sguardo critico sulle contraddizioni e le fragilità della società italiana contemporanea. Forte gioca con i linguaggi espressivi e con la messa in scena, costruendo un’opera che sfida le aspettative dello spettatore e si fa portavoce di un cinema libero, essenziale eppure profondamente evocativo.
Di noi 4, due coppie, un bebè
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Il lungometraggio partorito da Forte è lo spaccato di una generazione che vive di promesse disattese, che si appoggia disperatamente su patti sociali che sono stati disattesi, pagandone direttamente lo scotto. Giamma (Giovanni Anzaldo), Alda (Giulia Rupi), Pier (Elio D’Alessandro) e Rachel (Roberta Lanave) sono quattro amici sui 35 anni che, riunitisi per festeggiare assieme l’ennesimo compleanno, iniziano a confrontarsi sul fatto che il loro orologio biologico sta ticchettando e che mettere al mondo un figlio sarà per loro sempre più difficile. “O ora, o mai più”.
Questo impulso alla genitorialità è però frustrato immediatamente dalla percezione di non poter fare affidamento sui presupposti economici necessari a sostenere le spese di un infante. I quattro vivono di espedienti, lavoretti mal retribuiti, impieghi instabili e partite iva prive di certezze, con il risultato che nessuna delle due coppie confida di poter allevare un bambino. Non da sola. Ecco dunque l’idea: allevare un bebé in quattro, con una famiglia aperta e non convenzionale, inventandosi un modo nuovo di vivere l’esperienza.
Si solleva però immediatamente un problema, ovvero che nessuno dei quattro vuole essere percepito come un genitore secondario. Dopo una breve riflessione, il gruppo sviluppa un’improbabile soluzione: procreare a coppie alternate, così che tutte le parti coinvolte possano vantare uguali diritti – legali ed emotivi – sul frutto dell’unione. Gli amici non sono però sostenitori della dottrina radicale socialista, della coppia aperta o del poliamore, non assumono la decisione per assecondare convinzioni di vita alternativa a quella dominante, ma mossi da necessità. L’atto carnale deve dunque avere una pura funzione meccanica, tuttavia questa consapevolezza non aiuta a fare i conti con dissapori e gelosie, i quali divampano con il progredire della notte.
L’orrore di #guardamilano
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Nonostante le premesse, l’approccio alla genitorialità rappresentato in Di Noi 4 si rivela ben presto un pretesto per raccontare qualcosa di molto più ampio: un affresco generazionale intriso di incertezze, disillusioni e tentativi di ridefinire il proprio posto nel mondo. Il tema di fondo è incarnato dal personaggio di Giamma, il quale è impegnato nella stesura di un testo che analizza il modo in cui la pubblicità modella la visione della realtà. Per lui, le immagini patinate e accattivanti che popolano gli spot sono riflessi distorti di ambizioni e desideri collettivi, impulsi che vengono poi condensati nell’idea di una Milano utopica e cosmopolita, punto di arrivo di ogni persona di successo. È proprio in questo contesto che i protagonisti si ritrovano a fare i conti con le aspettative imposte dalla società, sempre più distanti dalle loro possibilità concrete, e con il peso dell’apparente incapacità di soddisfare tali richieste.
Il film si inserisce in un panorama socioculturale segnato da un patto sociale infranto, da una precarietà diffusa e da un’economia che offre ben poche certezze. Di Noi 4 esplora con lucidità la condizione di una generazione cresciuta con la promessa di un futuro radioso, salvo poi ritrovarsi intrappolata in un presente fatto di lavori sottopagati e prospettive sfumate. I personaggi non sono semplici testimoni di questa crisi, ma ne sono vittime e al contempo protagonisti attivi, immersi in un dramma collettivo che riflette il senso di smarrimento di chi ha visto sgretolarsi sotto i propri occhi il modello di sicurezza e stabilità su cui contava. Questo sentimento di frustrazione permea le loro vite e le loro relazioni, che sembrano trovare momentanee tregue solo nell’ebbrezza dell’alcol, rendendo il vino quasi un anestetico sociale che li aiuta a sopportare gli attriti esistenziali in cui sono intrappolati.
Giamma, Alda, Pier e Rachel discutono spesso della genitorialità non come di un sincero desiderio, ma come di una tappa che si sentono quasi obbligati a dover raggiungere, un requisito da soddisfare piuttosto che un percorso sentito e voluto. Questo distacco emotivo è alimentato dalla consapevolezza di trovarsi bloccati in condizioni socio-economiche che non permetterebbero loro di sostenere i costi di un figlio, tanto che l’idea stessa della genitorialità viene relegata ai margini della coscienza, trasformandosi in un peso inconscio che rasenta il trauma. La decisione di avere un figlio “in quattro” nasce da questo contesto di insicurezza e si configura come una sfida radicale alle convenzioni tradizionali. Se da un lato è una scelta potenzialmente disastrosa, dall’altro rappresenta un atto di ribellione, un modo per cercare di sovvertire le regole del gioco e per tentare, in qualche modo, di recuperare una dignità e una speranza altrimenti soffocate dalla stagnazione di un’esistenza senza prospettive. Un salto nel buio che, per quanto incerto, diventa forse l’unico modo per sfuggire all’inevitabile.
Un percorso complicato
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Di Noi 4 è stato realizzato con mezzi quasi inesistenti, sostenuto più dalla determinazione e dalla passione che da un vero e proprio budget. La quasi totalità del film si sviluppa all’interno di un appartamento, con riprese effettuate in ordine cronologico, senza stop e con l’unica illuminazione concessa dalla luce naturale. Un approccio essenziale che, anziché celare i limiti produttivi, li accoglie e li trasforma in elementi narrativi consapevoli. La regia non cerca di mascherare le mancanze con artifici tecnici, ma le mette in scena con un’ironia metacinematografica, proiettando letteralmente sullo schermo stralci del copione per colmare i vuoti lasciati dall’assenza di risorse.
Più che un tradizionale lungometraggio, Forte costruisce una pièce teatrale trasposta in immagini, un’opera che si regge interamente sulle dinamiche tra i personaggi e sul loro scambio incessante, liberandosi dalle convenzioni del linguaggio cinematografico classico. Questa scelta autoriale non è solo una necessità, ma un vero e proprio statement artistico che si intreccia con i temi stessi della storia: la ricerca di soluzioni alternative, l’adattamento, la capacità di trasformare i limiti in possibilità creative.
Dopo aver catturato l’attenzione del pubblico al Rome Independent Film Festival, Di Noi 4 è pronto a fare il suo ingresso nelle sale cinematografiche italiane nel marzo 2025 via la distribuzione de Lo Scrittoio, con un’anteprima nazionale il 24-25-26 febbraio al Cinema Fratelli Marx di Torino. Il passaggio dal circuito festivaliero alla distribuzione ufficiale è una testimonianza dell’interesse crescente attorno a un film che non si limita a essere visto, ma si impone come un’esperienza culturale a tutto tondo. Una pellicola che interroga lo spettatore, sfida le convenzioni e accende il dibattito sul presente e sul futuro del cinema indipendente.