Adolescence: la spiegazione e il significato del finale della serie Netflix
Come finisce Adolescence e qual è la spiegazione del finale?
Adolescence è la miniserie tv Netflix del momento, probabilmente la miniserie dell’anno 2025. Nella top ten fin da subito, acclamata dal pubblico, elogiata dalla critica, Adolescence è una sorpresa inaspettata, perché non è solo un ottimo crime drama, ma anche una miniserie che guida e trascina lo spettatore in mondi sconosciuti, che apre nuovi scenari, che porta a porsi interrogativi e a riflettere, che si rivela spiazzante e sconvolgente. Adolescence è poi anche una prova di grande cinema: ogni puntata è girata in piano sequenza, mostrando diversi punti di vista, introducendo personaggi nuovi per ciascun episodio, esplorando il caso attraverso dinamiche che coinvolgono la famiglia, le indagini, la scuola e la terapia. Le interpretazioni di Adolescence sono poi una più magistrale dell’altra. E non si tratta solo di Stephen Graham, attore britannico iconico volto di serie tv come Boardwalk Empire, Taboo, Save Me, Peaky Blinders, Bodies e di film quali Gangs of New York, This Is England, Boiling Point – Il disastro è servito, insieme a moltissimi altri prodotti, o di noti volti del panorama internazionale come Erin Doherty e Faye Marsay, o di altri maggiormente conosciuti in quello britannico come Ashlety Walters e Christine Tremarco, ma soprattuto dell’esordiente protagonista. Il, quattordicenne all’inizio delle riprese, Owen Cooper, alla sua prima esperienza cinematografica e televisiva, firma un’interpretazione incredibile e impeccabile, che sorprende per intensità, drammaticità e verosimiglianza.
La trama di Adolescence

Al centro della storia c’è appunto il personaggio interpretato da Owen Cooper, Jamie Miller, tredicenne che viene arrestato con l’accusa di omicidio e che, supportato dalla famiglia, proclama la sua innocenza. E continua a farlo quando, di fronte agli occhi increduli del padre, un video mostra Jamie compiere l’atto e uccidere con un coltello la compagna di scuola Katie. Tre giorni dopo, si vedono il detective Bascombe, interpretato da Ashley Walters, e il sergente Frank, Faye Marsay, visitare la scuola che Jamie e Katie frequentavano, dove Bascombe parla con alcuni compagni di Jamie, tra cui il miglior amico Ryan, volto di Kaine Davis, e la miglior amica di Katie, Jade, volto di Fatima Bojang. Ha poi uno scambio anche con Adam, suo figlio, interpretato da Amari Bacchus, che gli parla di alcuni episodi di bullismo nei confronti di Jamie su Instagram, dicendo che Katie e altri ragazzi avevano dato a Jamie e ai suoi amici degli “incel”, scrivendolo online, commentando e realizzando post a riguardo.
La situazione poi si sposta sette mesi dopo, durante l’ultimo colloquio di valutazione tra Jamie e la sua psicologa Briony Ariston, interpretata da Erin Doherty, dove gli eventi si chiariscono, le cause vengono espresse, ma soprattuto viene esteriorizzata e rivelata la mentalità distorta di Jamie, legata a un universo online in parte sconosciuto. La quarta e ultima puntata di Adolescence si concentra maggiormente sulle conseguenze che questo evento ha, a distanza di un anno, sulla famiglia di Jamie, sul senso di responsabilità che sentono e sulla possibilità di intervenire su ciò che ha portato Jamie a quel crimine terribile. Nell’ultimo episodio Jamie chiama inoltre il padre, Eddie, volto appunto di Stephen Graham, per dirgli che ha deciso di dichiararsi colpevole, cambiando così la versione precedentemente data. A pochi giorni dal processo, sembra quindi questa l’ultima scelta del figlio. Tra cyberbullismo, mondo dei social e influenze della manosphere sui giovanissimi, Adolescence indaga dinamiche delicate, ancora poco note e sulle quali non si può non fare nulla.
La spiegazione del finale: Jamie ha realmente ucciso Katie?

Per quanto il finale possa iniziare nel momento in cui Jamie chiama il padre e gli comunica la sua scelta di dichiararsi colpevole, è nel terzo episodio che la vicenda in qualche modo si conclude. Un episodio agghiacciante e che rende Adolescence tristemente attuale, capace di far luce su qualcosa che spesso si ignora, che i giovanissimi hanno ormai interiorizzato. Non si tratta solo dei social e dell’incomunicabilità che aumenta di anno in anno, ma nel linguaggio, nel significato e nel come, chi con i social ci è nato, ci fa affidamento, attraverso di essi cresce, comunica, fa delle scelte, senza spesso riuscire a poter andare oltre. Ciò che è accaduto, perché Jamie ha ucciso Katie è terribilmente evidente già dal terzo episodio. La successiva dichiarazione di colpevolezza che Jamie comunica al padre nella quarta puntata, sembra, dalla sua voce, più conveniente riguarda al processo che dovrà affrontare, ma in realtà lascia un diverso barlume di speranza.
Ciò che rende Adolescence uno specchio di un problema su cui intervenire, che non svanirà, su un qualcosa nel quale è difficile capire come entrarvi, sono le parole di Jamie durante il colloquio con la psicologa. A partire dal suo atteggiamento, due volte lui ha una reazione esagerata: si alza, inizia a urlare, scaraventa la sedia per la stanza e non c’è verso di farlo calmare. In quel momento Jamie fa veramente paura, la psicologa è inquieta e spaventata e rimane immobile, nel tentativo di placare quella rabbia che Jamie esprime con forza. E per quanto poi ci riesce, perché alla fine Jamie si risiede e il suo tono torna più pacato, più tranquillo, come un tredicenne ancora bambino, quella reazione è la stessa che, nell’incontro con Katie, ha probabilmente portato alla morte della ragazza. Il punto è che sì, Jamie ha realmente ucciso Katie, ma non se ne rende conto.

La frase “Quella notte non l’ho toccata, altri ragazzi l’avrebbero fatto, ma io no, questo mi rende migliore” che lui pronuncia quando il dialogo con la psicologa inizia a vertere su quanto accaduto quella notte, è una frase raccapricciante, un’ammissione di colpevolezza che nasconde anche la sua totale incapacità di rendersi realmente conto di ciò che ha fatto, come se l’importante fosse “aver o non aver toccato Katie” e il resto fosse secondario, e per resto anche l’averla uccisa. Come se ucciderla fosse in qualche modo meno grave perché non ha fatto ciò che, secondo lui, la maggior parte dei ragazzi avrebbe fatto. Ecco che la psicologa arriva alla domanda successiva, quella che sembra tanto ovvia, ma non nel caso di Jamie. “Sai cos’è la morte?“. La psicologa cerca di far capire a Jamie che Katie non tornerà, che le è stata tolta la possibilità di vivere, di rispondere e di esistere.
Ma la visione del mondo femminile e delle donne di Jamie è radicata in quello che il mondo online sembra avergli insegnato, e non si tratta del mondo online alla portata di tutti. Perché c’è una parte del web che è tossica, che non si conosce e con cui solo i giovanissimi entrano in contatto. Ma non si tratta più neanche di un uso sbagliato: i tredicenni di oggi, così come quelli domani, sono nati all’interno del web, internet e i social erano già di utilizzo comune; non si può realmente controllare ciò che bambini e adolescenti vedono continuamente sugli schermi, perché sempre stimolati, ossessionati da un like o da un dislike, con una logica degli emoji che comprendono solo loro, che adulti o semplicemente ragazzi più grandi non capiscono.
Adolescence mostra la difficoltà di intervenire su questo problema, da parte di genitori, da parte della scuola e da parte dei ragazzi stessi, figli figli di ciò che vedono e sentono e che fanno proprio quello che credono essere giusto, o migliore, o meno grave. Ecco che però quella scelta di Jamie di dichiararsi colpevole non sembra esser considerata da lui solo più utile alla propria condizione, ma anche conseguente a qualcosa che in lui si sta muovendo, e cioè che ci sia speranza che lui capisca cosa ha fatto e quanto gravi, indicibili e violente siano state le proprie azioni. E che ora, come tutti, è il momento di pagarne le conseguenze. Per quanto Jamie si limiti solo a comunicare questa scelta, è comunque possibile che, se non subito, forse, un giorno, capirà realmente quello che ha fatto.
Adolescence: viaggio nel mondo dei giovanissimi e della manosphere

Quando nel secondo e terzo episodio di Adolescence si inizia a parlare del significato delle emoji, un mondo segreto e un nuovo alfabeto sembra dipanarsi agli occhi degli spettatori e degli stessi personaggi della serie. Si parte però da termini usati solo online, come ad esempio Incel, che vuol dire “involuntary celibates“, uomini che mai troveranno una donna, che mai si fidanzeranno o sposeranno, nati con il diritto di non intrattenere relazioni con le donne. La manosphere è un gruppo di social e blog dove vige un’ideologia misogina e maschilista, che vede il femminismo come il reale motivo dell’insuccesso maschile con le donne. In questo contesto alcune emoji che apparentemente rappresentano altro diventano un chiaro insulto, un’offesa o un simbolo di odio.
La frase del figlio del detective Bascombe, Adam: “La pillola rossa vuol dire vedo la verità. È un richiamo all’azione della manosfera. Dice che sei un incel, che lo sarai per sempre“. Lo sguardo di Bascombe a queste parole è lo stesso che adulti e post-adolescenti probabilmente avrebbero, e anche lo sguardo di Adam che, quasi esasperato, cerca di spiegare qualcosa che il padre non coglie, mostra a volte la decisione dei figli di lasciar perdere: tanto i genitori non possono capire, tanto per gli adulti è troppo difficile. I gruppi della manosfera, che sono sono principalmente quattro, riguardano la lotta contro le discriminazioni ai danni degli uomini, considerate nate solo a seguito del femminismo; la considerazione della donna come nemico unico e con il quale non avere alcun rapporto interpersonale; l’insegnamento di tattiche della seduzione che vedono le donne rispondere a strategie prestabilite e indiscutibili e, per ultimi, gli incel, in conflitto con il proprio aspetto, convinti di non poter mai piacere a nessuno.

Non a caso, nel terzo episodio, in più di un’occasione Jamie dice, con estrema naturalezza e convinzione: “sono brutto“. La manosfera e i gruppi che la compongono mirano spesso a diffondere misoginia e ideologia di mascolinità tossica e prima di Adolescence, molte persone lo ignoravano. Perché il mondo dell’online è in continuo cambiamento ed evoluzione e non è sempre facile capire come un emoji o definire qualcuno “incel” possa influenzare le persone, in particolare i giovanissimi. L’essere definito da Katie “incel” e quindi rifiutato per il suo aspetto esteriore, porta Jamie a pensare che le ragazze possano interessarsi a lui perché sono sole, come lui stesso dice: “disperate” o “deboli“. Un concetto che rimanda alla manipolazione, alla bassa autostima, all’impossibilità di piacere realmente a qualcuno e alla strategia opportuna da usare al momento giusto con quella ragazza in particolare.
Adolescence sembra infatti avere un doppio finale, quello della mentalità di Jamie, delle sua idee sulle donne, sul concetto di morte, omicidio e sulla gravità delle proprie azioni, ma anche le conseguenze che questo ha sulla sua famiglia. Un finale che inizia fin da quando detective, genitori e la stessa psicologa cercano di interpretare quei commenti e quegli scambi di messaggi tra i ragazzi coinvolti nella vicenda, e mostrano la propria difficoltà nel capire cosa realmente significhino, facendo l’errore di considerarli semplici scherzi o prese in giro innocenti tra compagni di classe. Le dinamiche e le situazioni che si abbattono sulla famiglia di Jamie riguardano sia episodi di vandalismo nei loro confronti, gli occhi puntati su di loro in ogni momento, i dubbi sul trasferirsi o meno e una crescente impossibilità di ritrovare una reale e duratura stabilità. Ma, considerando il capolavoro che è Adolescence, la miniserie esplora un altro concetto ancora, dando vita appunto a un doppio finale, connesso ma non strettamente legato alla domanda “Jamie ha ucciso realmente Katie?“, che trova comunque la sua risposta.

Entrambi i genitori di Jamie sono adesso consapevoli che c’è un mondo online e uno interiore del figlio del quale erano all’oscuro. Ripetono “pensavamo che fosse al sicuro, in camera sua, era sempre al computer, ma era qui“. Ed era effettivamente così, era in camera sua, era al sicuro, era al computer come tutti sono al computer, utilizzandolo come chiunque lo utilizza. Ma forse bisognerebbe chiedersi cosa leggeva, cosa vedeva, cosa pensava e cosa provava. Tutte domande lecite, ma quasi impossibili alle quali dare risposta. Le parole dei genitori mostrano una presa di coscienza: ammettono che avrebbero potuto fare di più. Ma sorge poi spontanea la domanda: cosa realmente avrebbero potuto fare? Le ideologie che si sono impossessate di Jamie, il bullismo, i commenti, gli emoji e la manosphere che l’hanno fatto diventare quel ragazzo che ucciso Katie avvenivano alla luce del sole, sotto gli occhi di tutti, ma forse senza comunicazione.
Perché Jamie non ha mai detto “sono brutto” o “sono un incel” alla sua famiglia. Come potevano i genitori, credere che un bambino di tredici anni, nella sua camera, al suo computer, potesse maturare quelle concezioni, quei pensieri e quella misoginia? L’ultima inquadratura di Adolescence è poi carica di simbolismo. Il padre, Eddie, soffocando le lacrime nel cuscino della camera figlio, rimbocca le coperte al peluche di Jamie, e poi dice “mi dispiace, avrei potuto fare di meglio“. Il peluche è quel Jamie che il padre credeva di conoscere, quel bambino che era prima che accadesse tutto questo, per quanto lui stesso, con quella frase, sembra capire che non sa né saprà mai quando esattamente Jamie è cambiato. E Adolescence, oltre alla vicenda narrata, lascia aperte molte domande, perché evidentemente esiste un mondo del quale la maggior parte delle persone è ancora all’oscuro.
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