In Bridgerton 2 c’è meno sesso? Così la serie distrugge e rivoluziona i nostri miti
Bridgerton 2 non conta molte scene di sesso, ma si snoda sensuale attorno a un’intuizione sovversiva: non esiste sacrificio che non sia un atto di egoismo.
Sono in molti a lamentare una minor presenza di sesso in Bridgerton 2. Dopo che la rappresentazione della relazione tra Daphne Bridgerton e il Duca di Hastings, al centro della prima stagione, aveva contribuito a smantellare il tabù del piacere femminile, ci si aspettava forse che anche i nuovi episodi intrecciassero maggiormente sentimenti ed erotismo e che continuassero a mostrare, con una certa sollecitudine grafica, languidi sospiri, voluttuosi strofinamenti, convulsioni orgastiche masturbatorie e no.
Ma la sessualità, verrebbe da dire, non si esprime soltanto attraverso il rapporto sessuale orale o genitale, di coppia o solitario: è la costruzione dell’intimità, se questa diviene autenticamente tale, a essere di per sé erotica, e spesso vi è più erotismo nell’assenza (o nell’attesa) di un incontro carnale che nella sua effettiva consumazione. Da questo punto di vista, si può affermare Bridgerton 2 non delude affatto.
Bridgerton 2: né il sesso né l’atto di volontà risolvono il vuoto d’amore
Se la prima stagione di Bridgerton aveva mostrato la difficoltà, più culturale che psicologica, di trasmissione del sapere erotico – a Daphne la madre ha insegnato tutto, tranne come si soddisfa sessualmente un uomo e, soprattutto, come da ciò si trae la propria soddisfazione, in uno scambio di piacere che lei impara dover essere reciproco e non sbilanciato in una grammatica patriarcale di subornazione di chi riceve a chi dà –, la seconda continua la riflessione allestendo il romanzo di (non) formazione sentimentale di un ragazzo ormai adulto, il visconte Anthony, il primo dei fratelli Bridgerton, il quale comprende fino in fondo che nessun sapere erotico è trasmissibile perché il sesso, conseguenza e non causa dell’amore, non può essere per sua natura insegnato a meno che, come credono gli scontenti di questa stagione a loro dire troppo casta, non si creda che si tratti solo di una pratica paraginnica controllabile attraverso l’applicazione di schemi atletici dal risultato garantito in termini di resa plastica, performance e godimento.
Devoto alla famiglia, unico testimone della scomparsa improvvisa del padre – un uomo tanto grande quanto beffardamente ucciso dalla più piccola delle creature –, Anthony decide che è arrivato il momento di archiviare la sua relazione con una cantante d’opera, di condizione sociale inferiore, per prendere una moglie degna del suo titolo e del prestigio della sua famiglia. Vuole fare le cose come si deve, per questo sottopone un discreto numero di candidate a colloqui selettivi volti a verificare la conformità delle loro caratteristiche alle sue aspettative. Il ragazzo, alle soglie dei trent’anni, vive nel culto dei genitori, del padre tragicamente scomparso e della madre che è rimasta a guidare la nidiata: la donna che prenderà il suo posto dovrà replicare le numerose qualità intellettuali e le altrettante risorse affettive e temperamentali di quest’ultima.
Così, quando la Regina sceglie di incoronare Edwina Sharma “diamante della nuova stagione”, Anthony si sente quasi sollevato in quanto può introdurre un nuovo criterio ‘oggettivo’ – l’approvazione della monarca – ai parametri che lo orientano nella sua scelta matrimoniale. Non esita, quindi, a corteggiare e proporsi alla ragazza benedetta dal più autorevole dei consensi. La sua ostinazione nel corteggiamento e il precipizio con cui vuole capitalizzarne i rituali non vengono scalfiti neanche dalla disapprovazione materna: Lady Violet vorrebbe che il figlio non desse per scontato, come invece aridamente fa, che matrimonio e amore siano per forza incompatibili. Una visione che, se inserita nel tempo in cui la serie è ambientata – siamo nel secondo decennio dell’Ottocento –, suona rivoluzionaria e che oggi, nell’epoca del disincanto e dei compiacimenti antisentimentali, torna a essere dirompente.
Bridgerton 2: l’emancipazione di Anthony Bridgerton (e della ‘sua’ Kate) dal mito del sacrificio
Con il suo epos in cui nulla accade se non ciò che solo importa che accada, l’avvicinamento amoroso tra esseri umani, Bridgerton 2, attraverso la figura saggia della madre, sembra volerci inoltre dire che, anche quando ci si mette in testa di amare e che si può imparare a farlo, non è perché noi lo vogliamo e ci applichiamo che ciò succede. L’amore non è un atto di volontà: sarà banale, ma ora sembra andare di moda sostenere il contrario in nome di un’igiene degli affetti che spesso li trasforma in pratica da apprendere.
Anthony vorrebbe amare Edwina, ci prova e non ci riesce. Non vorrebbe amare la sorella di lei, Kate, ci prova e non riesce neanche in quello. Il rapporto d’amore si costruisce e si alimenta, certo, ma chi afferma che sia un’arte a cui serve applicazione disciplina e attenzione che prima che possano esservi la disciplina e l’attenzione occorre che ci sia l’incontro con un altro risonante, con un altro che sentiamo di amare e basta, e non di volerlo amare, di volerlo amare ‘per forza’.
Oggi che ogni relazione che ci faccia palpitare e, come accade ad Anthony e Kate, ci infiammi, ci scuota e ci disturbi, viene sbrigativamente bollata come ‘tossica’, è liberatorio poter vedere che ciò per cui non vibriamo e non scianchiamo mai comunque non funziona lo stesso. Non è vero che le fiamme, se alimentate, diventano incendi: in amore non va così, perché l’incendio sempre precede la miccia.
La seconda stagione della serie TV Netflix smaschera l’egoismo degli altruisti
Col rifiuto a riconoscere il sentimento – perché è appunto solo un sentimento – e a edificare a partire da quel sentimento un rapporto, Anthony pretende di assolvere un dovere, ma in verità vuole soltanto mantenersi comodamente aderente alla sua identità: quella di vittima sacrificale. Nella cessione del desiderio all’imperativo che crede gli venga rivolto dalla sua famiglia, scambia il proprio infantilismo per dimostrazione (muscolare, esibita) di maturità. Rinnegando, infatti, l’amore per sé, credendo di cederlo alle esigenze di famiglia, s’imbottiglia ancor più nel suo stesso narcisismo, con il risultato di non riuscire ad amare proprio nessuno.
Kate è, del resto, il suo doppio speculare: la sua vita è stata segnata dall’interiorizzazione del culto del sacrificio e l’unica cosa che all’apparenza le interessa è ‘sistemare’ sua sorella, fare il suo ‘bene’. Eppure, nel fare il suo bene, non si accorge che la sorella è l’unica a non essere mai vista per ciò che è, l’unica a non essere amata, a essere condannata all’invisibilità, alla condizione di oggetto di cui gli altri dispongono.
Anthony le regala un cavallo, ma lei non sa cavalcare, non le piace; è la sorella maggiore l’amazzone, non lei; ed è la sorella maggiore che Anthony vede e riconosce nella sua individualità, non lei. Sebbene con i limiti propri dei suoi mezzi generalisti che talvolta dirottano nel lacrimoso le buone intenzioni (e intuizioni) della scrittura, Bridgerton 2 riesce, nel corso dei suoi episodi a ritmo lento, a srotolare in chiave pop-fiabesca una riflessione affatto banale: nello smascherare l’egoismo degli altruisti, inchioda questi ultimi al movente ultimo dei loro comportamenti sacrificali, la paura di desiderare per sé e, dunque, di crescere.