Cabinet of Curiosities: la spiegazione finale dei primi episodi
I primi due episodi della serie Netflix nascondono diversi collegamenti. Ecco la nostra spiegazione!
“Dietro ogni forma di bellezza c’è l’oscurità“, afferma il personaggio di Pickman che dipinge quadri che corrompono la mente. Poi, alla domanda di Ben Barnes: “Dove possiamo trovare queste sfuggenti verità?” – sempre nel quinto capitolo di Cabinet of Curiosities – il talentuoso artista risponde: “Dove abita la paura“. In un dialogo emblematico perché l’intera serie antologica Netflix curata da Guillermo del Toro, che è anche il produttore esecutivo di questa collezione di film horror autoconclusivi, è dedicata alla vita (impossibile senza sofferenza), alla verità, all’arte nel mondo moderno, ma soprattutto al sentimento primitivo, diffuso e potente della paura esplorato nelle forme più ancestrali e autorali. Il regista di Il labirinto del fauno ci regala un’opera che guarda al lavoro di Rodman Edward Serling (ad esempio se si vede il soggetto di Lotto 36) e di Alfred Hitchcock (soprattutto ne Il mormorio).
Lotto 36 e I ratti del cimitero – “Chi mal opra, male al fine aspetta“
Analizziamo qui il finale dei primi due episodi indipendenti: Lotto 36 diretto da Guillermo Navarro e I ratti del cimitero che vede dietro la macchina da presa Vincenzo Natali, disponibili sulla piattaforma streaming dal 25 ottobre 2022. Lotto 36 e I ratti del cimitero già comprendono i mostri cari a del Toro, i mostri generati dalla paura, sempre diversi ma che tornano negli otto episodi della serie assumendo le forme di spiriti, topi, scricchiolii di vecchie case, streghe e creature aliene: testimonianze di altri mondi, di una storia naturale e innaturale.
Cabinet of Curiosities – Lotto 36 e il demone tentacolato dell’avidità
Molti sono i vizi che avvelenano la vita umana; l’avidità è uno di quelli più insidiosi e terribili, capace di portare gli uomini nei luoghi più oscuri. Le prime due storie a cui Guillermo del Toro ci introduce – in versione quasi fluttuante come uno spirito – sono Lotto 36 e I ratti del cimitero: due racconti horror che offrono più di uno spunto di riflessione sul tema della morale. La prima è basata su una short story dello stesso Guillermo del Toro e ha per protagonista Tim Blake Nelson nel ruolo di Nick Appleton, un uomo razzista, divorziato e pesantemente indebitato, che prova a risolvere i suoi problemi economici puntando sugli acquisti di magazzini privati costruiti negli anni ’40, finiti all’asta dopo il decesso dei proprietari. L’ultimo acquisto di Nick è il lotto 36, un locale dalle dimensioni ridotte che scopre pieno di cimeli nazisti: qualunque cosa ci sia dentro, dopo l’acquisto è diventato di sua legittima proprietà. Ma in quello stesso giorno una donna messicana di nome Amelia lo implora di farle vedere quali ricordi di famiglia può salvare da un magazzino che il protagonista aveva acquistato in precedenza. L’uomo rifiuta crudelmente, poi torna a occuparsi del suo interessante nuovo acquisto. Insieme a un banditore che non vede l’ora di trovare il quarto libro di una preziosa e oscura collezione scoperta nel nuovo magazzino, scopre una stanza segreta in cui giace il cadavere della sorella dell’ex proprietario (deceduto) del locale. Si scopre infatti che quest’ultimo apparteneva a una famiglia che fabbricava armi per i nazisti e che era un uomo che conosceva il male e lo applicava su scala quasi assoluta; che aveva invocato un’entità demoniaca tentacolata e che offrì a questa sua sorella Dottie come tramite da possedere. Nick, nella sua disperazione per ottenere il raro libro dell’occulto e il denaro che il banditore gli aveva promesso, interrompe l’incantesimo protettivo attorno al demone trovato nella stanza segreta del lotto 36, liberandolo. Il demone divora immediatamente il banditore mentre Nick riesce a scappare. Quando raggiunge la porta (chiusa dall’esterno) vede la signorina Amelia e la supplica di aprire. La donna non apre la porta e anche Nick viene divorato dal demone, mentre la puzza per l’assalto del mostro arriva fino a noi prima e dopo questo finale classico che si appoggia alle tradizioni dei racconti morali dell’orrore.
I ratti del cimitero e la bestiaccia da incubo della disonestà in Cabinet of Curiosities
Con i colori in fotografia che variano dal bianco al marroncino, marrone scuro, argento, grigio o nero (la colorazione dei topi) e un tema che casca a fagiolo dopo il primo episodio; arriva la storia de I ratti del cimitero. Il secondo capitolo, tratto dal racconto di Henry Kuttner, che ha per protagonista un altro uomo indebitato fino al collo e pronto a tutto pur di ripagare il suo debito. Ma in questo caso fa il suo ingresso un tipo diverso di mostro, un araldo del male gigante e onnivoro che abita luoghi sotterranei e si nutre di cadaveri in decomposizione. Il protagonista de I ratti del cimitero è Masson, un ladro di tombe senza dignità né cuore interpretato da David Hewlett. Masson scava e cerca un tesoro nelle profondità del cimitero di Salem Sud, nel luogo che invece dovrebbe custodire. La sua paura dei ratti e la sua quotidiana faida con le bestiacce nascoste sottoterra arriva al punto cruciale di questo secondo capitolo. Dopo aver visitato l’obitorio e aver sentito che un aristocratico morto di recente verrà sepolto insieme a un tesoro inestimabile, il ladro si dirige alla tomba con l’intenzione di anticipare l’assalto dei ratti. Ma ancora una volta viene attaccato dai suoi nemici roditori mentre i topi trascinano il corpo dell’uomo facoltoso (da pochissimo sepolto) nelle caverne sotto il cimitero. In una claustrofobica e interrata caccia alle ricchezze, Masson li segue per poi scontrarsi con un topo immensamente grande e da incubo. Un’epica impresa anche di effetti visivi (è sicuramente una delle storie più impressionanti della collezione). C’è un momento di trionfo per Masson, che, non solo riesce a sfuggire alla creatura, ma riesce anche a trovare una fossa di scheletri ricoperti di gioielli (sic!). Poi, in una svolta spettrale, il ladro di tombe segue un bagliore di luce, mirando a farsi strada in superficie. Ahimè, non striscia fuori alla luce del giorno ma in una bara, perché la luce che aveva visto era solo un riflesso della lastra di metallo incisa al suo interno. Una volta rimasto sepolto vivo, diventa rapidamente cibo per topi e i suoi incubi peggiori prendono vita. C’è un proverbio che deriva dal famoso poema epico di Ludovico Ariosto Orlando Furioso che recita: “Chi mal opra, male al fine aspetta”.
Del Toro prepara il terreno per farci entrare nella terza storia che si apre con la visione di un mostro ben più scaltro
L’invasione, i movimenti rapidi e le acrobazie dei ratti anticipano in qualche modo i mormorii presenti nell’episodio finale di Cabinet of Curiosities, ma c’è un altro aspetto da considerare. Se, nel mondo occidentale, al ratto sono associate quasi esclusivamente immagini negative (come sporcizia e malattia, e spesso viene usato metaforicamente come emblema di corrispondenti morali di queste immagini come la disonestà), questo mammifero roditore è noto anche per la sua capacità di sopravvivere in qualsiasi ambiente, per essere un araldo di saggezza: una creatura di grande intelligenza! Del Toro prepara il terreno per farci entrare nella terza storia che si apre con la visione di un mostro ben più scaltro, nelle pieghe di un’indagine su un terribile incidente avvenuto in una miniera sotterranea della Pennsylvania che si risolve con una soluzione ingegnosa del patologo che effettua le analisi sulle vittime. Una nuova storia che offre agli ottimisti… il primo happy ending della serie.