Il caso Yara: la storia vera dell’assassinio della giovane ginnasta

Ripercorriamo la storia del tremendo assassinio di Yara Gambirasio, a cui Netflix dedica una serie TV, disponibile dal 16 luglio 2024.

Dal 16 luglio 2024, disponibile su Netflix la docuserie Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio, ideata e diretta da Gianluca Neri (già autore di SanPa), ricostruzione (o revisione?) del caso della tredicenne Yara Gambirasio, uccisa nel 2010 da Massimo Bossetti dopo un tentativo di violenza sessuale. Ripassiamo che cos’è accaduto e perché Bossetti, che si dichiara innocente, è inconfutabilmente l’assassino della giovane vittima.

Tra le indagini più complesse e costose della storia giudiziaria del Paese, l’investigazione che ha portato all’incarcerazione di Massimo Giuseppe Bossetti, muratore colpevole di aver ucciso nel 2010 la tredicenne Yara Gambirasio, rappresenta un caso esemplare di come le tecniche oggi avanzatissime di rilevamento, conservazione e analisi dei reperti genetici, insieme all’interpretazione degli indizi, possano fare la differenza. Per rendere l’idea delle proporzioni, qualche numero: 4.300 sono stati i testimoni ascoltati; 21.770 i profili genetici studiati. Anche se è proprio la parzialità del materiale genetico esaminato – il solo DNA nucleare e non quello mitocondriale – che, secondo alcuni, renderebbe confutabile la prova che ha inchiodato Bossetti. Vi spieghiamo come sono andate le cose e perché gli innocentisti a oltranza si sbagliano senza se e senza ma.

Il caso Yara: la scomparsa della ginnasta tredicenne

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Yara – nome di origine araba che significa “farfalla” – Gambirasio ha tredici anni e mezzo, frequenta la terza media, vive a Brembate di Sopra, cittadina di poco meno di 8.000 abitanti in provincia di Bergamo, insieme alla madre Maura, maestra d’asilo, al padre Fulvio, geometra, e a tre fratelli: Keba, Giona e Natan. La sua grande passione è la ginnastica ritmica. Venerdì 26 novembre del 2010, la ragazzina esce di casa per recarsi in palestra, dove arriva alle 17:30, anche se quel pomeriggio non ha allenamenti in programma. Alla sua insegnante si era rotto lo stereo durante gli allenamenti del mercoledì precedente; lei si era resa disponibile a prestarle quello di suo padre. Esce dal centro sportivo un’ora e dieci minuti più tardi, dopo aver assistito a una lezione di hip hop. Ancora qualche minuto prima delle 19, risponde al messaggio di un’amica, ma, quando, un minuto dopo le 19, la madre prova a contattarla telefonicamente, il cellulare risulta spento. Di lei, più nessuna traccia: sembra essere evaporata. Le telecamere a presidio della palestra quel pomeriggio non erano in funzione: non possono averla ripresa mentre si allontana.

Il primo indiziato: Mohammed Fikri

La comunità è piccola; la notizia della sparizione di un’adolescente scuote tutti. Il caso viene affidato alla pm Letizia Ruggeri: classe ’65, molto sportiva, riservatissima e fiera della sua carriera di “magistrato di provincia“, carriera consolidatasi ad Agrigento, città in cui si è a lungo occupata di omicidi di mafia. Cani molecolari rilevano tracce di Yara nel cantiere di Mapello, aperto per la costruzione di un centro commerciale. Viene ritrovato un secchio che sembra sporco di sangue, ma si tratta, a un esame più approfondito, di ruggine. Un operaio di origine marocchina, Mohammed Fikri, sottoposto a intercettazioni, è, in un primo momento, il principale indiziato. La sua posizione appare sospetta perché, il 5 dicembre, appena nove giorni dopo la scomparsa della ragazzina, si trova a Genova, pronto a imbarcarsi su una nave per Tangeri. Un tentativo precipitoso di fuga? Forse. L’interprete dall’arabo aveva riferito che Fikri, il 3 dicembre, avrebbe detto: “Allah mi perdoni, non l’ho uccisa io!“. Il viaggio, sebbene programmato da ben prima della scomparsa di Yara, avvalorerebbe l’ipotesi di un suo coinvolgimento. Iscritto nel registro degli indagati, Fikri, fin da subito dichiaratosi estraneo ai fatti, viene successivamente del tutto scagionato da nuove perizie (altre quindici, dopo la prima): la traduzione iniziale non era corretta, la parola “uccidere” mai stata pronunciata.

La svolta: il ritrovamento casuale del corpo

26 febbraio 2011. Tre mesi esatti dopo la scomparsa della giovane Gambirasio, Ilario Scotti, aeromodellista, sta facendo volare il suo aeroplanino sopra un campo a Chignolo d’Isola, a 10 km da Brembate di Sopra. L’aeroplanino cade. Nel recuperarlo, Scotti s’imbatte nel corpo, ormai in avanzato stato di decomposizione, di Yara. Il cadavere era lì da tre mesi, mimetizzato con la vegetazione del luogo, in una zona fitta di arbusti spinosi e intricati. L’autopsia offre nuove elementi a un’indagine fino a quel momento inerte: la ragazzina ha mangiato pesce e piselli a pranzo e al momento della morte non aveva completato la digestione. Ciò significa che è morta il giorno stesso in cui è scomparsa. Nel polmone, vengono ritrovate tracce di polvere di calce; attorno alle ferite, residui di materiali utilizzati nell’edilizia. Questi ultimi dati porterebbero nuovamente al cantiere di Mapello: chi ha ucciso Yara – i medici legali riferiscono che la giovane è stata brutalmente sottoposta a ripetuti colpi alla nuca, al capo, alla mandibola e allo zigomo sinistro nonché a numerosi tagli, ma la morte sarebbe avvenuta non per le lesioni, ma per ipotermia – lavora lì. L’assenza di prove dirette di violenza sessuale non permette di archiviare il movente sessuale, fin da subito ipotizzato dagli inquirenti, che anzi esce rafforzato dall’esame autoptico: slip e leggings di Yara sono stati, infatti, tagliati dal suo assassino, il quale avrebbe desistito dal violentarla solo per paura.

I reperti del DNA: la mappatura genetica e il profilo di Ignoto 1

I genetisti forensi accertano che i reperti di DNA, provenienti probabilmente da tracce di sangue, ritrovati sugli slip e sui leggings tagliati di Yara, non appartengono alla vittima, ma a un soggetto di sesso maschile di razza caucasica, al 94% dagli occhi azzurri, non schedato. L’assassino viene nominato Ignoto 1. La pm richiede un campionamento a tappeto di quante più persone possibili: è proprio grazie a questo metodo di screening su base volontaria attraverso un tampone salivare, metodo fino a quel momento mai utilizzato in Italia, che risalgono a Damiano Guerinoni, il cui DNA è in parte compatibile, per linea paterna, con quello di Ignoto 1. I due fratelli Pierpaolo e Diego risultano ancora più compatibili con il profilo genetico di Ignoto 1 di quanto non lo sia Damiano stesso, sebbene anche loro non completamente. Il padre dei tre fratelli Guerinoni, Giuseppe, è morto nel gennaio del 1999, ma c’è sempre la possibilità che Ignoto 1 sia un suo figlio biologico, ma illegittimo. Un quarto fratello di cui i tre già sottoposti a test non sono a conoscenza. Si cerca, a lungo senza frutto, la madre di Ignoto 1. Una ricercatrice scopre che il DNA nucleare di Ignoto 1 presenta la variante di un allele molto rara che Ignoto 1 può aver ereditato solo dalla madre. Grazie a questa informazione, si risale all’identità di Ester Arzuffi, madre di tre figli, tra cui due gemelli: un maschio e una femmina. Il maschio, Massimo Giuseppe – stesso nome del padre naturale – Bossetti, è un carpentiere dagli occhi azzurri. Fermato con il pretesto di fare un alcol test, a Bossetti viene prelevato del materiale salivare: la profilazione genetica ricavata viene confrontata con quella di Ignoto 1 e risulta compatibile al 100%.

Bossetti, pedofilo regressivo

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Condannato nei tre gradi di giudizio all’ergastolo per omicidio, con l’aggravante della crudeltà, Bossetti non ha mai confessato, nonostante la prova incontrovertibile del DNA isolato sugli abiti di Yara e i dati provenienti dai computer prelevati da casa sua (ricerche Internet di materiale pedopornografico). C’è chi ancora lo difende usando come argomento il vizio del materiale genetico esaminato: si tratta, infatti, del solo DNA nucleare, mentre non è mai stato analizzato, poiché mai ne è stato rinvenuto alcun reperto, il DNA mitocondriale. Eppure, la polizia giudiziaria non si serve mai, se disponibile quello nucleare, del DNA mitocondriale perché quest’ultimo è in grado di fornire solo informazioni incomplete, in quanto è trasmesso, a differenza di quello nucleare, soltanto per parte femminile: lo condividono dunque indifferenziatamente tutti i componenti di una stessa famiglia in cui la linea materna è comune. Secondo le criminologhe Roberta Bruzzone e Laura Marinaro, che hanno dedicato al caso Gambirasio il libro Autopsia di un’indagine, il DNA isolato sugli indumenti intimi di Yara “è un profilo completo, con tutti gli indicatori, sia quelli sessuali che autosomici” e, pertanto, risulta “assolutamente affidabile“. Le due esperte riconoscono inoltre, in Bossetti, i tratti di un child abuser regressivo, vale a dire di un pedofilo privo di interesse esclusivo per i minori – riesce, infatti, a sessualizzare anche adulti – che, però, in momenti di crisi personale, regredisce a fantasie e/o, come in questo caso, ad agìti parafilici rivolti ai bambini.

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