Da Ozark a Gomorra: la poetica del male nelle serie TV
Perché siamo attratti dall'ambiguo fascino della malvagità...
Di fronte al successo di serie TV popolate da personaggi negativi (tra le tante, Ozark e Gomorra) non possiamo fare a meno di chiederci: perché siamo così attratti dal male? Possiamo dire conclusa l’epoca dei buoni sentimenti, del Romanticismo e del lieto fine? Come spettatori – e ancora prima come individui – siamo affascinati dalle storie noir perché il male è dentro di noi o perché ci circonda? Già Aristotele, ne La Poetica, aveva parlato di “catarsi” a proposito della tragedia greca, ovvero della funzione purificatrice che consentiva agli spettatori di vivere intensamente le emozioni negative per tornare poi alla vita quotidiana con l’animo alleggerito. Strano a dirsi ma, accoccolati comodamente sul divano di casa mentre guardiamo serie tv come Gomorra o Ozark, viviamo un’esperienza simile a quella degli ateniesi del V secolo a.C., anche se non siamo a teatro e i personaggi rappresentati sul piccolo schermo non si chiamano Edipo e Antigone, ma Genny Savastano e Wendy Byrde.
Il male come tratto distintivo della nostra epoca segnata dalla sopraffazione
Se è vero che nessuno può dirsi immune da sentimenti distruttivi come la rabbia, l’invidia, l’odio e la vendetta, è altrettanto vero che ogni società ha escogitato diversi modi per rappresentare la parte più oscura dell’animo umano. Nell’Europa a cavallo tra il medioevo e l’età moderna, i roghi delle streghe avvenivano in piazza e le vittime venivano insultate e maledette dalle persone, lì convenute, come spettatrici della macabra esecuzione. Potremmo citare molti altri esempi emblematici del fatto che il male è in grado di trasformarsi in una sorta di spettacolo ipnotico. D’altra parte, la storia del cinema è piena di film splatter, con scene intrise di sangue e di paura. Ma la malvagità che caratterizza le già citate Ozark e Gomorra ma anche Suburra e Narcos ha finito con il diventare la cifra stilistica e narrativa di questi racconti, così da dar vita ad una nuova poetica del male. Esiste dunque un filo rosso (forse sarebbe più coretto dire nero) che collega una storia ambientata in una remota località lacustre degli Usa ad un’altra che prende corpo nelle periferie violente delle città italiane. Il male così rappresentato ha il potere di accomunare personaggi molto diversi per estrazione sociale e culturale: scopriamo che una ricca signora della classe media americana commissiona omicidi come un boss semianalfabeta delle Vele di Scampia.
Da Ozark a Gomorra: come la poetica del male è diventata trasversale
La poetica del male è diventata a tal punto pervasiva e trasversale che, in qualità di spettatori, fatichiamo a trovare i buoni della Storia, la parte giusta con cui identificarci, la morale della favola. Non è peregrino pensare che il fascino del male dipenda dalla sua capacità di rendere ambigui i contorni delle cose e perfino delle persone: Come si può solo pensare di uccidere fratelli, mariti, mogli e perfino i propri figli? Un ulteriore elemento di fascinazione è costituito dalla natura per così irredimibile delle azioni malvagie rappresentate. In questo senso il finale di Gomorra è davvero emblematico: non c’è scampo per nessuno, non c’è speranza né via d’uscita, ed anzi soltanto il male e la morte possono sopravvivere alla mattanza senza volto della spiaggia. In fondo, la natura quasi impersonale del male, che agisce come una forza che sovrasta chi lo subisce e perfino chi lo compie, costituisce una sorta di metafora dell’individualismo esasperato, della competizione come fine in sé, della sopraffazione assurta a valore, insomma dei tratti più deleteri del nostro tempo.