Don Diana: la storia vera del sacerdote raccontata in Per amore del mio popolo

La Rai pone l'attenzione sulla carismatica figura di Don Diana nella miniserie del 2014 Per amore del mio popolo.

La Rai pone l’attenzione sulla figura di Don Diana riproponendo la miniserie Per amore del mio popolo – Don Diana. Diretta da Antonio Frazzi e andata in onda per la prima volta su Rai 1 nel marzo del 2014, la serie (ancora disponibile su RaiPlay) vede Alessandro Preziosi nei panni del sacerdote protagonista e prende spunto, oltre che dalla biografia di Don Diana, da una famosa lettera intitolata proprio Per amore del mio popolo la quale, diffusa nel Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e dintorni, si erge a manifesto dell’impegno contro il sistema criminale che da tempo immemore attraversa queste terre in cui il sacerdote operò. Parliamo nello specifico di Casal di Principe, Frignano, Casapulla e Casaluce, che sono anche state usate come set (insieme ad altre location quali Nepi e Capranica).

Per amore del mio popolo – Don Diana, il film Rai in due puntate

La miniserie Rai racconta il coraggio di Don Diana, che con devozione e sacrificio decide non di scappare via bensì di rimanere accanto alla sua gente, di subire minacce e ingiustizie, pur di dare al suo popolo un messaggio di pace e speranza, facendo capire loro che il cambiamento è sì difficile, ma possibile. Una storia che si intreccia inevitabilmente alla storica diatriba tra le famiglie camorriste Esposito e Capuano, facendoci dare uno sguardo anche ad altri personaggi divenuti simbolo della lotta contro le mafie (Don Pino Puglisi, in Sicilia) e ripercorrendo la biografia di Giuseppe Diana.

Chi era Don Diana? La storia vera dietro alla miniserie Rai

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Noto anche come Peppe Diana o Peppino Diana, Don Diana si è distinto per aver combattuto contro la camorra nella sua terra d’origine, ovvero la Campania ed esattamente a Casal di Principe, dove nacque il 4 luglio 1958. Figlio di proprietari terrieri, iniziò a frequentare il seminario di Aversa (in provincia di Caserta) a partire dal 1968, conseguendo presso la struttura sia il diploma di scuola media che la maturità classica. I suoi studi proseguirono poi presso il seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale, dove si laurea in Teologia biblica e successivamente in Filosofia (presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II).
Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI), mentre nel 1982 viene ordinato sacerdote: un ruolo che Diana onorerà a tutto tondo, mettendosi sempre e comunque a disposizione della povera gente, quella ostacolata quotidianamente dalla camorra casalese che, legata principalmente alla figura del boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, in quegli anni non solo ha mantenuto il controllo dei traffici illeciti, ma si è altresì infiltrata nella legalità, distruggendola dall’interno.

In questo contesto così pericoloso e delicato Don Diana svolge la sua attività di parroco presso la Chiesa San Nicola di Bari (a Casal di Principe) a partire dal 1989, rimanendo in loco anche quando, diventando segretario di monsignor Giovanni Gazza, vescovo della diocesi di Aversa, avrebbe la possibilità di trasferirsi nella Capitale. Ma la sua dedizione è inesauribile e la sua parola si diffonde, oltre che durante le omelie sacre, nelle aule scolastiche presso le quali insegna (materie letterarie presso il liceo del seminario Francesco Caracciolo e religione cattolica presso l’istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta e l’Istituto Professionale Alberghiero di Aversa).

La miniserie ci fa addentrare nelle trame della malavita, nei compromessi che spesso si è costretti ad accettare o, semplicemente, si sceglie di farlo; negli atti intimidatori tipici della camorra e nel disegno scabroso di realtà che sembrano essere state dimenticate da Dio, in cui nemmeno l’appartenenza al clero può salvare. Diffondere la speranza, indurre al cambiamento e mettere radici per una vita migliore e libera dal sistema malavitoso è un rischio che la delinquenza non può permettersi e allora, in barba a tutto e a tutti, anche ai preti come Don Diana capita di finire nel mirino.

Per farlo tacere per sempre la camorra sceglie un giorno simbolico, ovvero quello dedicato a San Giuseppe: alle 7.20 del mattino del 19 marzo 1994, nel giorno del suo onomastico, don Diana viene assassinato nella sacrestia della sua Chiesa. Proprio mentre sta per celebrare la santa messa, cinque proiettili oltrepassano il suo corpo (due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo), lasciandolo privo di vita. Ad aver commissionato l’omicidio, si scoprirà poi, è Nunzio De Falco dello storico clan dei casalesi, arrestato nel novembre del 1997 dopo essersi rifugiato in Spagna.

Chi ha ucciso Don Giuseppe Diana?

La strada verso la giustizia, tuttavia, non fu per niente semplice, dal momento che in tutti i modi si cercò di infangare il nome di Don Diana, al quale furono invano affibbiate colpe inenarrabili e lontanissime dalla verità (frequentatore di prostitute, pedofilo e custode delle armi destinate a uccidere il procuratore Cordova). A dare una svolta positiva alle indagini fu la confessione di Giuseppe Quadrano, autore dell’omicidio il quale, consegnandosi alla polizia e iniziando a collaborare con la giustizia, fece saltare i piani del suo mandante (il già citato De Falco) che, difeso da Gaetano Pecorella (allora presidente della commissione Giustizia della Camera), aveva provato a far ricadere la colpa sul boss del clan rivale, Schiavone.

Il 30 gennaio del 2003 De Falco fu condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio, mentre l’esecutore Quadrano fu condannato a 14 anni. Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo come coautori dell’omicidio, anche Mario Santoro e Francesco Piacenti.

Cosa c’è scritto nella lettera Per amore del mio popolo?

Divulgando la famosa lettera Don Diana fa un appello a tutti per richiamare l’attenzione della Chiesa, il cui compito dovrebbe essere quello di “educare con la parola e la testimonianza di vita”, puntando il dito sulla Camorra, autrice di “veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.
L’appello di don Diana è allora quello di essere, in quanto Cristiani, profeti di giustizia. Per citare la lettera, nel punto inerente l’Impegno dei Cristiani:

Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.

L’appello di Don Diana è rivolto soprattutto alle Chiese, sulle quali ricade il compito di promuovere “analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”. Come dice nella lettera: “Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa”.

 

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