Fedeltà “massacrata” sul web, ma le critiche sono davvero fondate?
La serie, nonostante gli sforzi pubblicitari profusi e la promessa di “universalità”, non ha convinto i critici né conquistato gli spettatori. Sul web, le stroncature maggiori. Ma si tratta di accanimento o merita davvero giudizi tanto severi? Noi crediamo (solo in parte) di sì. [sott.]
Resa disponibile alla visione in streaming dallo scorso 14 febbraio 2022, il lunedì di San Valentino, Fedeltà, adattamento dell’omonimo romanzo di Marco Missiroli, segue un filo narrativo di per sé molto esile: Carlo, autore di un primo libro fortunato, insegna in una scuola di scrittura e, nel frattempo, cerca di scrivere un secondo libro che confermi il suo talento. Ha una relazione apparentemente stabile, formalizzata dal vincolo matrimoniale, con Margherita, una giovane donna laureata in architettura che vorrebbe dedicarsi all’arredamento, ma ha ripiegato, per ragioni di sicurezza economica, sulla carriera di agente immobiliare.
Tra loro si insinua “il malinteso”: Carlo viene visto da una studentessa mentre ne accoglie tra le braccia un’altra. Il dubbio intorno alla fedeltà di lui – è credibile la sua versione, secondo la quale avrebbe soltanto soccorso la studentessa in preda a uno svenimento? – legittima lei ad assecondare i suoi pruriti adulterini, suscitati dalla figura di un fisioterapista dal tocco di mano particolarmente ispirato. Per la coppia è l’inizio di un valzer amoroso – il valzer compare, non a caso, come colonna sonora nell’ultimo episodio della serie – che li porta a separarsi, sperimentare altre possibilità, ritornare (anche se solo nel desiderio, e poi chissà) sui loro passi.
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La promessa tradita del rispecchiamento
La responsabile delle produzioni originali Netflix, Ilaria Castiglioni, aveva promesso, in occasione della conferenza stampa di presentazione della serie, che la società produttiva e distributiva, in Italia, stava cercando il più possibile “di portare alla luce racconti universali, che possano diventare particolarmente significativi quando calati all’interno di un contesto iperspecifico”. “Solo così”, aveva poi aggiunto in quell’occasione, “è possibile raggiungere un obiettivo duplice: generare, da un lato, curiosità per ciò che è nuovo e giocare, dall’altro, sull’empatia che il riconoscimento genera”.
Eppure, Fedeltà non sembra mantenere le promessa: la serie non appare né così ‘nuova’ – è satura di iconografie plastificate, del tutto consuete, e nondimeno fasulle – né così universale, dato che i personaggi, più ‘tipi’ che individui, si aggirano in contesti sociali privilegiati e intrattengono relazioni solo esteriori, appese a dialoghi meccanici e a sguardi perennemente e roboticamente languidi. Non si comprende in che modo l’identificazione con personaggi costruiti come sagome animate possa prodursi con naturalezza nello spettatore. Anche la rappresentazione della sessualità risente di un immaginario eccessivamente plastico e muscolare, privo di risonanze emotive e sganciato da grammatiche affettive autentiche, quasi del tutto asservito a un automatismo drammaturgico che se ne infischia del referente reale.
La vita dei trentenni precari: questione di design
La complessità psicologica trova forse soltanto negli strumenti narrativi l’occasione per potersi esprimere compiutamente. Nel passaggio dal linguaggio narrativo alla drammaturgia, le cose, però, cambiano, e la minore flessibilità del nuovo mezzo dovrebbe essere compensata: in Fedeltà, la caratterizzazione dei personaggi, dai principali a quelli minori, appare tuttavia appena abbozzata, priva di quel respiro e di quella stratificazione che nelle pagine del libro, al contrario, riescono a raggiungere.
Sulla carta, i personaggi di Fedeltà sono dei ‘mediocri’ come tutti noi, persone comuni che si confrontano con l’inevitabilità del compromesso e della mancanza: Carlo vorrebbe affermarsi come scrittore, ma scopre i limiti del suo talento; Margherita, che prima si era autolimitata, decide, invece, di concedere al suo talento una chance; Sofia, l’allieva di cui Carlo si invaghisce, è una provinciale che frequenta una scuola di scrittura a Milano e nel frattempo si guadagna da vivere lavorando in un caffè (e comunque riesce a permettersi una spaziosa camera singola in un bell’appartamento milanese di ringhiera).
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Nondimeno, questa medietà non genera alcun rispecchiamento, proprio perché virtuale, consegnata all’autonarrazione compiaciuta dei personaggi: i due trentenni, precari nei sentimenti e nella professione, si rammaricano di vivere in un monolocale, ma il loro monolocale non è l’appartamento angusto che descrivono e che ci immagineremmo, ma, come in ogni fiction ‘industriale’ che si rispetti, una casa di design. Vivono la Milano elegante, frequentano locali chic: il loro microcosmo sociale è una bolla, un circuito fittizio e credibile solo con una vigorosa – ma, sia chiaro, non di per sé deplorevole – sospensione di incredulità. Ai personaggi poco cesellati dal punto di vista psicologico gli sceneggiatori, come si è soliti fare nella serialità generalista, hanno dato una mano di vernice, una patina glam che, pur nella sostanziale vacuità, li rendesse seducenti.
Fedeltà si distacca così tanto dal livello medio delle serie Netflix?
E, così, nonostante non si comprenda fino in fondo l’urgenza della resa in termini seriali del romanzo di Massiroli e il risultato complessivo della riscrittura – da narrativa a drammatica – lasci a desiderare, è inevitabile sia dar ragione agli aspri critici social sia chiedersi se non abbiano, però, anche ecceduto nel gioco al massacro. Quale sarebbe, infatti, la differenza in termini di qualità tra Fedeltà e il prodotto medio, sia nostrano sia internazionale, del catalogo Netflix? A ben guardare, nessuna.
Forse, ci si aspettava semplicemente di più, considerate le forze pubblicitarie coinvolte e lo spessore degli interpreti principali (Riondino e Guidone). Ma la verità è che Fedeltà si lascia guardare, e poi facilmente archiviare, come gran parte di ciò che troviamo sulla piattaforma di film e serie a pagamento più frequentata al mondo. Resta, questo sì, tuttavia sospesa negli intenti: non si staglia né quale ingenuo guilty pleasure pop à la Emily in Paris né come ritratto generazionale struggente sul modello di Strappare lungo i bordi. Confonde e si confonde, fredda e dimenticabile, sepolta e non valorizzata dalla lucidatura di superficie.