Il Nostro Generale: la storia vera del Generale Dalla Chiesa alla base della fiction Rai
Un racconto di libertà e resistenza tra i racconti più intensi e drammatici del nostro paese.
Il Nostro Generale è la recente serie televisiva italiana, composta da 8 episodi, che porta sul piccolo schermo la storia del coraggioso generale dei Carabinieri e prefetto Carlo Alberto della Chiesa (che ha il volto di Pietro Castellitto) che venne ucciso nel 1982, il 3 settembre, insieme alla moglie ad un agente della scorta in un agguato a Palermo in Via Isidoro Carini, raggiunti da una raffica di AK-47. Una figura fondamentale della nostra storia che è stata più volte ricordata nel mondo dell’intrattenimento.
Il Nostro Generale, diretto da Lucio Pellegrini (Romanzo siciliano, Carosello Carosone) e Andrea Jublin (Per lanciarsi dalle stelle, Ginestra) con la produzione di Stand By Me e Rai Fiction, è in onda il 9, 10, 16 e 17 gennaio 2023 in prima serata su Rai 1. Proprio perché siamo dinanzi ad una storia vera, è opportuno tornare indietro e ricordare alcuni momenti cruciali della vita di Dalla Chiesa che hanno segnato fortemente il nostro paese.
Il Nostro Generale: una vita contro i soprusi
Il Nostro Generale, in particolare, prende il via dal 1973, raccontando gli ultimi 10 anni della vita dell’uomo, in particolare da quando gli è stato affidato, a Torino, un caso particolare ovvero le Brigate Rosse con la nascita, proprio grazie a lui, del Nucleo speciale antiterrorismo. Negli episodi successivi, però, si torna a Palermo, dove successivamente il Generale si è trovato di nuovo alla prese con la Mafia. La sua storia nasce il 27 settembre a Saluzzo, in Piemonte. Figlio di un generale dei Carabinieri, Carlo Alberto si arruola nell’arma ad appena 21 anni, durante la seconda guerra mondiale. Proprio durante questo periodo fu impegnato in azioni partigiane e rifiutò, nonostante fosse nell’esercito italiano, di collaborare con le SS, una scelta che ha rischiato di mettere a repentaglio la sua incolumità.
In seguito studiò scienze politiche a Bari e iniziò una relazione con Dora Fabbo, prima moglie dell’uomo, che sposò nel 1946 con la quale ebbe tre figli, Rita (attualmente giornalista e conduttrice), Nando (membro della Camera dei deputati) e Simona (giornalista e politica). Questo legame durò fino al 1978, anno della morte di Dora, stroncata da un infarto. Tornando indietro, il Generale si occupò inizialmente di banditismo e nel 1974 fondò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, allo scopo di eliminare le Brigate Rosse, arrivando alla cattura, a Pineroso, di Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Nel 1981 divenne inizialmente Vicecomandante generale dell’Arma e nell’1982 fu nominato Prefetto di Palermo dal Consiglio dei Ministri. Il suo lavoro contro Cosa Nostra, nella regione, durò molto poco, anche perché lo Stato non lo affiancò e supportò in nessuna delle indagini che aveva intrapreso per catturare esponenti di spicco della Mafia.
Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti.
Nello stesso anno convolò a nozze con Emanuela Setti Carraro. La sua tragica morte avvenne, come già ricordato alle 21:15 del 3 settembre 1982. Durante i funerali di Stato, la figlia Rita non volle assolutamente che fossero usate le corone di fiori della regione Sicilia e lo stesso cardinale che recitò l’omelia, Pappalardo, colpì duramente le istituzioni recitando un passaggio di Tito Livo dalle Storie, un riferimento collegato agli interminabili ritardi dello Stato.
Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici e questa volta non è Sagunto, ma Palermo. Povera la nostra Palermo.