Il Trono di Spade: vita e morte dello show più seguito di tutti i tempi
Il 17 aprile 2011 usciva il primissimo episodio de Il Trono di Spade. Ora che la serie si è definitivamente conclusa merita di essere raccontata. Ecco l'analisi dello show che ha cambiato per sempre la storia della serialità televisiva.
Se il finale de Il Trono di Spade ha disatteso le aspettative della maggior parte degli spettatori, saremo di certo tutti d’accordo che le reazioni e i commenti su internet hanno superato le più “rosee” aspettative. Poco importa se tutti (o quasi) abbiano deciso di alzare la voce per criticare le scelte di sceneggiatura o la serie in senso più ampio; poco importa se addirittura alcuni si siano dilettati nel disegnare (si, disegnare) le scene che secondo loro avrebbero dovuto essere presenti nel finale di serie e, si, poco importa se la gigantesca petizione da oltre un milione di firme mirava alla riscrittura dell’intera ottava stagione.
Il Trono di Spade 8: recensione del finale
Il terremoto che si è scatenato, fino alla più piccola scossa, indica solamente quanto Il Trono di Spade sia stata la serie che ha monopolizzato l’attenzione del mondo fino all’ultima scena dell’ultima puntata. Tutti noi l’abbiamo comunque seguita, fino alla fine (l’ultima puntata della serie è stata la più vista della storia della televisione, con circa 13 milioni e mezzo di spettatori davanti allo schermo), segnale inequivocabile che lo show HBO è stato un evento straordinario, nel bene o nel male, e non solo è destinato a segnare un’epoca, ma, con tutta probabilità, ha sancito la nascita di una nuova.
Niente sarà più lo stesso per l’intrattenimento su piccolo schermo, ma la serie è ed è stata tutt’altro che perfetta, dalle prime stagioni (da tutti osannate) fino all’ultima (la più odiata dal pubblico). Il risultato è stato quello di aver assistito a uno show che ha fatto delle contraddizioni la sua unica costante.
Il Trono di Spade sotto il segno di George R.R. Martin
Il Trono di Spade inizia con Robert Baratheon (ve lo ricordate?), il condottiero che guidò la ribellione contro i Targaryen, riuscendo a conquistare la corona, ma che mai fu in grado di essere un buon re, complice la morte di Lyanna Stark, l’unica donna che abbia mai amato, e la sua incapacità di essere altro se non uomo d’azione. All’epoca Jon Snow era il bastardo di Ned Stark ed aveva ancora cinque fratelli, Daenerys doveva sopportare gli umori del fratellone Viserys, Tyrion era Il Folletto sbarbato, che pensava solo ad ubriacarsi e a visitare i bordelli e il potere politico era mantenuto da uomini che agivano dietro le quinte, come Varys e Ditocorto, capaci di far crollare regni e far incoronare re senza mai mettersi in mostra.
L’azione era concentrata sugli eventi della corte reale o delle sale dei vari castelli dei Lord, il budget era quello di uno show tv polacco su Netflix, la fotografia era quella di una serie evento Rai e il pubblico era riconducibile più che altro ai fan della saga letteraria di George Martin. Niente battaglie, niente draghi, niente navi, niente esercito del Re della Notte, niente distruzione della Barriera. Ma la sceneggiatura era straordinaria e la struttura machiavellica, tipica dell’immaginario dello scrittore statunitense, fatta di intrighi, cospirazioni e assassinii, rappresentata al meglio. Per non parlare dei personaggi: approfonditi, ricercati ed imprevedibili; chiudendo il tutto con una trama complessa, mai banale, cinica e spietata.
Il Trono di Spade ha conosciuto il suo massimo spessore qualitativo senza avere lontanamente i mezzi di queste ultime stagioni e rinnegando tutto quello che prometteva di essere. Un racconto fantasy che non è un fantasy, pieno di anticlimax perfettamente inseriti e che, tramite le sue scelte, ribadiva con forza, e ad ogni ripresa, quanto fosse lontana la sua natura da quella del poema epico e cavalleresco. Letteratura a cui tutti i suoi simili, più o meno vicini, si sono ispirati nel corso della storia.
Eravamo di fronte a un capolavoro, ma di nicchia, un capolavoro per pochi. Capace di raccogliere l’eredità de Il Signore degli Anelli, ma brillando di una luce completamente diversa, una luce propria e mai vista prima, la cui perfetta reincarnazione è prima l’esecuzione di Ned Stark e poi, soprattutto, le Nozze Rosse. Ma una luce così non può rimanere nascosta a lungo.
Il Trono di Spade e D&D
Il pubblico cominciò ad aumentare, all’inizio timidamente, ma gli showrunner, David Benioff e Daniel Weiss (per la community web, D&D), decisero di alzare comunque l’asticella con la Battaglia delle Acque Nere, un piccolo diamante, visti i mezzi dell’epoca. La soluzione ebbe successo e per la fine della terza/inizio della quarta stagione Il Trono di Spade vide quasi decuplicato il numero dei suoi spettatori.
Qui, neanche così lentamente, la serie è cambiata. Per certi versi anche in modo legittimo, fatto sta che questo inesorabile processo portò il network prima ad innamorarsi follemente della serie per poi disinnamorarsi con la stessa facilità.
Nonostante il pubblico aumentasse con lo stesso ritmo con cui le pagine dei libri delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco finivano, il problema non è da ricercare nell’attendibilità alla versione cartacea o con il progressivo defilarsi di Martin, ma piuttosto con la decisione di cominciare a dare più importanza al “cosa” accade piuttosto che al “come” accade. La quarta stagione fu la spartiacque: un primo grande pubblico con cui confrontarsi, la HBO che chiamava a una prova definitiva lo show e l’avvicinarsi della fine del riferimento dei libri. Il risultato? Una serie che centrò tutti gli obiettivi di mercato, facendo contento il network e il pubblico, riuscendo ad ampliarlo ulteriormente, non tradendo completamente la sua natura, ma calando terribilmente nella qualità della scrittura. Il dado ormai era stato tratto.
D&D presero saldamente in mano le redini della serie, trasformandola in qualcosa di completamente diverso, per scelta e per necessità, cambiandone i punti di riferimento, gli obiettivi, i meccanismi di narrazione. Iniziarono le battaglie, gli scontri magici, le scene di azione di massa, la distruzione delle città, i voli dei draghi, la marcia dell’esercito dei non morti e la promessa del Lungo Inverno portato dal Re della Notte. Dove la regia, la fotografia, gli effetti speciali, il sonoro e la scenografia scrivevano la storia della televisione, strizzando l’occhio sempre di più alle grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane; nello stesso punto moriva la scrittura approfondita dei personaggi, le leggi della fisica, la logica di attendibili distanze spazio/tempo e soprattutto veniva sacrificata sempre più la sceneggiatura. Così Il Trono di Spade tradì la sua natura, la stessa che si conquistò con le unghie e con i denti, rinnegando ogni altro tipo di riferimento che chiunque potesse accostargli.
Finché gli ultimi due libri di Martin non vedranno la luce (se mai accadrà), non sapremo mai se gli eventi narrati da D&D siano riconducibili solo alla loro inventiva oppure, in qualche modo, “legittimati” dall’autore stesso. Fatto sta che i due showrunner divennero pian piano i capri espiatori, gli orchi cattivi, gli uomini neri contro cui puntare il dito per questo cambiamento talmente evidente con il passare del tempo da non poter più essere nascosto.
Ma il pubblico aumentava. Veniva interrotta brutalmente la storia di Ditocorto, ma c’era La Battaglia dei Bastardi; Arya veniva ferita in pubblico da un Assassino Senza Volto, ma le critiche segnavano sempre 9.9; si continuava a mortificare costantemente la sceneggiatura, ma Jon Snow resuscitava; il lavoro certosino delle prime stagioni si andava disperdendo, ma il Re della Notte stava per arrivare. E il pubblico aumentava.
Ma una contraddizione rimane pur sempre tale e sperare di vivere su di essa per troppo tempo non è mai saggio. Così, prima che potessimo accorgercene, arrivò la fine anche della sesta stagione e il giocattolo, in qualche modo, improvvisamente, si ruppe. Non è esattamente chiaro quando e come, fatto sta che cominciò ad essere evidente la colpa più grande (questa si) e forse l’unica veramente imputabile (o forse no) di D&D: aver creato una nuova serie nella serie, una storia dopo la storia, probabilmente incapace di sopravvivere fino alla fine del racconto che si era promessa di narrare.
Il pubblico cominciò a diminuire, le critiche e le recensioni positive tennero ancora, anche se qualche episodio cadde nelle valutazioni, e la HBO si disinnamorò definitivamente della serie, promettendo di sostenere il finale, a patto che fosse il più veloce e il più possibile indolore. Una serie spezzata.
Il Trono di Spade: il finale che ti aspetti
Superata con qualche difficoltà la settima stagione (già accorciata), si arriva finalmente all’ottava, il gran finale, 6 episodi per raccontare al pubblico l’esito della guerra contro il Re della Notte e quella per il Trono di Spade.
Le aspettative salgono, il pubblico torna in massa, la voglia di essere sorpresi, di perdonare ogni incredibile strafalcione, di dimenticare ogni critica; tutto accantonato per il gran finale. E un gran finale è stato, senza dubbio, ma è stato il gran finale di un’altra serie, un ibrido tra quella in cui Il Trono di Spade si è tramutata definitivamente nel suo quinto anno di vita ed il tentativo di tornare a recuperare la luce che ne fece la stella più luminosa del firmamento. Gli ingredienti ideali per un disastro.
Le prime due puntate non sono state nient’altro che un preludio, trascinato e stanco, figlio della settima stagione che tanto fece storcere il naso. Le critiche furono solo positive e il pubblico si limitò a lamentarsi e continuare a guardare. Dopo un’attesa sfiancante arriva finalmente il terzo episodio, il racconto della tanto attesa Lunga Notte, e, come promesso, disastro fu. 55 notti di riprese, un’ora e mezza come mai vista nella storia delle televisione, un dietro le quinte da lasciare a bocca aperta e la resa incondizionata dell’immaginario di Martin. La morte de Il Trono di Spade come lo conoscevamo (avvenuta attraverso un personaggio che nei libri neanche esiste) e il trionfo della serie di Benioff e Weiss, record di spettatori della storia della televisione (tra diretta e non) e record di recensioni negative della serie. Ennesima contraddizione, ma l’ultima, quella che avrebbe segnato la fine di ogni altra.
Si era di fronte ad una svolta, la vera faccia dello show si era rivelata, chiara a tutti, non si poteva tornare più indietro.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, la quinta puntata. La serie torna indietro; gli autori ci dicono che il tempo è poco, bisogna sbrigarsi; sono stati esterni i fattori che li hanno costretti a tradire il pubblico, ma lo show è rimasto fedele a se stesso, il suo racconto è ancora antiepico e non ha perso nulla del suo primo splendore. Il tentativo è goffo, malcostruito e il risultato ottenuto diviene, naturalmente, opposto alle intenzioni. La puntata è visivamente straordinaria, destinata a rimanere nella testa di tanti, un’ora e venti di cinema puro: piani sequenza brillanti, una grande fotografia (nella scena finale è da mozzare il fiato), una regia ottima ed effetti speciali mai visti in una serie televisiva. La scrittura però vive solo di dubbi, malintesi, ambivalenze, autosmentite ed interpretazioni. Davanti a noi il cosa trionfa definitivamente sul come, anche se ci viene detto che la colpa è del tempo, maledetto tiranno, e del network e del troppo pubblico e così via. Le recensioni ancora basse, gli occhi davanti allo schermo ancora tantissimi.
Nel finale succede quello che deve, la storia finisce nella confusione generale di autocitazioni, sceneggiatura, logica e buonsenso. La comunicazione intrinseca tra autori e pubblico prende il sopravvento, diventa protagonista della narrazione: ci si preoccupa di giustificarsi e di deviare il discorso su altri argomenti, senza curarsi che il come è morto, ma stavolta anche il cosa sta per raggiungerlo.
Il Trono di Spade è stata una serie troppo grande anche per se stessa, incapace di reggersi sulle sue forze, incapace di trovare alleati alla sua altezza. Seppellita dall’enorme quantitativo di pubblico conquistato, dall’ombra ingombrante dei libri di Martin, dalle attenzioni e le aspettative puntualmente rinforzate dagli articoli a cadenza giornaliera e persino dai soldi a sua disposizione. 15 milioni ad episodio sono stati stanziati dalla HBO per l’ottava stagione, un budget talmente fuoriscala da finire con l’essere limitante, specialmente per uno show nuovo, dato che, alla fine dei conti, è cominciato proprio con la stagione finale. Questa è la sua ultima contraddizione.
Il Trono di Spade ha finito col divorare se stesso, diventando a tutti gli effetti un fenomeno senza eguali nella storia della televisione. Una supernova la cui esplosione è stata capace di emettere una luce che ha riempito i nostri occhi per 9 anni, facendoci credere che fosse ancora lì ad illuminarci, quando al suo posto c’erano ormai solo detriti.