Editoriale | L’amica geniale è tutti i tabù che (non) abbiamo infranto
L'amica geniale narra il "fastidio di chiavare", il mistero della sessualità femminile e quei tabù che, forse, non abbiamo ancora infranto.
Vedere L’amica geniale è come scorgere un pezzo d’Italia dal buco della serratura: tutto sembra piccolo, lontano, dai contorni indefiniti. L’Italia raccontata nei libri di Elena Ferrante e trasposta in TV risulta familiare quanto estranea, assurda. Si imbeve del sudicio tanfo della repressione mentale, dell’inadeguatezza a vivere alla pari, della spasmodica voglia di andare via e al contempo restare avviluppati a quelle anguste strade di un rione che fa ancora fede a leggi ataviche, dicerie, malefatte.
Tutta la narrazione viene filtrata dallo sguardo e dal confronto tra due amiche. Nei loro corpi, nei loro occhi e nelle loro gesta si riversano gli antipodi di una generazione che ha fatto i conti per la prima volta con l’emancipazione: una parola che si fa vaso da riempire di intenzioni, di leggi, di comportamenti e di estremismi che partono da tutte le epoche per propagarsi fino ai nostri giorni, divenendo altro lungo il loro percorso e finendo, talvolta, per svuotasi di significato.
Lila e Lenù attraversano la cruna del giudizio altrui, ognuna con i loro mezzi e sulle proprie gambe, ma entrambe ostacolate dall’ombra dell’altra, da una genialità apparentemente condivisa che però resta perennemente in alto mare; come una barca in balia delle onde la loro coscienza avanza claudicante nell’oscurità del pregiudizio, nella percezione dell’altra, nella paura di restare indietro, di essere mediocre.
Non sconvolge se il sesso, inteso come scoperta di sé, ingresso nel mondo adulto e definizione dell’essere, sia uno dei terreni di confronto tra le due fanciulle, nonché uno strumento attraverso il quale tentano di plasmare la loro femminilità, cercando di afferrarne il senso, di varcare quella linea sottile che separa l’obbligo coniugale (ma non solo) dal diritto personale al piacere.
Leggi anche Daniele Luchetti: in L’amica geniale c’è (anche) la storia della mia famiglia
L’amica geniale 3 e il mistero del piacere femminile
Una confessione, quella inerente le esperienze sessuali, che non unisce, piuttosto separa le due protagoniste interpretate da Gaia Girace e Margherita Mazzucco, rintanate in un guscio di pudore che solo la pubblicazione del libro di Elena riuscirà a schiudere timidamente, portando Lila ad avventurarsi nell’esplorazione di quel “fastidio di chiavare” narrato nel libro scritto dall’amica e che tanto ha scandalizzato la gente del rione.
Ma cos’è quel fastidio, cosa rappresenta davvero? Lenù non ha una vera risposta, poiché le sue parole, le stesse che l’hanno resa famosa, le ha prese in prestito da un’esistenza che per combinazione non le è capitata. Tutto ciò a cui aspira è collocato in basso, il suo punto di riferimento resta quella compagna di banco e di giochi così geniale da imparare a leggere e scrivere da sola, così scaltra e testarda da non temere nulla, così intelligente da sapersi dileguare ai confini delle parole e della fantasia e dare senso a tutto, descrivere tutto così fotograficamente e visceralmente: una dote da quinta elementare (questo il titolo di studio di Lila) a cui una laureata con lode qual è Lenù non può arrivare. Lei, la signora Airota, che vive in una casa su due piani e dispone di librerie immense, lei che insegna e può avere un posto al tavolo di quelli che contano, guarda quell’amica rimasta al rione e costretta a spolpare ossa e sporcarsi di grasso animale come suo unico esempio.
Per Lenù Lila è, a insaputa di quest’ultima, una Calliope da invocare e da cui trarre ispirazione. Tutti i suoi pensieri, la sua vita, ciò che farebbe, non sono solo uno spunto bensì un diktat silente. Ciò che l’amica farebbe è ciò che andrebbe necessariamente fatto. Non ci sono compromessi, non c’è un sé né tantomeno un noi, Lenù vive in un eterno status di mediocrità indotta che la porta a identificarsi con Lila, tanto più se e quando può essere il suo unico punto di riferimento femminile in un mondo che sta cambiando e che lascia decisamente indietro la generazione passata, incapace di fungere da esempio.
Le due ragazze non sono e non possono necessariamente essere l’ombra delle loro madri, non possono farsi opprimere dal genere maschile, subire un’unione che non accettano, sacrificare i loro corpi al piacere dell’uomo.
“Fatta male nel sesso”
Questa evoluzione interna delle protagoniste avviene di pari passo rispetto a ciò che accade intorno a loro (la pillola anticoncezionale, l’approvazione della legge sul divorzio, i movimenti femministi). Nella narrazione de L’amica geniale la sessualità assume sfumature differenti stagione dopo stagione, passando da scoperta e passaggio obbligato – basti pensare alla scena in cui Elena fa l’amore con Antonio solo per non rimanere indietro rispetto all’amica, che si è appena sposata – a violenza subita tacitamente e contemplata come affermazione di una nullaggine insita in sé (ci riferiamo alla scena in cui Lenù si concede a Donato Sarratore, nella seconda stagione) fino a raggiungere la sfera della libertà e della ricerca del piacere. In questo angolo si insinua quel fastidio di godere secondo le logiche maschiliste, di assecondare sempre e comunque una gratificazione carnale estranea, meccanica, inconcepibile e lontana dalla ricerca del piacere femminile.
Per Lila e Lenù e per tante altre donne come loro il sesso è una ginnastica domestica atta ad assecondare il rito della fecondazione. Fuori dagli obblighi coniugali, quell’atto resta limitato dalle barriere dell’ansia, come la paura di restare incinta, o assoggettato dalla visione maschilista, che si materializza nella frase di Nino Sarratore (pronunciata durante una chiacchierata con Elena, parlando di Lila): “fatta male nel sesso”. Una massima che esplode dentro la testa di Elena come un ordigno. In lei d’un tratto si scatena la paura di non essere capace: come poteva esserlo se anche Lila era stata giudicata male?
In questa disamina tecnica dell’orgasmo espressa sempre poco e male le due donne tendono disperatamente e giustamente verso la ricerca di un piacere carnale che all’altro sesso spetta di diritto, senza paure né giudizi morali, mentre loro devono faticare a raggiungerlo, sempre e comunque, stando attente alle conseguenze.
L’infelicità viziosa del piacere raccontata in L’amica geniale
La scena inerente la prescrizione della pillola – riservata solo alle donne sposate e occultata dall’irregolarità mestruale – si fa personificazione della pudicizia e di quel perbenismo sciatto e disonesto che fa rima con i tanti tabù che la società ha sempre imposto, coronati dal fluire della voce dell’inconscio di Lenù (quella di Alba Rohrwacher) la quale, commentando quella frase di Nino, spiega tra sé: “Si comportavano tutti come se i loro desideri dovessero essere per forza i nostri. Il risultato era che il piacere sembrava un’infelicità viziosa”.
Quel piacere così agognato che attraversando il tempo si svuota di significato: “Tutta questa gioia che ti fa uscire pazza mi pare un’esagerazione”, dice Lila in quell’unico confronto vis-à-vis sull’argomento.
Ecco allora che il sesso, il piacere fisico che dovrebbe essere sacrosanta libertà, necessità, diritto femminile e ricerca di sintonia nella vita di coppia resta vincolato dal non detto, psicanalizzato e ancorato ai tabù dell’epoca, a una visione maschile incompatibile con quella femminile per ovvie ragioni.
In quest’ottica L’amica geniale scoperchia il vaso di Pandora di una generazione che funge da spartiacque, traghettando in poche frasi e in pochi gesti i tabù che in molti casi non abbiamo ancora infranto. Non dà risposte né soluzioni, semplicemente narra ciò che è stato (solo in parte, chiaro), ciò che sarà lo sappiamo, mentre ciò che è sta a noi scriverlo e plasmarlo, senza incappare nell’ansia dei pregiudizi né nel terreno pericoloso degli “ismi”. L’amica geniale è i tabù che abbiamo o non abbiamo infranto, non solo come generazione, ma come donne che cercano nell’altra una copia e un modello, magari bloccate da un timore indotto o infondato.