L’Arte della Gioia: perché abbiamo bisogno di protagoniste “scandalose” come Modesta [SPOILER]
L'Arte della Gioia e la sua protagonista "scandalosa", Modesta, vanno accettate con intelligenza e non respinte in maniera moralista. Ecco perché.
Non siamo più abituati a essere scandalizzati, al cinema e non solo. L’Arte della Gioia arriva in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW dal 28 febbraio 2025 ed è cinema a tutti gli effetti, per ambizione, spettacolarità, profondità psicologico-tematica, modalità di fruizione; prima di Sky, passaggio in anteprima al Festival di Cannes 2024 e subito dopo, in due parti, anche in sala. Non siamo più abituati a essere scandalizzati, e ci serviva l’attitudine tenacemente anticoformista e moralmente borderline della protagonista – si chiama Modesta e la interpreta la giovane e molto brava Tecla Insolia, tenetela d’occhio – per ricordarcelo.

Ha fatto scalpore – durante la presentazione della serie alla stampa – scoprire, per bocca della regista e co-sceneggiatrice Valeria Golino e della non protagonista Valeria Bruni Tedeschi, che L’Arte della Gioia ha incontrato difficoltà distributive proprio nel paese che, dopo l’Italia, sembrava l’approdo naturale, per sensibilità e gusto: la Francia. I francesi voltano le spalle alla serie, nicchiano sulla possibilità di mandarla in prima serata. La giudicano troppo scandalosa, troppo anticonformista. Troppo scomoda. In che senso?
L’Arte della Gioia: la vita intensa di Modesta, tra le pagine del libro e fuori

Il grande regista americano Steven Soderbergh (Ocean’s Eleven – Sesso, bugie e videotape) spiegava così, qualche tempo fa, il divario qualitativo tra cinema e serie Tv, in America e non solo. Era tutta questione di domande, giuste e sbagliate. Se si trattava di un film, la riflessione era: “Come possiamo rendere questo personaggio più gradevole?”. Per le serie Tv: “Come possiamo rendere questo personaggio più interessante?”. La protagonista di L’Arte della Gioia, Modesta, è un personaggio a volte gradevole, a volte meno, ma è sempre interessante, per il rapporto non convenzionale che instaura con il mondo che la circonda, con le persone che la aiutano e la ostacolano, con i sentimenti e la morale. Modesta, come personaggio e come caso editoriale, non ha avuto vita facile. La serie diretta da Valeria Golino è l’adattamento della prima parte dell’omonimo romanzo dell’autrice siciliana Goliarda Sapienza; non sappiamo ancora se ci saranno altre stagioni.
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Scritto nel corso di un decennio, tra il 1967 e la metà degli anni ’70, il libro viene rifiutato dalle più importanti case editrici italiane per finire pubblicato, parzialmente, da una casa indipendente, Stampa Alternativa, nel 1994, due anni prima della morte dell’autrice (1996), e integralmente solo nel 1998. La svolta arriverà nel XXI secolo, con le fortunate traduzioni tedesca e – ironia suprema – francese, e la prima storica pubblicazione “ufficiale”, per Einaudi, nel 2008. Da lì è un crescendo di celebrazioni e attenzione mediatica fino alla definitiva consacrazione del febbraio 2025, con il film che diventa serie Tv e si offre al pubblico potenzialmente più grande di tutti. Ma cos’ha poi di così scandaloso, di refrattario alla morale comune, il percorso di Modesta? Molto.
Nasce a due passi dall’Etna, con la madre, la sorella e un padre incestuoso che la violenta; (Tecla Insolia) si libera del suo passato grazie a un incendio. Sola e sperduta, finisce, prima, in un istituto religioso dove perde la testa per la Superiora Madre Leonora (Jasmine Trinca) – le cui contraddizioni e i rifiuti la spingeranno a sbarazzarsi di lei – poi dalla principessa Gaia Bandiforti (Valeria Bruni Tedeschi), la madre di Leonora per la quale sarà, inaudito per una donna, responsabile finanziaria dei possedimenti. Dai Brandiforti Modesta allaccia un’impetuosa relazione con la figlia della principessa, Beatrice (Alma Noce), con il gabellotto, Carmine (Guido Caprino), e sposa il principe Ippolito (Giovanni Bagnasco). Uccide l’autista della principessa, Rocco (Giuseppe Spata), per sfuggire all’insistenza di lui, e la principessa Gaia per preservare la sua posizione. Va a vivere a Catania, con Beatrice e il figlio Eriprando, nato dalla relazione con Carmine. Riassumendo: Modesta fa l’amore con chi vuole, rimuove (delittuosamente) gli ostacoli, fa i conti e si pone al di fuori della morale comune. Sì, è decisamente un personaggio scandaloso. E dove sarebbe il problema?
Il tempo dell’antieroina

Sottolinea Valeria Golino che Modesta il male lo fa solo se è stata colpita in precedenza, e sempre con una logica chiara in testa: ferire la persona, per attaccare l’istituzione che rappresenta (una religiosa, un padre degenerato, un’aristocratica). L’amore, invece, lo dà anche se prima non l’ha ricevuto. Il suo scandalo è figlio del mondo – e della cultura – che l’ha partorita, e ha molte facce: la lista dei cadaveri, la sensualità dei corpi (maschili e femminili) cercati e usati per dare e ricevere piacere, l’affronto di un lavoro da uomini, in un mondo di uomini, fatto meglio degli uomini; il coraggio di porsi non contro, ma oltre la morale comune. La sua personalità è il prodotto di tre influenze. L’attitudine anticonformista dell’autrice, Goliarda Sapienza. Le turbolenze sociali di un decennio, i ’70, segnato dalle lotte egualitarie e femministe. Un clima di rinnovamento formale e spirituale che abbraccia anche l’arte. È l’epoca, non dimentichiamolo, dello scandalo coltivato come religione laica, nella forma e nei contenuti (Pasolini), mentre il cinema americano è tutto per un nuovo tipo di archetipo, l’antieroe, sfumato psicologicamente e moralmente obliquo: il perdente dall’eroismo sfaccettato, dalla nobiltà “sporca”, più vicino, nella sua fragilità, allo spettatore (Taxi Driver, 1976, ma è un esempio tra i tanti).
Ha ragione, Valeria Golino, quando sottolinea che Modesta è piena di difetti maschili – spregiudicatezza, attitudine possessiva, un certo grado di egoismo – e che, sotto tanti punti di vista, è un raro esempio di antieroina che si appropria di una complessità e un carattere tipicamente riservati al mondo e all’immaginario maschile. Rischia di avere tristemente ragione anche quando ipotizza che qui, forse, sta la ragione della censura sofferta dal libro: l’aver concesso a una donna privilegi fino ad allora prerogative esclusiva maschili. Ne consegue che quando l’establishment culturale francese si mostra titubante verso L’Arte della Gioia, accampando pretese dal vago sapore moralista, sbaglia due volte. Abbiamo tutti bisogno dello scandalo di Modesta, perché ci aiuta a riconoscere la complessità della vita. Solidarizzare con un personaggio che compie scelte discutibili porta alla luce la compresenza di bene e di male in ognuno di noi, oltre le ingenue, mediocri e rassicuranti semplificazioni.
L’empatia è una risorsa e a volte una trappola insidiosa, ma l’dentificazione che lo spettatore avverte per il personaggio è il riconoscimento di un’umanità comune – a chi osserva e a chi è osservato – e non una complicità morale senza riserve. In sintesi: possiamo anche tifare per Modesta, e lo facciamo, ma condanniamo l’omicidio, perché è sbagliato. Saper conciliare nel nostro sguardo entrambi gli aspetti, la simpatia e la condanna, è un esercizio di intelligenza che la serie ci esorta a praticare con tenacia. Non solo. La storia di Modesta è la storia di una giovane donna e della sua volontà di affermazione, libera dai condizionamenti della società. Impedire a una donna – a un personaggio femminile – di essere ciò che vuole, anche negli errori, è un crimine di tipo diverso, ma sempre un crimine. L’Arte della Gioia insegna agli uomini a non essere gelosi dei propri difetti e alle donne a ridiscutere i limiti di ciò che è possibile. La libertà e l’uguaglianza stanno anche nel diritto di sbagliare, di essere miserabili, di fare il male. Per i crimini esistono il carcere e i tribunali, per la riflessione l’arte, per l’emozione pura lo spettacolo. L’Arte della Gioia è spettacolo con un’idea: non siamo più abituati a essere scandalizzati. Modesta è lì per svegliarci.