Maniac: il significato e la spiegazione del finale [SPOILER]
Maniac è la serie TV Netflix ideata, scritta e diretta da Cary Fukunaga e Patrick Somerville. La nostra spiegazione del finale aperto a diverse interpretazioni
Maniac è una serie tv ideata, scritta e diretta da Cary Fukunaga e Patrick Somerville, rifacimento dell’omonima serie tv norvegese datata 2014.
Le vicende trattate sono quelle che riguardano Annie Landsberg e Owen Milgrim, rispettivamente interpretati dall’ormai rodata coppia composta da Emma Stone e Jonah Hill, già visti insieme in Superbad (2007). Annie e Owen decidono di accedere a un trial farmaceutico che promette loro di guarire dalla grave depressione che controlla le loro vite.
Insieme ad altri soggetti malati rimangono segregati all’interno di un edificio in cui medici di ogni tipo e computer parlanti somministrano le pillole e i trattamenti che dovrebbero, secondo un preciso schema, estirpare il malessere di cui gli individui soffrono. Il dottore James K. Mantleray (Justin Theroux) è il padre di questo metodo di guarigione alternativo, che dovrebbe approdare sul mercato mondiale e quindi sostituirsi alla tradizionale e ormai obsoleta psicoanalisi, che non sembra più funzionare con nessuno.
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Il mondo in cui viene settata l’ambientazione di Maniac è una bizzarra fusione fra il futuro e il passato; schermi-manifesti pubblicitari costellano la metropoli intorpidita di New York quanto le case e i viali che sembrano gli stessi da decenni. Manhattan, però, è fuori fuoco, perché chi ci interessa sono gli individui qualunque; è un concetto che più si confa a Staten Island, una sezione quasi distopica di per sé.
Il futuro di Maniac non è minimalista e nemmeno, apparentemente, ultratecnologico: quasi alla maniera di Brazil e Blade Runner sfrutta, piuttosto, elementi conosciuti e domestici del nostro presente e del passato più cool (probabilmente i colorati eighties) per amalgamarli insieme in una nuova dimensione distante da ogni epoca conosciuta, un universo dal sapore nostalgico e anchilosato su tempi e modalità dismesse, mesto e restìo ad andare avanti. Un po’ come i suoi sofferenti protagonisti, cupi e malinconici per i propri traumi invalicabili. Un po’, al di là di quanto parafrasato da Maniac, oseremmo sospettare che questa radicata tristezza sia colpa di un ambiente agganciato a idee preconfezionate (siano esse la nostalgia del passato, siano essere desiderio di un domani impossibile) e di un tessuto sociale che ha praticamente dimenticato i rapporti umani.
Maniac è una serie tv atipica, un’opera stratificata e densa che, per trattare quello di cui vorrebbe parlare (persone e traumi irrisolti, ma anche il vacuo oceano di nulla verso cui ci stiamo addentrando), deve esporre un nuovo universo. Nella raffigurazione di un cosmo intero, perdite di colpi e “difetti” nel suo funzionamento sono plausibili, anzi, presenti. Il risultato finale, però, è una riflessione con pochi precedenti, puntuale e appassionante, costruttiva nel suo intento e a volte anche brillante.
Maniac: le premesse
La sperimentazione farmaceutica cui si sottopongono Annie, Owen e gli altri è composto da tre fasi, ognuna delle quali corrispondente a una pillola da ingerire. Fase 1, pillola A: rivivere il trauma passato; fase 2, pillola B, ossia abbassare le difese mentali nei confronti del trauma; infine, la fase 3 consiste nella pillola C e nel conflitto finale con il proprio trauma. GRTA, il computer dalla tinta rosea plasmato sul modello di una donna, controlla che tutto vada bene, ma c’è un imprevisto: la dottoressa Azumi Fujita (Sonoya Mizuno) ha fornito alla macchina un’identità e una coscienza a partire dalle idee e dalla psicologia della dottoressa Greta Mantleray (Sally Field), celebre guru e ciarlatana della medicina alternativa nonché madre di James, con cui ha un rapporto morboso.
Quando, per un incidente, il Dr. Muramoto (Rome Kanda) muore, e prima di venire sostituito dal Dr. Mantleray, il computer conosce emozioni negative e attraversa un vero e proprio lutto personale per la morte dell’uomo. Questo pare compromettere la buona riuscita dell’esperimento medico all’interno della struttura.
Maniac a cavallo tra mondi surreali e droghe
Il superamento del trauma
Il finale di Maniac ha inizio, in realtà, con il penultimo episodio, Utangatta. Abbiamo lasciato Annie e Owen nell’ultima fase dell’esperimento, dove si ritrovano coinvolti in un attacco alieno che minaccia il pianeta Terra (nel sogno che stanno vivendo, chiaramente). Ricordiamo che se i due protagonisti riescono a trovarsi ognuno nei sogni dell’altro è per un presunto “malfunzionamento”, vale a dire che non dovrebbe essere così. Nella fantasia vissuta in Utangatta, durante la fase C dell’esperimento, Annie e Owen riescono a ricordarsi chi sono davvero, a riconoscersi. Al contempo, nella vita reale, il GRTA si sta ribellando e sembra funzionare sempre peggio. Presa consapevolezza di ciò, i due protagonisti decidono quindi di dividersi per risolvere il problema: Owen raggiunge suo fratello Jed (onirico), mentre Annie cerca il GRTA, chiedendole di poter rivedere sua sorella Ellie un’ultima volta. La richiesta viene accettata, e Annie può finalmente salutare per sempre Ellie e superare in maniera definitiva il trauma dato dalla sua morte.
A Owen, nel frattempo, viene assegnato il compito di risolvere un cubo di Rubik nel sogno, in modo tale da poter dimostrare di essere il “Chosen One“. Questa missione corrisponderebbe alla risoluzione del problema alla base della ribellione di GRTA e del suo difettoso funzionamento. Owen sceglie di portare a termine questa missione anziché vivere la compagnia di un fratello che non ha mai avuto, grazie alla sua irreale proiezione nel sogno. Con il risolvimento del cubo, Owen è in grado di ripristinare il controllo dei medici su GRTA, che viene da loro abbattuto salvando gli individui esposti al pericolo del computer (i soggetti del trial).
Opzione A e Opzione B in Maniac
Option C, l’ultimo episodio di Maniac, ci mostra Annie e Owen nella vita reale e al di fuori del trial medico. Il dottor Mantleray saluta i protagonisti dell’esperimento e si congratula con loro per essere stati finalmente guariti, e questi si dirigono verso l’uscita della struttura. In quello che dovrebbe essere un ultimo dialogo fra i due, Owen promette a Annie che nella vita reale la lascerà in pace e non proverà a rendere la loro amicizia qualcosa di più.
Lasciamo momentaneamente Annie per seguire Owen nel processo in tribunale che vede suo fratello Jed accusato di molestie sessuali nei confronti di una sua dipendente. Durante un dialogo con la madre, Owen è colto da irrefrenabili dubbi e sensi di colpa: dovrebbe mentire per coprire Jed e fornirgli un alibi, in modo da non macchiare la sua reputazione. Tuttavia, quando l’avvocato del’accusa mostra ai presenti un incontestabile video registrato dalle telecamere della sicurezza, per Owen diventa problematico continuare a nascondere il crimine di suo fratello, e conferma che l’uomo nel video è proprio Jed.
Annie torna a casa e fa visita a suo padre Hank (Hank Azaria), da anni ormai nascosto all’interno di una scatola-robot in giardino. Avendo completato il trial medico, Annie è finalmente in grado di rimproverare suo padre della sua assenza estesa e di esprimere il desiderio che esca di lì, per vivere assieme a lei e aiutarla come unica figura genitoriale rimasta. Hank compare dalla finestra di casa alle spalle della figlia, e i due si riconciliano. Immediatamente dopo, Annie decide di far visita a Owen, che nel frattempo è stato rinchiuso in un istituto dalla sua stessa famiglia per aver tradito la loro fiducia in tribunale.
A questo punto, l’episodio stesso ci illustra il significato del suo titolo. Ci troviamo, infatti, nel mezzo di una seduta psichiatrica in cui Owen spiega alla sua dottoressa i motivi per cui non può continuare a frequentare Annie. Le opzioni per un ipotetico futuro insieme sono due: opzione A, Owen scopre che Annie non esiste davvero (ricordiamo che Owen soffre di schizofrenia, motivo per cui ha partecipato al trial); opzione B, Annie è reale ma Owen l’allontanerà per via della sua malattia, rimanendo solo ancora una volta.
L’Opzione C in Maniac
Durante la visita all’istituto, dove Annie incontra di nuovo Owen, questo sembra evitare di proposito la sua compagnia – forse per paura che si tratti di una proiezione mentale, o forse per l’opzione B, appunto. Annie, tuttavia, propone a Owen di esplorare la possibilità di un’opzione C, invitandolo a seguirla nel bagno per escogitare un piano. La proposta di Annie è quella di uscire insieme dall’istituto, e di fuggire in auto verso Salt Lake City.
Annie fornisce a Owen degli abiti nuovi con cui mimetizzarsi, e i due si dirigono verso l’uscita dell’edificio. Una guardia riconosce Annie e protesta di averla vista entrare senza nessuno al suo fianco. A quel punto, i due protagonisti accelerano il passo, salgono in macchina con Annie alla guida e si allontanano dal posto, ridendo e riscoprendo insieme la felicità della compagnia nella vita reale.
Maniac, la conclusione della serie TV
Maniac si pone come riflessione su una crisi delle interazioni sociali che attraversa, mai come in questo momento storico, l’essere umano in quanto individuo comunicante e dotato di una complessa sfera emotiva. La macchina diventa pensante (estremizzazione di HAL 9000), le emozioni umane vengono spostate e trasferite in congegni di materia inorganica, mentre l’essere umano si fa sempre più sterile, solitario e afflitto, inadatto a stabilire un contatto con il prossimo, se non è un computer. Tuttavia, è proprio nel dolore e nella melancolia collettiva, nell’esperienza del trauma condiviso, che Maniac identifica l’opportunità di un riscatto, di empatia e compagnia. Il trial è perfetta metafora di un ordigno di elaborate fantasie verso cui è possibile, talvolta allettante, volare per non soccombere alla sofferenza di un’esistenza claustrale e regressiva. I sogni indotti sperimentati dai soggetti di Maniac, imprese eroiche travestiti da eroi medievali, o eroi moderni che salvano il pianeta da invasioni aliene, sono congetture iperboliche ed eccessive, quasi grottesche. Nulla a che vedere con la desolazione di una vita reale spesa a meditare sulle orribili svolte del passato. È altrettanto desolante l’assaggio che la serie fornisce della sessualità, ormai fruita attraverso ridicole installazioni connesse a mondi virtuali di pixel. La soluzione finale offerta, tuttavia, raffigura l’ineguagliabile bellezza (tutta da riscoprire) data dalla semplicità di un momento condiviso con qualcuno di reale.
Maniac e “quella” scena mid-credits tutta da interpretare
Sulla scia della disastrosa 73a iterazione del trial sui farmaci ULP, il dott. Mantleray e il dott. Fujita vengono licenziati da Neberdine, con Mantleray che finisce in blacklist per futuri esperimenti. Ma mentre il loro tentativo di curare il dolore del mondo può aver fallito, Mantleray e Fujita fanno almeno qualcosa al di fuori di esso. La loro storia d’amore viene rinnovata con passione nell’ascensore mentre escono dall’edificio, e loro due ritornano brevemente nella scena del film a metà del finale mentre si imbarcano in un viaggio a Terranova. L’auto di Fujita si allontana, Mantleray inizia a parlare ricollegandosi all’inizio dell’episodio 1, portando la serie al punto di partenza.
Sulla strada per Terranova, passano accanto a Owen e Annie, che si stanno dirigendo nella direzione opposta – verso Salt Lake City (anche se Annie ammette che non sa se il suo vecchio camioncino li accompagnerà per tutto il tragitto). Mentre si dirigono verso il tramonto, Owen si chiede a voce alta: Che dici io e te ci conosciamo davvero?” Annie risponde, “Direi che è un buon inizio”.
Poi, poco dopo la scomparsa di Annie e Owen, compaiono altri tre viaggiatori sulla strada: il PoopBot sul quale Annie ha incollato il poster “Missing” per Groucho; un falco cavalca il PoopBot; e Groucho stesso corre verso la strada. Tutto ovviamente è frutto della più libera interpretazione.