Nino Sarratore: storia dell’uomo più sopravvalutato dell’Amica Geniale
Chi è davvero Nino Sarratore? Scopriamo la storia di uno dei personaggi più odiati dal pubblico, interpretato prima da Francesco Serpico e poi da Fabrizio Gifuni.
Quando incontriamo per la prima volta Nino Sarratore in L’amica geniale, è un bambino a una veglia funebre per il marito morto di Melina (Pina Di Gennaro), l’amante di suo padre Donato Sarratore (Emanuele Valenti). Elena Greco, detta Lenù, sei anni, è già segretamente innamorata di lui. Li ritroviamo adolescenti, al liceo, Lenù (Margherita Mazzucco) è ancora innamorata di Nino (Francesco Serpico) con i suoi capelli neri, gli occhiali grandi sul viso, la sigaretta tra le labbra, i libri sotto braccio che gli permettono di essere uno dei più bravi. Solo ora, nella quarta stagione Lenù (Alba Rohrwacher) e Nino (Fabrizio Gifuni) possono vivere insieme. Chi conosce Nino, la sua storia, sa benissimo che l’uomo è un bugiardo, un falso, un traditore che alliscia la preda per poi sbranarla. Lui ammalia, affascina e turba, faceva già tutto ciò quando dichiarava che non sarebbe mai voluto diventare come suo padre, quando tra le macerie di un rione alla deriva, leggeva, scriveva, studiava dimostrando con falsa umiltà la sua conoscenza. Nino sa come fare, promette e intanto lascia ferite profondissime, guarda con desiderio e amore e poi, quasi nello stesso momento, insinuante, tradisce quelle stesse promesse. Nino Sarratore è archetipo e maschio tossico per antonomasia, è l’uomo più odiato di L’amica geniale nonostante l’album dei maschi tossici sia variegato e variopinto, poco importa la longitudine, la classe sociale, la scolarità, l’età (pensiamo a quando il padre di Lila ha gettato fuori dalla finestra la figlia perché quest’ultima voleva studiare ed era un’anima ribelle).
Nino Sarratore, maschio tossico che incanta e manipola
Se Lila e Lenù compiono un viaggio lungo, disperato, a tratti straziante, di emancipazione, di cambiamento, di ricerca di libertà da un uomo, da una famiglia, da una società, da un mondo che le vuole sempre e comunque vittime di un sistema, che le vuole madri, mogli, donne che faticano e bambole intrappolate dai e nei desideri degli uomini, maschi come i Solara, gli Airota, i Carracci, virilissimi figli di un dio che ha insegnato loro ad essere castranti, sessisti, picchiatori e anche stupratori perché la donna esiste per essere avuta, ingravidata, usata fino alla fine, Nino non compie nessun viaggio. Nino è sempre uguale a se stesso anche quando sembra il migliore. La sua parabola è quella di ogni uomo che non riesce a emanciparsi dal padre replicandone gli stessi errori, è quella di un uomo che scrive e dice parole d’amore ma intanto distrugge quelle “bambole” che ha tra le mani.
Nino sembra affascinante, colto, sensibile, carismatico, interessato alle persone, gentile, è figlio di un padre da lui tanto odiato e crede o finge di credere di poter essere qualcosa d’altro, eppure fin da subito è stato un ragazzo insinuante, falso e bugiardo. Ha giocato con i sentimenti di Lenù e di Lila, ha temuto il talento della prima – solo nella quarta stagione svela alla donna di essere stato invidioso di lei in passato, ricordando l’episodio di quando erano ragazzini e non ha voluto pubblicare un suo articolo perché troppo brillante – e lo teme ancora, ma lo usa per farle correggere i propri discorsi e i propri lavori. Dietro al fascino del ragazzo e poi dell’uomo si cela un’insicurezza devastante e distruttiva, una necessità di essere ammirato che lo spinge a sminuire, svilire e distruggere chi incontra – Lenù chiude il suo matrimonio convinta che lui faccia altrettanto, invece non lo fa, lei mette da parte la propria vita mentre lui continua a portare avanti pezzi di esistenze diverse non vivendone a pieno nessuna.
Ma perché Lenù continua ad amare Nino?
Trama alle spalle di tutte le donne con cui crea un rapporto, le usa per il suo narcisismo tossico, passa da una all’altra senza amarne profondamente nessuna – forse solo se stesso -, è il compagno che nessuna vorrebbe accanto alla propria figlia, sorella, amica eppure quasi tutte ne hanno incrociato almeno uno. Nino si mostra diverso dagli altri, migliore, più profondo, più di sinistra e proletario, più libero e libertario, femminista e vicino alle istanze femminili, parla un’altra “lingua”, capisce il bisogno di libertà femminile, non sembra castrante, almeno all’apparenza, invece è egocentrico, egoriferito ed è tutto il contrario di ciò che finge di essere. Lui è in grado però di far sentire speciali le donne con cui sta, nonostante Lenù abbia prove del fatto di non essere l’unica, dà attenuanti, si sente vincitrice di un primato (di “seconda scelta”) perché lui la fa sentire così, crede alle sue infinite scuse perché è un ottimo narratore di storie. Nino è un maschio pericoloso, che alimenta legami instabili e dipendenze emotive profonde.
Lenù ormai è cresciuta, non è più ingenua, ha letto, ha studiato, ha scritto un libro, è madre di due figlie femmine – quando decide di fuggire a Parigi con Nino -, ha un matrimonio alle spalle, conosce gli uomini e le loro armi, ha ben chiare le dinamiche di coppia, ha parlato dell’indipendenza femminile eppure cade nelle spire di una serpe vestita di un’apparente e tenera vulnerabilità. Lenù si fida delle parole di Nino, lascia indietro tutto, per un certo periodo consegna come pacchi le sue figlie facendole passare tra i suoi suoceri – che la odiano – e la cognata, si abbandona totalmente a Nino, offrendosi con tutta se stessa. Nel momento in cui “vivono insieme”, attende che lui torni a casa dal lavoro, crede che stia con la moglie solo perché instabile, le serviranno infinite prove per vedere la natura malata del rapporto instaurato. La sensazione mentre si sentono i racconti di Lenù, i suoi più intimi e fragili pensieri, è quella di vedere una corsa in macchina, a luce spente, nella notte, si conoscono bene le dinamiche che mettono in moto questi uomini, ma è disturbante vedere il gioco di Nino, il modo in cui muove a suo piacimento Lenù, come ha fatto con Lila.
Nino Sarratore, forza dirompente che distrugge e divide
Quando Lenù e Lila sono ragazzine, Nino diventa forza dirompente che le divide, mette a ferro e fuoco la loro amicizia e lo fa perché questo è il suo tragico e misterioso superpotere dinamitardo. Sia per l’una che per l’altra, Nino incarna le paure più profonde. Per Lenù è colui che le dà, paradossalmente, sicurezza in se stessa, mentre nessuno gliela dà, per Lila, per natura dominante ma capace anche di “smarginarsi” quando l’instabilità la coglie, il desiderio di lui le fa perdere il terreno sotto i piedi fino al punto di essere dominata da quel sentimento. In entrambi i casi, se può sembrare positivo, invece è solo il mezzo attraverso cui l’uomo dimostra di avere ascendente sulle due donne. Nino è il vertice di un triangolo malsano e malmostoso che non aiuta queste due amiche geniali che sono sempre state l’una forza motrice dell’altra, anzi le rende più vulnerabili, perse in un mare di sentimenti “intestini” e interiori che provengono dal profondo più profondo e lo spettatore lo sa, Lila senza Lenù, soprattutto da ragazzine, esistono certo ma sono molto più perse e sole, un po’ smarginate e incattivate.
Nella terza stagione è un adulto opportunista e il suo arrivismo inizia a emergere ancor più chiaramente. La sua insicurezza di classe lo porta sempre a sedurre chiunque per ottenere qualcosa in cambio, è sempre più uguale a suo padre Donato che per affermarsi come intellettuale del quartiere, seduceva e abbandonava donne fragili come la povera Melina.
Una scena fondamentale nella quarta stagione per raccontare la (quasi) simbiosi tra i due uomini, padre e figlio, è la cena tra Nino e Lenù e i Sarratore. Lei quando incontra la famiglia di Nino ricorda lo stupro ad Ischia, riporta alla memoria le mani furtive di Donato su di lei, basta rivedere lo sguardo di lui e tutto è di nuovo lì. Bispuri, con la sua regia intelligente ed elegante, mostra la sovrapposizione tra Nino e suo padre, seduti sul divano. Donato e Nino sembrano confondersi in un solo uomo. È una scelta visiva che approfondisce la resa di Nino, non può mai sfuggire ai peccati di suo padre.
La parabola di un uomo uguale a se stesso, che vuole tutto e non intende rinunciare a nulla
Nino si è costruito fin da subito l’immagine di uomo tutto d’un pezzo, che lo rende irresistibile, lo è stato per Lila e lo è anche per Lenù che vede in lui una via di fuga. Lei ha amato prima il bambino silenzioso e gentile, poi il ragazzino che raggiunge la famiglia ad Ischia, che disprezza il proprio padre perché finto intellettuale, donnaiolo, fanfarone, e alla fine è diventato così simile a lui, anche quando perde la testa per Lila. Lenù non lascia morire il sentimento per Nino, anche nel momento in cui sposa Pietro Airota, fine intellettuale che risulterà essere brutale proprio come gli uomini del rione, e con lui crea una vita completamente nuova lontano da tutto e da tutti, dal mondo che la teneva stretta in un recinto retrogrado, violento e disumano. Basta poco, rivedere gli occhi di Nino, risentire la sua voce e Lenù stravolge la propria vita, nonostante sappia come si è comportato con Lila e Silvia.
Nino entra nelle esistenze con forza dirompente, fa sentire amate queste donne come mai prima ma poi le abbandona e lascia un vuoto incolmabile. Sono dinamiche di potere da cui è difficile scappare e Lenù non lo è all’inizio della quarta stagione, prova a stargli lontana, a tenerlo a distanza ma non ce la fa, la sua mente parla di Nino, il suo centro è Nino, respira grazie a Nino, tanto che, lo dice chiaramente, riesce a prendere il posto addirittura delle sue figlie.
Quando, lasciato il marito e deciso quale strada far prendere alla propria vita, torna a Napoli per stare con Nino, lei perde tutto ciò che ha costruito con fatica ed è solo un’altra donna che si prende cura di lui e del suo lavoro. Solo Nino, come tutti gli uomini di questa storia, può avere tutto. Proprio lì, nel loro luogo nido e prigione, Lenù e Lila sono di nuovo vicine, soprattutto quando Lila è incinta nello stesso momento. Di nuovo il triangolo si ricostruisce, adulti, Lila, Lenù e Nino sono ancora nella stessa stanza, nello stesso perimetro, geometria nostalgica e dolorosa di una geografia dei sentimenti ancora per molti versi ninocentrica. La presenza costante di Nino occupa uno spazio emotivo insondabile. Nino piange, si dispera, chiede perdono, declama parole d’amore, giurando che colei che ha di fronte è l’unica. Finge, bluffa, è un attore, chiede comprensione, fiducia. Lenù è caduta nel tranello, presa da quella tempesta d’amore, ha sacrificato il suo essere madre mentre lui ha continuato ad ingravidare donne, arriva un punto però dopo il quale per lei sarà impossibile accettare ancora. Ad un tratto da questi incantesimi ci si risveglia.
Un uomo che è drammaticamente, banalmente, sistematicamente uguale a suo padre
Nino Sarratore è colui che non si dovrebbe incontrare mai, è quell’uomo che fa perdere la testa, che fa promesse ma poi distrugge psicologicamente e fisicamente. Nino è rappresentazione di molti uomini del cinema e della letteratura che poi sono specchio di quelli che si incontrano nella realtà, che usano il proprio carisma per conquistare ma che in realtà sotto la scorza non hanno nulla. Prima quella di Lila e Nino e poi quella di Lenù e Nino sono relazioni malate, tossiche, una dipendenza quasi totale da cui è difficile salvarsi, per Lenù Nino è quasi una droga, è complicatissimo staccarsi dal suo corpo, non sentire la sua voce, non cedere di fronte a quell’amore che lui dipinge e descrive romantico e struggente. Il potere che Nino ha su queste donne, spesso mature, formate e forti è disturbante eppure riconosciamo in quella dipendenza quella che abbiamo provato noi stesse o qualcuna a noi vicina. L’unica via di fuga è disintossicarsi e così trovare la propria, vera libertà.
Nino finge, sempre e nel corso delle stagioni e delle puntate, le spettatrici lo odiano sempre di più, chi è esterno capisce quanto sia un finto progressista che alla fine teme l’intelligenza delle donne, quanto sia manipolatore e psicologicamente violento, un controllante della peggior specie – lui riesce a far accettare a Lenù qualunque cosa, con la sua voce melliflua riesce a convincere la compagna a compiere qualsiasi scelta. Nino è subdolo, traditore, insinuante, perso dietro a gonne differenti perché ha bisogno di sentirsi, e quindi di essere, importante tra le lenzuola, nei cuori e nella vita di queste donne, è un burattinaio dei sentimenti in grado di “toglierti la voglia di vivere”. Ha la necessità di loro perché in realtà è solo un mediocre, un meschino, non è diverso da suo padre e dai suoi biechi gesti, dietro i modi gentili, l’aura intellettuale e i suoi grandi occhiali, ha la stessa indole prevaricatrice di un Solara qualunque.
Nino è sempre, ancor più forse in questa quarta stagione, quel ragazzino delle superiori, con i meravigliosi capelli neri che strega con la sua tenace spavalderia intellettuale e irretisce nonostante sia emotivamente incapace, ma qui il tutto si fa disturbante perché la maschera cade e le vere sembianze di quel seduttore vengono fuori. Viene a galla il suo schema, mina le donne, le rende fragili, bisognose di lui e delle sue attenzioni, invece a lui piacciono solo gli inizi delle cose, il corteggiamento, il sesso, le corse a perdifiato lontano da mariti, famiglie. Ora l’incantesimo è finito, appare per quello che è, un piccolo uomo pericoloso se non si capisce il suo gioco, ma anche estremamente ridicolo che non ha più idee nuove e interessanti perché la sua politica marcisce, come le sue stesse idee, come lui stesso. Un uomo che è diventato ciò che non ha mai voluto essere: suo padre.