Perché Squid Game 2 ci ha delusi
Da critica al capitalismo ad una macchina per far soldi facili: la rapida discesa di Squid Game.
Quando è uscita, nel 2021, Squid Game è stata una piccola rivoluzione nella serialità contemporanea. Uscita in sordina e diventata famosa grazie al passaparola, Squid Game è stata per le serie tv quel che Parasite è stato per il cinema: uno spioncino sulla cinematografia di un intero Paese che vale la pena scoprire.
La serie scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk è il perfetto esempio di quel fenomeno che ha avuto inizio negli anni Novanta e che è chiamato Hallyu, letteralmente “onda coreana“, grazie al quale alcuni aspetti della cultura coreana (primi tra tutti il kpop e i kdrama, ma anche la cucina coreana) sono diventati famosi e conosciuti anche nel resto del mondo. Sarà per gli argomenti trattati, per le tematiche sensibili e per un’estetica colorata e pop che ne enfatizza il cinismo, Squid Game è stato un vero e proprio spartiacque. O almeno è quello che si pensava tre anni fa.
Una critica al sistema capitalista coreano, povertà e una visione cinica della società erano alla base di Squid Game
Con il tempo quel che ha reso Squid Game una serie così amata si è affievolito. L’intenzione di Hwang Dong-hyuk era quella di denunciare una società malsana che lascia indietro i più deboli e che premia i privilegiati. Alla base di tutto c’era il ritratto della Corea del sud dove il tasso di povertà è alle stelle. I protagonisti di Squid Game sono sempre state persone che vivono un incubo, ma la cui vita è talmente miserabile che morire cercando di portare a termine dei giochi, che hanno caratterizzato la loro infanzia perdipiù, è l’alternativa migliore.
La vera forza della serie era proprio la tematica che costituiva la colonna vertebrale di tutti gli episodi; dall’estetica fino alla scrittura dei personaggi e dei loro rapporti, tutto richiamava le dinamiche di potere della società coreana e come vengono visti dagli occidentali.
Non ci si aspettava certo che una serie tv potesse cambiare le cose, ma che il successo globale avrebbe potuto sensibilizzare ed istruire su determinate tematiche sembrava essere il suo naturale processo. Almeno fino a quando non è uscito il reality show.
La grottesca parodia di Squid Game: la sfida
Non ci si soffermeremo troppo, l’unica cosa da sapere è che Squid Game: la sfida è grottesco. E non poteva essere altrimenti. Spogliato di tutte le intenzioni iniziali, quel che resta è una blanda imitazione. Si tenta di ricreare le dinamiche tra i partecipanti, i rapporti nati e disfatti in una forte situazione di stress e le motivazioni che li hanno portati lì, ma senza tutta la drammaticità. Il target di riferimento, inoltre, non è assolutamente quello della serie tv, ma Squid Game: la sfida è pensato per il pubblico americano che ancora crede al sogno americano, al “se vuoi, puoi”. I partecipanti sognano di pagarsi il mutuo o di comprarsi una macchina nuova e la cosa peggiore che gli può accadere è essere squalificati, non devono scegliere tra il tentare di sopravvivere a dei giochi mortali o vendere i proprio organi al mercato nero. Tutto ciò ha un effetto non volutamente parodico.
Una seconda stagione svuotata dai suoi intenti iniziali e dai contenuti più maturi, quel che resta è una pallida imitazione
Le aspettative sulla tanto attesa seconda stagione erano altissime e sono state prontamente deluse. Quando una serie così famosa, ma pensata per essere una storia a sé stante e conclusa (sebbene con un finale aperto ad ogni tipo di interpretazione), viene rinnovata le paure sono sempre molte. Il quesito principale riguarda cosa altro si possa aggiungere ad un discorso che era già completo e complesso, ma anche a come si possa alzare nuovamente l’asticella. Le uniche speranze erano riposte sul protagonista, Seong Gi-hun, che dopo aver vinto il montepremi decide di utilizzare quei soldi per fermare i giochi. Da persona comune a giustiziere, l’arco di Seong Gi-hun aveva tutte le carte in regola per essere il cuore pulsante di Squid Game e il faro di speranza per le due stagioni conclusive.
Quel che invece è accaduto è che Squid Game è diventata una serie pigra, un metodo veloce per far soldi. La seconda stagione non è brutta, ma è deludente.
La struttura e le dinamiche della prima stagione vengono ripetute per tutti e sette gli episodi facendo solamente dei minuscoli cambiamenti. Le novità che sono costituite solamente dai giochi e dai personaggi richiamano comunque in tutto e per tutto qualcosa che abbiamo già visto.
La caratteristica principale di Squid Game era il cinismo, la vera natura umana che viene fuori nei momenti di difficoltà: anche il più insospettabile potrebbe tradire per avere salva la vita. Questa seconda stagione copia-incolla va a perdere la morale che si nasconde dietro la scrittura perché sa troppo di già visto. Ci sono i bulli, i senza cuore che uccidono senza battere un ciglio, il personaggio dalla morale ambigua, ma anche i buoni di cuore. Ogni personaggio richiama qualcuno della prima stagione. L’esempio più lampante è dato dal giocatore 001 che, alla fine della prima stagione, si scopriva essere la mente dietro al gioco, che ha inventato perché annoiato e con molti soldi da spendere. Ad indossare il medesimo numero, questa volta, è un altro personaggio fondamentale che tira i fili dell’intero gioco con la sola differenza che solamente lo spettatore conosce la sua identità.
La seconda stagione di Squid Game sembra essere fatta più per i profitti e per continuare a cavalcare l’onda del momento che per una reale necessità artistica. Non è la prima e non sarà l’ultima, ma è disorientante proprio per le tematiche e l’intento con cui la serie è nata. È la contraddizione col contenuto a rendere queste nuove puntate così deludenti e senza mordente. L’aspra critica al sistema capitalista si è andata a perdere di fronte ai guadagni e al successo, in una grottesca parodia di come davvero funziona l’industria cinematografica.