Ted Lasso 2: spiegazione del finale della serie Apple TV+
Ted Lasso, la serie pluripremiata di 12 episodi ma ancora poco conosciuta di Apple TV+, sa parlare al suo pubblico, sa raccontare tutte le fragilità dell’animo umano. Tutto è cesellato, levigato, tagliato alla perfezione. Ogni scelta, pensiero, gesto dei personaggi è pensato, ragionato, niente è fatto a caso. Ogni ruolo ha il suo posto e in esso si evolve, cresce, si guarda allo specchio e guarda l’altro e in questo modo matura, germina. Nessuno è uguale a sé stesso, tutti hanno il loro percorso e in questi dodici episodi lo compiono. Bill Lawrence, Jason Sudeikis e Brendan Huntva fanno un lavoro eccezionale di scrittura, concentrandosi con attenzione certosina su ciascun personaggio dal protagonista ai personaggi secondari; si decide che questa sarà la stagione della maturazione, l’uscita dal limbo per prepararsi alla terza stagione.
Ted Lasso 2: una parabola di fallimento, scelta e riuscita
Ted Lasso 2 compone una storia piena, intensa perché non si tratta solo di calcio ma di vita per citare la frase di Dani Rojas (Cristo Fernández) con cui inizia e finisce la serie (come il rigore sbagliato ha dato inizio al percorso così quello finale ha chiuso un cerchio), non si tratta di schemi di gioco ma di crescita e maturazione, neppure solo di ruoli ma di scelte e di prese d’atto. Fin dai primi episodi si comprende che il lavoro di Bill Lawrence, di Jason Sudeikis e di Brendan Huntva prende una direzione precisa, vuole andare oltre, rilanciare la storia, raddoppiarla: scrive una parabola del fallimento e della scelta che punta tutto su Ted (Jason Sudeikis) e sul suo rapporto con sé stesso e con gli altri, sulla storia del protagonista e quella di ciascun componente della sua squadra. La serie amplia le esistenze dei personaggi, li eviscera in modo comico e drammatico insieme, poetico e struggente: il lutto, una relazione tossica, la fine di un matrimonio, la scelta migliore da prendere.
Si riflette sull’importanza dell’essere brave persone – di cui è emblema Ted, figura di un’eroica bontà, di una mostruosa generosità che fa bene al cuore -, fare gesti ragionati, pensati perché ognuno ha delle conseguenze. Lo spettatore viene portato e immerso negli occhi buoni di Ted, nella dolcezza ruvida di Roy Kent (Brett Goldstein), nella surreale gentilezza del Coah Beard (Brendan Hunt), nella tenerezza commovente di Leslie Higgins (Jeremy Swift), nella genuinità della squadra che si è mangiata il modus vivendi di Lasso. Nella prima stagione la gentilezza di Ted spaventava, qui invece tutti, o quasi, l’hanno inglobata, se ne sono cibati.
Si scava sempre nell’animo delle persone con tenerezza, eppure in questa seconda stagione il percorso è ancora diverso: si deve essere consapevoli di sé stessi, di chi e di cosa si voglia essere per andare avanti, per crescere. Si deve credere (come dice il cartellone che troneggiava sul muro dello spogliatoio). Non è un caso infatti che Coach Beard nell’ultimo episodio legga un libro, La piramide rovesciata di Jonathan Wilson in cui si spiegano le logiche del calcio, ma in realtà quella piramide sta ad indicare il rovesciamento degli stereotipi e dei modelli (maschili soprattutto ma anche femminili), cifra importante nella narrazione. Lungo gli episodi e nel finale i personaggi si mostrano per quello che sono, si smascherano: Ted, Beard, Roy, Jamie (Phil Dunster), Keeley (Juno Temple) e Rebecca (Hannah Waddingham) sono la miglior forma di sé ma non a tutti succede questo, pensiamo a Nathan (Nick Mohammed), personaggio ambiguo, cattivo, mefistofelico.
Una serie che abbatte stereotipi e modelli triti e ritriti
La retrocessione del Richmond, gli sforzi per tornare in Premier League sono metafora evidente dello sforzo, della fatica con cui Ted e il suo staff affrontano questa stagione. Ogni personaggio a suo modo, con i propri tempi compie un viaggio e lungo questo viaggio dovrà perdere qualcosa, perdersi – pensiamo all’episodio in cui Beard vaga per la città – per raggiungere la propria meta. Ted è il capitano, il leader di una squadra che impara a sorridere, ad accogliere, a togliersi la maschera del Maschio alfa per parlare sinceramente dei propri desideri, pensieri, parole. Il protagonista racconta le sue profonde paure, i suoi ricordi più drammatici, il divorzio, la lontananza dal figlio, l’ansia e gli attacchi di panico e non è un caso che la figura della dottoressa Sharon acquisti valore e importanza per sciogliere i nodi, per capire dubbi, incertezze, ferite. Il loro rapporto di lavoro e di amicizia fa crescere entrambi – lei ammette che l’analisi con lui l’ha fatta maturare come professionista -: quando Doc lascerà la squadra perché la collaborazione è finita è come se anche una parte del lavoro di Ted su di sé sia concluso.
Al centro di questa narrazione c’è l’abbattimento di tutti gli stereotipi, le anime vengono esplorate, decostruite. Non c’è posto per quegli uomini duri, figli di una mascolinità tossica, non c’è posto per machi problematici, tutti contraddizioni e imbrigliati nei tormenti; da Ted a Jamie, da Roy a Sam, si scrive un discorso interessante su una mascolinità invece sana, sincera che si mette in discussione, sa commuoversi, parlarsi e parlare.
Ted Lasso 2: il calcio come mezzo per raccontare l’umanità
Il calcio passa in secondo piano, diventa metafora di ciò che accade ai personaggi: la crisi, le difficoltà, la rimessa in gioco e poi la vittoria. L’esistenza dei personaggi e la stagione del Richmond camminano insieme e la sconfitta, grazie a Ted, diventa sorella, amica da accettare, utile per progredire, per migliorare e migliorarsi – non a caso nel finale il Richmond vince e tutti personaggi arrivano ad una scelta compiendo così il loro viaggio dell’eroe e dell’eroina. Essa non è un mostro, ci si deve fare i conti, capire gli errori compiuti per prepararsi alla prossima battaglia e dunque devono essere normalizzate le debolezze umane, primo fra tutti l’attacco di panico, ancora oggi stigma e tabù per la società: quando tutti conoscono l’ansia che attanaglia Ted, per lui diventa paradossalmente più facile. Capire di essere fallibili è un momento di passaggio, come avviene nella vita: l’obiettivo è tornare in Premier League ma crescere è doloroso, fa male, può lasciare lividi e capita questo a vari personaggi di Ted.
Si tratta di una variazione sull’insicurezza, quella di chi crolla sotto il peso emotivo e non c’è vergogna nel dire: ho avuto un attacco di panico, ho paura, sono innamorato di te e voglio essere parte della tua vita, frasi normali ma che vogliono dire mettersi a nudo, mostrarsi vulnerabili. Ci sono Keeley e Roy, Rebecca, una delle donne over 40 più interessanti della serialità, e Sam, Ted e Doc, che in un modo o nell’altro rappresentano modelli uomo-donna ribaltati. Keeley e Roy si parlano con franchezza, si amano e sono presenti sempre l’uno per l’altra, non provano invidia ma condividono gioie e dolori. Keeley parte da uno stereotipo, quello della ragazzetta bionda con poco talento, la donna del calciatore, e poi racconta tutta un’altra storia: è autentica, sincera, arriva ad essere di successo, viene intervistata per il suo lavoro e finisce sulle pagine dei giornali come simbolo di indipendenza e libertà – lei avrebbe dovuto comparire nel servizio con Roy ma poi è talmente bella da sola da non aver bisogno del compagno accanto. Roy impara ad essere un uomo migliore grazie a Ted ma anche grazie a Keeley, è uno zio speciale, è un compagno sempre pronto a parlare dei suoi sentimenti. Nell’episodio finale porta dei biglietti aerei a Keeley per festeggiare l’inizio del nuovo lavoro della ragazza per vivere insieme un mese e mezzo da sogno, ma lei rifiuta il viaggio e lo invita ad andarci da solo.
Rebecca e Sam sono incredibili; anche la loro relazione parte da un cliché, la donna matura e il toy boy, ma poi tutto cambia, le loro debolezze si uniscono per vivere una storia di accettazione, tenerezza, passione. Lei è luminosa, affascinante, lui è dolce e sa benissimo cosa vuole. Rebecca cede alla bellezza del ragazzo ma poi fugge da lui fino a quando, nel momento in cui Sam ha una proposta di lavoro, tornare a giocare in Ghana, con il numero 10, capisce che forse ha sbagliato. Un’altra scelta. Entrambi vengono messi di fronte a sé stessi e alle proprie emozioni: lei parla con Sam per dichiararsi e lui, dal canto suo, comprende che vuole rimanere a giocare al Richmond non per Rebecca ma perché questo è il suo posto nel mondo – e apre lì un ristorante in cui si mangia la cucina tradizionale del suo paese.
Jamie Tartt, l’evoluzione di un uomo diverso (da quello che abbiamo conosciuto)
Jamie è uno dei calciatori che più ha lavorato su di sé, da insopportabile e arrogante maschio alfa è tornato al Richmond, lasciandosi alle spalle molto di ciò che era, la boria superba di chi crede di essere la stella, l’incapacità di lavorare in gruppo, la freddezza causata dal suo passato. Tartt ha imparato a fare un passo indietro, a passare la palla al compagno, ad essere parte di un gruppo. Ammette che il vero motivo per cui è tornato al Richmond è Keeley e lo deve dire a voce alta; l’amore rende nudi soprattutto perché Keeley è innamorata di Roy. Un’ammissione importante per uno che usava le donne come degli oggetti, che si comportava come un bullo, che prendeva in giro gli altri ma solo per le proprie fragilità. Il viaggio di questo personaggio è importante, intenso e ci dimostrerà come alle volte ciò che si è, è il prodotto di ciò che si ha vissuto e di ciò che si ha subito (si pensi al rapporto di Jamie con il padre) e tutto sta nei passaggi di palla, nel rigore ceduto a Rojas per sbloccarlo dalle sue paure, negli abbracci ai compagni.
Nate il grande…. villain, nemesi di Ted
Davvero folgorante è anche la scrittura del personaggio di Nathan, Nate il Grande, così lo chiamano tutti, nome che lo fa sembrare simile ad un imperatore persiano, omaggio al suo talento. Lui è stato maltrattato dalla squadra, preso in giro, messo ai margini in vari modi vivendo varie marginalizzazioni, emblema di questo è la scena del ristorante: porta i genitori a cena (episodio 5 di questa stagione) per mostrare a che punto è arrivato ma gli danno il tavolo che dà sulla strada per il suo atteggiamento remissivo, per razzismo, ed è per questo che poi, in una scena molto convincente e dolorosa, va in bagno, si guarda allo specchio e si sputa in faccia. Qui si può capire che qualcosa sta cambiando davvero in lui.
Nate è stato visto, compreso da Ted, è stato inserito nello staff, grazie a lui è cresciuto e ha conosciuto il proprio valore: la gentilezza del Coah Lasso lo ha cullato, curato, gli ha dato spazio e lui ha perso la testa. Ha acquisito autostima ma poi quest’ultima è diventata boria arrogante, non vuole più essere l’uomo di Ted, vuole essere preso sul serio e dal suo volto iniziano a emergere i “lineamenti” della gelosia, del rancore. Diventa vero e proprio villain , anzi tutta la stagione mira a costruirlo: i piccoli gesti, le smorfie, le vessazioni verso il suo sottoposto, gli scatti d’ira – fino ad arrivare a quello finale con Ted -, l’assurdo ed esasperato incanutimento, lo sguardo che si fa torvo, quello di chi non ha scrupoli. I flash su Ted, il suo dimenticarsi di lui, sono piccole gettate di malta per mettere su una casa di invidia, rabbia e mancanza di gratitudine. Il buon Nathan getta la maschera, sotto di essa c’è un ghigno cattivo e brutale. Il suo personaggio è pronto a sferrare il colpo di grazia, dà la notizia ai giornali che Ted soffre di attacchi di panico, cosa rimasta sotto silenzio, un gesto bieco e immorale che fa male al protagonista e a chi gli sta accanto. Dall’ultima scena dell’ultimo episodio si comprende che Nate è la nemesi di Ted.
Ted Lasso 2: analisi e spiegazione della serie Apple TV+
Gli ultimi episodi di Ted Lasso e l’ultimo in particolar modo mostrano la grandezza della serie, il suo senso primario, è commedia leggera che mette in pace con sé stessi e col mondo, è dramma struggente e poetico che fa commuovere. La dodicesima puntata mette a nudo debolezze, ambivalenza umana, e mette in evidenza i passi avanti compiuti, le scelte fatte. Ted, Beard, Rebecca, Roy, Keeley e Nathan e tutti gli altri si mostrano in tutta la loro straordinaria, imperfetta umanità. Hanno creduto (quel Believe ritorna) in qualcosa, nel Richmond, in sé stessi, nella vita e sono arrivati da qualche parte, non c’è più il dubbio che li ha ingabbiati.
Al centro di questo c’è Ted, con il suo mondo imperfetto in modo commovente, che sorride mentre piange tutte le lacrime che ha, che “abbraccia” chi lo tradisce perché aspetta che sia il colpevole ad ammettere l’errore. C’è Ted che rappresenta l’umanità tutta, bella e variegata, drammatica e divertente, abitato dal dubbio, e sicuro delle sue insicurezze, come lo sono tutti gli altri. Ted Lasso, che simboleggia nel modo migliore i valori di Apple Tv, conquista e sorprende e ci ricorda che per andare avanti bisogna anche soffrire, per uscire dal limbo bisogna parlarsi e parlare chiaramente, per crescere bisogna compiere delle scelte e per farlo si deve imparare anche la gentilezza.