The Outsider: tutti i riferimenti e gli easter eggs al mondo di Stephen King
Si schiudono nuovamente le porte su Stephen King e sui suoi eterni temi ricorrenti: The Outsider riassume buona parte degli incubi presenti nella sterminata produzione del maestro dell'horror. Con qualche piacevole sorpresa.
La serie televisiva The Outsider, prodotta da HBO e trasmessa in Italia da Sky Atlantic, ha nuovamente rimesso sotto i riflettori l’estro di Stephen King, maestro dello storytelling americano e genio incontrastato dell’horror. Oltre ad essere uno dei prodotti più fedeli agli stilemi kinghiani, il crime drama sviluppato da Richard Price si è dimostrato un importante compendio di tutto quello che il Re della letteratura fantastica ha sempre posto al centro dei suoi lavori.
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Una summa di leit motiv e temi ricorrenti, che da un lato hanno mandato in solluchero i fan di vecchia data e dall’altro hanno solleticato la curiosità dei neofiti, invitati – fra le righe – a scoprire per la prima volta il patrimonio di oltre 80 libri che King ha alle spalle. Da Carrie a Shining, fino a It e Misery, tutta la sua opera racconta come affrontare il Male. I 10 episodi (corrispondenti a oltre 600 densi minuti) di The Outsider ci hanno da questo punto di vista insegnato molto, seminando anche nei momenti più inaspettati tracce della sua genialità.
Ricordandovi di stare attenti agli SPOILER se non avete visto la The Outsider, scopriamo insieme tutti i riferimenti all’universo di Stephen King presenti nella serie
Chi ha paura di Holly Gibney?
Per gli amanti di King non è una novità: il personaggio di Holly Gibney non appare per la prima volta in The Outsider. Anzi, è una vecchia conoscenza: la detective “sovrannaturale” con problematiche psicologiche è presente già nella trilogia di romanzi Mr. Mercedes, scritti tra il 2014 e il 2016. Il vero protagonista di Mr. Mercedes, Chi perde paga e Fine turno è in verità l’investigatore in pensione Bill Hodges, mentre Holly – inizialmente – è solo un carattere secondario.
Tuttavia la sua anomala e bizzarra personalità, oltre ad aver conquistato i lettori, ha fatto breccia anche nella mente del suo creatore: la ragazza infatti ha via via acquistato importanza, diventando anche consulente informatica e dando una mano essenziale nella risoluzione dei casi. Rivederla in The Outsider è quindi una sorta di déjà vu: solo i nuovi fruitori – sia del romanzo che della serie – faticheranno all’inizio con i suoi metodi di indagine inconsueti e con la sua personalità inquieta e a tratti inquietante.
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L’unione fa (quasi sempre) la forza
La prima e più evidente morale del caposaldo It (ma anche di Stand by Me) è che il Male può essere sconfitto solo ed esclusivamente se si rimane coesi. Una lezione che hanno imparato in molti, anche ad esempio i ragazzini protagonisti del cult Stranger Things. Solo in gruppo è possibile affrontare i demoni che albergano nella nostra mente, ancora prima dei mostri che popolano il mondo. King è piuttosto chiaro su questo punto:
Il male è dentro di noi. Più passano gli anni più mi convinco che il diavolo non esiste: siamo noi il diavolo.
Se fatichiamo a trovare un personaggio principale in The Outsider, uno che spicchi sugli altri prendendo il palcoscenico tutto per sé, è proprio per questa ragione: la task force che si mette sulle tracce di El Cuco è variegata, eterogenea e soprattutto afflitta da diversi conflitti interiori, ognuno dei quali di impossibile risoluzione. La squadra formata tra gli altri da Ralph Anderson, Howard Salomon, Yunis Sablo e dalla sopraccitata Holly Gibney offre i migliori risultati quando si muove compatta. Fino alla resa dei conti alla Grotta del Vecchio Orso.
Donne spaventose, in quanto donne spaventate
Potrebbe sembrare un controsenso a questo punto affermare che senza Holly Gibney il caso non sarebbe stato risolto. Ma la verità è che la giovane investigatrice è la perfetta rappresentante di un topos kinghiano inossidabile, quello della donna scomoda (e anche disturbata, se pensiamo alla Annie Wilkes di Misery non deve morire) che non deve mai essere salvata, che è sempre pienamente artefice del proprio destino.
L’essere umano di sesso femminile è spaventato, in King, ma utilizza quella paura ribaltandola e cambiandone i connotati (basterebbe in questo senso pensare a Carrie). Lo spettro della morte e dell’ignoto è una molla propulsiva per Holly, che spiazza il misterioso El Cuco portandolo addirittura a domandarsi perché lei sia l’unica a credere nella sua esistenza. La risposta sarà semplice: un emarginato (un intruso, un corpo estraneo della società) riconosce un altro ermarginato.
The Outsider – Il doppelgänger e l’espansione dei mondi possibili
Il prima e il dopo. Anzi, il prima è il dopo. È possibile essere in due posti diversi nello stesso identico momento? Assolutamente no, ci insegna la ragione. Stephen King, nel relativamente recente 22/11/63 (romanzo da cui è stata tratta una miniserie con James Franco), gioca abilmente col l’idea di viaggio nel tempo, portando un professore d’inglese nel momento esatto in cui venne ucciso John Fitzgerald Kennedy. Con la possibilità, ovviamente, di sventare quell’omicidio e cambiare il corso della Storia.
In The Outsider il viaggio nel tempo è di diversa natura: l’allenatore di baseball Terry Maitland viene filmato in due luoghi totalmente diversi nello stesso momento, rendendolo al contempo pienamente colpevole di infanticidio e in modo incontrovertibile innocente e scagionato. Siamo di fronte ad un avatar o, meglio ancora, ad un doppelgänger: un doppio che rimanda ad un “gemello cattivo” e al fenomeno della bilocazione, con annesso presagio di morte.
Storie di padri (assenti) e figli
Stephen King non ha mai fatto mistero di aver attinto copiosamente dalla sua vita reale, come ispirazione per la creazione dei suoi scritti. Uno degli aneddoti che ha maggiormente segnato la sua infanzia è stato la sparizione – letterale – di suo padre, che un giorno se ne è andato senza dare più notizie di sé. King non l’ha mai perdonato, anche e soprattutto per aver lasciato sola la madre ad occuparsi di lui e del fratello David Victor.
Il difficile rapporto padre-figlio permea numerosi romanzi dell’autore: It, Cujo, Christine – La macchina infernale, 1408, Shining, Dolores Claiborne. A questi illustri precedenti si aggiunge The Outsider, in cui il poliziotto Ralph Anderson continua ad essere tormentato dalla morte del figlio. Ralph fatica a credere al trascendente e all’ultraterreno, perché non ha risolto il lutto con se stesso e con quel figlio per il quale sente di essere stato assente. Fino a quando il ragazzo non gli comparirà in sogno, domandando al genitore di lasciarlo infine andare.
La giustizia è un punto di vista
I multiversi kinghiani, attingendo a piene mani da ambientazioni perlopiù realistiche in cui si innesta a gamba tesa l’elemento fantastico e/o orrorifico, spaventano e creano tensione nei lettori/spettatori in quanto potenzialmente veri e verosimili. È abbastanza curioso constatare, dunque, come le risoluzioni degli intrecci e delle indagini difficilmente abbiano a che fare con l’idea di Giustizia alla quale normalmente siamo portati a pensare.
Non ci sono quasi mai eroi univocamente dichiarati, l’idea di “senza macchia e senza paura” in King non è contemplata; e allo stesso modo non viene considerato alcun potere giudiziario superiore che sbrogli la matassa del plot. In The Outsider, mentre restano appena approssimate le competenze della polizia una volta risolto il caso, risuonano nei minuti conclusivi le scelte compiute assieme dai singoli protagonisti, che si sono di fatto sostituiti alla Giustizia insabbiando poi tutto, nell’impossibilità di poter apertamente raccontare ciò a cui hanno assistito.
The Outsider racconta la morte, la nostra morte
Secondo Stephen King, tutta la letteratura racconta una sola cosa: la morte. Di più: la nostra morte. Per rendere ancora più chiara l’idea, il Re usa l’efficace – e un po’ macabra – metafora del lenzuolo, che a volte ci capita di vedere gonfio, magari con una forma specifica che non vogliamo vedere. La forma non è un estraneo, un nemico, un demone; la forma è la nostra, perché il mostro siamo noi. Accade così che nel mutaforma El Cuco ognuno dei vari personaggi si possa in qualche modo identificare, e che la sua fine sia veicolo per pacificarsi coi propri demoni interiori.
Ma una morte, di qualunque tipo essa sia, non è mai un trionfo, non è mai fonte di gioia. E, infatti, nell’epilogo della serie si respira un’aria piuttosto dimessa, che ben si confà ai caratteri dei protagonisti. C’è poco o nulla per cui festeggiare: si racolgono i cocci di ciò che è stato e si cerca, umanamente, di ripartire. Lo fa Holly, stremata per la lunga battaglia; lo fa Ralph, riavvicinandosi alla moglie Jeannie; e lo fa la vedova di Terry Maitland, che ha sempre creduto all’innocenza del marito anche di fronte all’evidenza.
La fine è solo l’inizio
Considerata la prolificità di Stephen King, che scrive per 362 giorni all’anno pubblicando libri in pratica senza soluzione di continuità, non stupisce leggere in questi giorni che The Outsider potrebbe avere un degno seguito. Non un sequel “spurio”, privo di riferimento bibliografico, ma autorizzato da Mr. King in quanto scritto da lui medesimo. Ci vuole l’ispirazione, certo, e del resto per produrre quel Doctor Sleep che ha raccontato l’età adulta del Danny Torrance di Shining ci sono voluti quasi 40 anni.
Ma in questo caso l’ispirazione sembra esserci, forte e chiara, magari lavorando fianco a fianco con lo showrunner della serie tv Richard Price. È palese che, alla fine di The Outsider, non tutto possa chiudersi “semplicemente” così: King ha creato un mondo, abitato da personaggi tridimensionali con storie che meritano di essere approfondite e affrontate. Agli incubi di Stephen King non c’è mai fine e, come in un loop ossessivo, ogni fine non corrisponde altro che ad un nuovo febbrile inizio.