Tiny Pretty Things: perché la nuova serie tv Netflix è così amata
L’adattamento per Netflix del romanzo di Sona Charaipotra e Dhonielle Clayton mescola coming-of-age, mystery e drama in una serie sulla competizione e i segreti dietro l’apparente perfezione di un corpo danzante.
Che la danza sullo schermo sia una delle narrazioni più affascinanti e visivamente più seducenti era chiaro già ai tempi di Fame (Saranno Famosi), la serie tv andata in onda negli anni ’80 che per la prima volta ritraeva le storie di un gruppo di insegnanti e aspiranti ballerini, attori e cantanti in una scuola di Arti Performative di New York. Fame aprì le porte ad un racconto specifico che univa le parabole personali e relazionali di un gruppo di personaggi in un ambiente unico, alternando sequenze di performance coreografiche e prove alla sbarra dimostrandosi una formula decisamente di successo.
Dal 14 dicembre su Netflix è disponibile Tiny Pretty Things, il teen drama sui misteri di una scuola di danza di Chicago che, di quel laborioso processo iniziato con la serie tratta dal film di Alan Parker, sembra oggi esserne l’appendice finale (e più contemporanea). La storia si apre con l’incidente della studentessa Cassie (Anna Maiche) che una notte viene spinta giù dal cornicione del palazzo dell’accademia da una misteriosa figura dall’identità celata nel cappuccio di una felpa. A sostituirla nella rinomata Archer School of Ballet di Chicago arriva Niveah (Kylie Jefferson) l’unica ragazza nera della scuola che inizierà a far venire fuori i misteri, l’aspra competitività e il sistema nocivo che si nasconde dietro la prestigiosa reputazione dell’Accademia.
Mescolando più generi (il teen drama, il mystery e alcune sequenze oniriche molto vicine all’horror) Tiny Pretty Things propone un racconto accattivante che nel corso di 10 episodi tratta argomenti da coming-of-age ricevendo opinioni e critiche tutto sommato positive. Ecco dunque 5 motivi per cui Tiny Pretty Things è già così amata.
1. La componente mystery del whodunit
L’inicipit del primo episodio getta le basi per un racconto fondato sullo svelamento della reale identità dietro la caduta di Cassie, e soprattutto sulla sua motivazione. Quando Niveah inizia a relazionarsi con gli studenti infatti, inizieranno ad emergere le bugie, i segreti e l’agonismo dei nuovi compagni che vedevano in Cassie la ballerina più talentuosa e più amata dagli insegnanti e pertanto l’elemento da eliminare. Se inizialmente tutti sono dei possibili colpevoli, il cerchio inizia a stringersi su alcuni studenti dove emergerà la suspense sulla sorgente interiore che ne ha scatenato la dinamica d’odio.
In Tiny Pretty Things il tentato delitto introduttivo e il segmento whodunit classico del mystery nel corso dei 10 episodi non rimane puramente collaterale facendo da sfondo ad un discorso sull’adolescenza e sulla danza più ampio, ma viene trascinato nello svolgimento della trama anche attraverso le indagini, le prove, la ricostruzione del caso affidato alla poliziotta Isabel (Jesse Salguiero) che tenterà di risalire al colpevole nonostante l’ostracismo e l’ostilità della direttrice dell’accademia Madame Dubois (Lauren Holly).
2. La disinvoltura corporea e la piccante audacia alla Élite
La consapevolezza del proprio corpo, – inteso non solo come mezzo ma come ostinata affermazione di bellezza – , nei ballerini è un elemento intrinseco alla loro natura di performer. Abituati a vedere riflessa la loro immagine sugli specchi e riponendo nelle forme del corpo la ricerca di una perfezione che tende all’infinito, il ballerino è a proprio agio con il corpo proprio e quello altrui, con la semi nudità e la nudità completa. La serie non si sottrae affatto alla nonchalance con la quale i ballerini si sentono padroni dello spazio nella loro essenzialità e dunque nel corso degli episodi i corpi, o parte di essi, vengono inquadrati esplicitamente nelle attività quali il cambiarsi o il vestirsi e luoghi specifici quali la doccia o il bagno turco.
E se vi è questa naturalità nel mostrare i corpi in déshabillé i cinque registi della serie inseriscono anche scene di sesso piccanti e audaci che rievocano quel tipo di disinvoltura sensuale già vista in Élite.
3. L’estetica della danza e del componimento coreografico
Nella serie, scritta tra gli altri da Michael MacLennan (Queer As Folk, Flashpoint), la danza acquista una porzione rilevante e sostanziale all’intero racconto. Le prove di una coreografia per uno spettacolo, gli esercizi preparatori alla sbarra, sequenze improvvisate nei non-luoghi adibiti alla danza, passi provati e riprovati anche dopo le normali ore di allenamento non vengono “evocati” o semplicemente circoscritti nel corso degli episodi. Ma in Tiny Pretty Things la danza è uno degli elementi più riusciti anche grazie ad un cast di attori-ballerini che hanno dato la possibilità in scrittura di far emergere tratti caratteriali e dinamiche fra i personaggi anche attraverso il momento coreografico di prestigio artistico con sequenze ben girate e danzate a livello professionale.
4. Le tematiche del coming-of-age e le dinamiche di gruppo
Mettendo al centro del racconto un gruppo di adolescenti è inevitabile inserire in esso tematiche naturali sulla crescita e le difficoltà (soprattutto in questo caso), di relazionarsi con un mondo ultra-competitivo che richiede perfezione, costanza, forza fisica e interiore. La serie propone temi che vanno dall’omosessualità alla xenofobia, dall’anoressia maschile all’utilizzo incontrollato degli antidolorifici, dall’incomunicabilità genitoriale alla voglia di autodeterminazione, dalle molestie sessuali alla violenza. Ogni studente inserisce dunque una problematica, un oggetto di riflessione sulla crescita all’interno di un luogo rigoroso, l’accademia, che ricorda molto quello del college.
Ogni camera del dormitorio è un microcosmo a sé costruito sulla condivisione di spazi e tempi, fatto dalle proprie regole e i propri codici. È interessante dunque, come ogni teen-drama che merita, seguire le dinamiche di potere del gruppo della scuola fra intrighi, segreti, tradimenti, passioni e confessioni.
5. Il richiamo a Center Stage, Il Cigno Nero e The Company
Tiny Pretty Things sembra richiamare (e trarre ispirazione) a tre film precedenti che, pur nella loro diversità, hanno raccontato il mondo della danza e le dinamiche fra allievi e insegnanti. Di Center Stage (Il Ritmo del Successo) si ritrova l’arco narrativo della giovane ballerina che entrando in un’accademia prestigiosa si confronta per la prima volta con l’austerità e l’intransigenza di un mondo professionale; mentre di The Company, l’ottimo dance-movie dal richiamo documentaristico del 2003, sembra condividerne l’aspetto puramente on stage. Le coreografie di danza contemporanea costruite sull’essenzialità e i costumi iper-colorati viste nella serie Netflix riecheggiano quelle viste nel film diretto da Robert Altman che immergeva lo spettatore nelle intricate routine di una compagnia di danza americana nel suo momento di apice creativo.
Infine, quel tratto dark e decisamente più introspettivo, s’ispira al film di Darren Aronofsky del 2010. Il Cigno Nero, ovvero quel lato di oscurità interiore che il coreografo Vincent Cassel estraeva nei gesti dalla giovane e inesperta Natalie Portman, è un richiamo evidente nella dinamica di relazione fra l’allieva Bette (Casimere Jollette) e l’insegnate/coreografo Ramon (Bayardo De Murguia) che, nel corso della creazione di una coreografia dal tema controverso, cerca di far emergere il lato più oscuro.